“NIENTE MURI, RESTIAMO UMANI”: MIGLIAIA DI UNGHERESI IN PIAZZA CONTRO LA FOGNA DI ORBAN
L’ALTRA FACCIA DELL’UNGHERIA NON PARTECIPERA’ AL VOTO SUL REFERENDUM FARSA… PRENDONO MILIARDI DALL’EUROPA E POI RIFIUTANO 1.200 PROFUGHI
La piazza di fronte al parlamento è piena.
In Kossuth tèr a Budapest ci sono migliaia di persone. Sono arrivati in silenzio, alla spicciolata. Srotolando timidamente bandiere ungheresi ed europee hanno tirato fuori dalle borse — ma solo una volta superato il presidio della polizia – modesti striscioni fatti di cartone e fazzoletti.
Le frasi sono scritte con pezzi di scotch rosso: «Siamo tutti persone», «Restiamo umani».
«Restiamo umani», è anche lo slogan che sovrasta il piccolo palco montato in mezzo alla piazza, proprio sotto l’ufficio del primo ministro.
È il messaggio della manifestazione organizzata dalle dieci principali ong ungheresi a poche ore dal referendum sulla redistribuzione dei profughi in Ungheria voluta dall’Europa, che assegnerebbe al Paese la miseria di 1.200 rifugiati in tutto
È la prima volta che, in mesi di martellante campagna governativa per il «no», l’«altra» Ungheria scende in piazza.
Il loro è un «no» che cerca di opporsi ai muri, alle centinaia di comizi governativi, ai 4 milioni di opuscoli e agli investimenti milionari per «l’immagine del Paese» che da quando il referendum è stato indetto hanno cercato di persuadere gli ungheresi che l’immigrazione mette in pericolo la cultura cristiana, porta terrorismo e malattie, rappresenta una minaccia concreta alla sicurezza e al benessere.
Quello di ieri è stato il primo, ma non è l’ultimo, tentativo di evitare che domani si celebri la vittoria di Fidesz, il partito di governo nazional-populista.
La Coalizione democratica (all’opposizione) organizzerà una grande catena umana perchè «vogliamo rimanere in Europa» e domenica un gruppo di intellettuali, docenti universitari e artisti ha in programma una manifestazione contro la violenza e la paura
In prima fila sotto il palco, schiacciata contro le transenne, c’è Rotzsa, 87 anni, che ondeggia con grazia al ritmo di Exodus, Bob Marley. Ride, tira fuori tutto il fiato che ha per urlare «Magyarorszà¡g nem Orbà n!», l’Ungheria non è Orban.
Accanto a lei Edit Vlahovis, 56 anni, attrice, e Agnes Komanomi, 47 anni, manager per le risorse umane.
«Siamo qui oggi per dire agli ungheresi e all’Europa che non ci arrendiamo, che non tutti in questo Paese sono rimasti accecati dalla campagna di un governo che vuole distrarre l’opinione pubblica dai veri problemi di cui soffriamo: un’economia stagnante, sanità ed educazione allo sfascio».
Edit ha incontrato alcuni profughi alla stazione, qualche mese fa: «Gli ungheresi viaggiano poco, e conoscono meno ancora. Così la dittatura soft di Orban ha buon gioco. Nessuno, soprattutto nelle zone più rurali, lo ha mai visto un arabo. Basterebbe parlare con qualcuno di loro per capire che, alla fine, siamo tutti esseri umani».
I sondaggi prevedono che l’80% dirà «no» alle quote decise dall’Unione europea per i ricollocamenti, ma al tempo stesso mettono in forte dubbio che il quorum dei voti validi superi il 50%, rendendo illegittima la consultazione, come avvenne per passati referendum sull’Ue e la Nato.
In più c’è l’appello di alcuni partiti di opposizione al voto nullo, barrando ad esempio entrambe le caselle e alzando così il quorum dei voti validi.
Degli intervistati solo il 42% ha dichiarato che si recherà alle urne e di questi l’83% ha detto di essere dalla parte di Viktor Orban e di voler votare contro le quote.
Solo il 13% intende votare «sì» alla domanda sulla scheda, con posizioni più filo-Ue, e il 3% pensa di annullare la scheda.
Sul fronte del no la maggior parte degli elettori di Fidesz (86%), partito di Orban, e dell’estrema destra di Jobbik (88%).
«La nostra unica speranza — dice Noemi Fers, 23 anni, studentessa di architettura – è che non si raggiunga il quorum e che si abbandonino le posizioni emozionali che hanno guidato i miei concittadini nell’ultimo anno a favore di un dialogo più razionale e costruttivo».
(da “La Stampa“)
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