“NON ACCETTO CHE BERLUSCONI MI RICATTI SULLA GIUSTIZIA, SULLA NORMA CHE VIETA AI CONDANNATI DI CANDIDARSI”
MONTI: IL “NON CI STO” DEL PREMIER
«Non accetto che Berlusconi mi ricatti sulla giustizia, sulla norma che vieta ai condannati di candidarsi. Non mi faccio logorare sottoponendomi al suo populismo. Io non ci sto». Nello Studio alla vetrata del Quirinale va in scena l’ultimo faccia a faccia tra il premier Mario Monti e il presidente Giorgio Napolitano.
È il più drammatico.
Il premier si incontra con il presidente della Repubblica intorno alle sette di sera. Fuori, Roma è avvolta dal gelo.
In auto, percorrendo il breve tratto che separa Palazzo Chigi dal Colle, Monti telefona ai leader dell’ormai strana maggioranza che gli sono rimasti leali.
A Bersani e Casini preannuncia le dimissioni.
Che pochi minuti dopo comunica e spiega a Napolitano con toni pacati ma fermi. Per questo passo Monti ha scelto il sabato sera considerandolo il momento perfetto: una decisione tanto dirompente meglio renderla pubblica a mercati chiusi e con la domenica in mezzo per approntare le contromisure ad una eventuale tempesta del lunedì mattina sui mercati.
«Non sarò ostaggio di un logoramento demagogico — spiega al presidente della Repubblica — voglio rimanere coerente, non asseconderò chi intende fare una politica contro l’euro e contro le tasse per riaffrancarsi sull’onda della demagogia. Io cado perchè lo ha voluto Berlusconi».
Sono attimi di gelo.
L’aplomb del premier — accompagnato dalla portavoce Betty Olivi e dal vicesegretario generale di Palazzo Chigi Federico Toniato — non rende meno drammatico il colloquio con chi dal Colle più alto a Palazzo Chigi lo aveva voluto tredici mesi fa.
L’analisi del premier è spietata.
Le ultime parole di Berlusconi sono l’inevitabile corollario del suo ragionamento. Per l’ex rettore della Bocconi, tutto precipita per colpa sua.
«Il governo — incalza il Professore — è nato dalla convergenza di tre forze politiche e se ne viene a mancare una, non ha più la possibilità di andare avanti».
Napolitano prima è sorpreso. Non si aspettava una svolta di questo tipo.
Alla fine — dopo un lungo colloquio durato circa due ore, annuisce ed esprime la propria «comprensione» per la decisione.
Ne prende atto.
Poi si passa al lato pratico, a come gestire l’uscita di scena del premier, ai prossimi passi.
Calendario alla mano abbozzano il futuro parlamentare e politico del Paese.
Si decide di schiacciare l’acceleratore sulla Legge di Stabilità , ultimo vitale atto per non affondare l’Italia di fronte ai mercati prima dell’addio del premier.
Il testo sarebbe dovuto sbarcare in aula al Senato il 18 dicembre con voto finale il venti. Ora si pensa di anticipare: aula già martedì e voto finale entro pochi giorni.
Qualche modifica il testo potrebbe subirla visto che la crisi aperta da Berlusconi rende necessario infilare alcune norme urgenti che altrimenti cadrebbero nel vuoto.
E l’accelerazione a Palazzo Madama serve proprio a permettere a Montecitorio l’ultima e definitiva lettura entro Natale.
Nelle prossime ore il premier chiamerà i leader dei partiti per concordare il calendario dei lavori parlamentari e per avere garanzie che il Pdl voterà la Finanziaria evitando al Paese il disastro dell’esercizio provvisorio.
Dopo l’ultimo voto parlamentare, a cavallo del Natale se non prima, Napolitano dovrebbe sciogliere le Camere, con il voto per le elezioni che a questo punto dovrebbe cadere il 24 febbraio o al massimo il 3 marzo (meno probabile).
Monti la sua decisione l’ha maturata in solitudine. Pochissimi ministri e collaboratori ne erano informati.
A questi aveva spiegato che l’attacco di Alfano di venerdì — la situazione con Monti è peggiorata — e le sparate di Berlusconi erano una «inaccettabile» sfiducia a tutta la politica del governo.
«È un modo per mettere il Pdl di fronte alle sue responsabilità — ripeteva — di non fargli fare campagna elettorale sulla nostra pelle».
D’altra parte venerdì in un colloquio telefonico era stato anche Pier Luigi Bersani a far capire a Monti a cosa stava andando incontro. «Tieni presente che da oggi il Parlamento sarà un Vietnam, il Pdl ti ha tolto la fiducia e sappi che ogni voto sarà una vera e propria battaglia».
E poi un consiglio: «Valuta se non devi accorciare i tempi».
Ieri, quindi, l’ultima sfida di Berlusconi a rafforzare le convinzioni del premier, con il Pdl che al Senato ha annunciato una pregiudiziale di incostituzionalità sul taglio delle province, segnandone la morte.
È forte di queste convinzioni che Monti si è presentato da Napolitano e ha ascoltato il resoconto sulle consultazioni di venerdì con i partiti.
Ma non c’è più niente da fare e dopo avere studiato la road map dei prossimi giorni premier e presidente scrivono il comunicato che intorno alle nove di sera annuncia la fine del governo tecnico: «Il presidente del Consiglio ha rilevato che la dichiarazione in Parlamento da Angelino Alfano costituisce, nella sostanza, un giudizio di categorica sfiducia nei confronti del Governo. Non ritiene pertanto possibile l’ulteriore espletamento del suo mandato e ha di conseguenza manifestato il suo intento di rassegnare le dimissioni».
Che saranno «irrevocabili» e arriveranno dopo il voto sulla Legge di Stabilità .
Intanto «accerterà quanto prima se le forze politiche che non intendono assumersi la responsabilità di provocare l’esercizio provvisorio — rendendo ancora più gravi le conseguenze di una crisi di governo, anche a livello europeo — siano pronte a concorrere all’approvazione in tempi brevi» della Finanziaria. Monti ha portato avanti la sua politica fino all’ultimo.
In mattinata si è presentato a Cannes per parlare al World Economic Forum.
Di fronte alla platea internazionale ha rassicurato, ha pronunciato l’ultima difesa dell’Italia ricordando (pur senza preannunciare le dimissioni) che lascerà un Paese in sicurezza, con i conti a posto.
Ma non aveva mancato di piazzare qualche bordata a Berlusconi.
Pur senza citarlo direttamente, aveva insistito sui rischi del populismo anche in Italia, aveva detto basta a facili «scorciatoie» e «promesse illusorie» che fanno leva sugli «sulle visioni viscerali» dei cittadini.
Ora, però, l’epilogo traumatico del governo rimette in discussione tutto. Compreso il ruolo politico di Monti nel 2013.
Il suo eventuale endorsement alle forze politiche che hanno sostenuto lealmente il suo esecutivo fino all’ultimo.
Se non una sua candidatura. Che avrebbe il segno di una “diga” contro il populismo demagogico del centrodestra.
In molti glielo stanno chiedendo in queste ore da dentro e da fuori il governo. In molti glielo chiederanno dall’estero.
Del resto, la decisione di “rompere” con il Cavaliere costituisce una vera e propria mossa politica.
La mossa di chi vuole bloccare la carica disfattista del Pdl targato “Silvio”.
La road map della legislatura cambia, ma a questo punto possono cambiare anche gli assetti delle coalizioni in campo.
Perchè — come spigò solo pochi giorni fa al Quirinale — «la decisione se candidarmi o meno è solo mia».
Alberto D’Argenio
(da “La Repubblica“)
Leave a Reply