NOMINE E POLTRONE, “MELONI NON PUÒ DECIDERE DA SOLA”
E UN LEGHISTA MINACCIA: “LA MELONI LA PAGHERA’”
Le manca solo la luna. Giorgia Meloni si è presa tutto. Enel, Eni, Poste, Leonardo e Terna. Cinque amministratori delegati su cinque, scelti da lei, senza mediazione, senza tenere conto delle resistenze di Lega e Forza Italia.
Sono ore passate, si racconta, a ragionare, nell’ufficio di Giovanbattista Fazzolari, sulla nomina di Donnarumma come ad di Enel. Anche i ministri di FdI avrebbero avvisato la premier: “La sua nomina potrebbe finire sotto l’attenzione di Consob e Antitrust. Attenta”. Si scrive sotto un’alluvione di telefonate: “Le liste dei cda verranno comunicate a giornali chiusi”; “Meloni vuole che vengano comunicate oggi”; “c’è un problema donne. Dove sono le donne?”.
Ieri mattina, quando la premier ha fatto il suo ingresso a Palazzo Chigi, dicono che fosse irritata dalla lettura dei giornali. Era infastidita per le ventilate minacce di rappresaglia da parte di Lega e FI. Era indispettita dalle frasi del capogruppo della Lega, Riccardo Molinari (“Sarebbe bizzarro che sulle partecipate a scegliere sia solo un partito”).
Gianni Letta, l’uomo che tratta sulle partecipate per conto di Berlusconi, alle ore 11, era al Senato e partecipava alla presentazione dell’ultimo libro di Franco Bernabè. I leghisti si sono affidati alla sua vecchia sapienza: “Dottor Letta, ci provi lei a fare ragionare Meloni. Non si può stravincere così”. Ma perché Meloni avrebbe dovuto rinunciare, lo ha confidato lei stessa, “a quanto Berlusconi, Renzi hanno fatto duranti i loro governi? Da sempre gli ad sono stati scelti dai presidenti del Consiglio. Perché dovrei rompere questa tradizione?”.
E’ sottile, ironica, salace. Chi dice che da oggi qualcosa cambierà non va poi così lontano dal vero. Nel bene e nel male, chi la stima dirà infatti: “Si è fatta valere”. Ma tutti quelli che ha scontentato diranno invece: “Si è ubriacata. E’ tracotante”. Forza Italia vive questo tormento: assecondarla o combatterla?
Alle ore 15, a Piazza Colonna, passa il suo capogruppo, il simpatico Paolo Barelli, atteso a Palazzo Chigi. Delle nomine non parla. I commessi, il creato li benedica sempre, dicono che la scena si svolga tutta nella stanza di Fazzolari. La loro confessione: “Giorgetti che entra, Giorgetti che esce. C’è movimento”. Il viceministro dell’Economia, Maurizio Leo, di FdI, per non sbagliare, se ne torna al ministero. Maurizio Lupi, che esce invece dal retro di Palazzo Chigi, sussurra a un amico: “Prenderà tutto Meloni e nessuno glielo può impedire. Nessuno ha la forza di far cadere questo governo”.
Un leghista, alla Camera, deserta, è sconvolto o forse ha solo aperto gli occhi: “Meloni la pagherà, eccome se la pagherà”. FdI, e i tanti dirigenti, i più astuti, fanno notare che l’equazione dei quotidiani è sbagliata. La Lega, e sono parole loro, “avrebbe già ottenuto Mps con Lovaglio e a Enav la nomina di Pasqualino Monti perché Monti non è in quota FdI, ma in quota Lega”. Il Def, che pure il Cdm approva, passa in secondo piano, così come altre due nomine definite laterali
L’unica cosa certa è che si litiga.
(da il Foglio)
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