“NON ACCETTO RICATTI SUI PROCESSI DI SILVIO”: LETTA ALZA LA VOCE E SPIAZZA ALFANO
“ALTRIMENTI NON POTREI PIU’ USCIRE DI CASA”
“Di fronte a molti pareri di giuristi indipendenti sulla non retroattività della legge Severino. Se questo accadrà lo considereremmo una rottura dell’alleanza ». Alfano non arriva a evocare esplicitamente la crisi di governo, anzi ci tiene a ricordare che «io sono qui a fare il tuo vice perchè è Berlusconi che l’ha voluto», ma il colpo è sufficiente per far alzare la voce a Letta: «Angelino, per noi invece sono inaccettabili questi ultimatum. Non potete fare questi ricatti mischiando due cose che devono restare separate: l’esame tecnico della giunta delle immunità e il lavoro del governo»
Eppure entrambi i quarantenni alla guida dell’esecutivo hanno interesse a non mandare a picco la loro esperienza comune. Il naufragio non conviene a nessuno dei due.
Dunque in quella stanza al primo piano di palazzo Chigi fino alle nove di sera le luci restano accese e molte ipotesi vengono affacciate per venire incontro a Berlusconi, per impedire che si senta intrappolato senza vie d’uscita.
Una su tutte. Se la giunta per le immunità del Senato, sedendo come una sorta di tribunale popolare americano, dovesse ascoltare la difesa di Berlusconi produrre argomenti giuridici a favore della non retroattività della legge Severino, difficilmente si potrebbe far finta di non aver sentito.
Insomma, a patto che la questione non sia «manifestamente infondata », la giunta non potrebbe rifiutarsi di entrare nel merito.
E si aprirebbe in linea teorica la strada per sollevare una «questione incidentale» davanti alla Corte costituzionale
Nel frattempo passerebbero altri mesi e il governo andrebbe avanti.
L’alternativa, più impervia, potrebbe essere quella di una leggina di «interpretazione autentica» del decreto Severino, che ne escluda l’applicazione ai casi anteriori alla sua entrata in vigore.
«Ma quando si arriverà a un voto sulla permanenza di Berlusconi a palazzo Madama – ha messo in chiaro Letta – il Pd voterà quello che deve votare, senza condizionamenti esterni. E io appoggerò le scelte del mio partito, non potrei fare diversamente».
In caso contrario, ha scherzato il premier, «dovrei nascondermi e non uscire più di casa ».
Se nel merito tecnico della decadenza da parte di Letta c’è stato dunque uno sforzo di comprensione e la disponibilità a dare al Cavaliere «il tempo necessario per difendersi », sul piano politico, quello su cui il Pdl vorrebbe trascinare la questione, la chiusura del premier è stata totale.
E Alfano si è sentito ripetere quanto aveva già sentito in pubblico: «Fin dall’inizio di questa nostra esperienza ho chiarito che, per quanto mi riguarda, non mi sarei fatto condizionare dai processi di Berlusconi. Resto fermo a quello»
Lontano da Roma, chiuso ad Arcore ormai da tre settimane, Berlusconi osserva con disincanto l’ultimo tentativo del segretario Pdl per evitare la crisi di governo.
La stessa questione della retroattività della legge Severino lo interessa fino a un certo punto. Ghedini e Longo gli hanno infatti ripetuto fin o alla noia che la giunta di palazzo Madama è solo una delle insidie e nemmeno la più grave.
Incombe infatti il giudizio della Corte d’appello di Milano, che dovrà riformulare la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici.
E da quella sentenza, che Ghedini prevede arrivi a fine settembre, non c’è scudo che possa ripararlo.
Per questo il Cavaliere, nonostante gli avvocati continuino a dirgli di non farsi illusioni, ha ripreso a guardare al Colle, sperando in un improbabile atto di «riabilitazione politica» concesso in via unilaterale da parte di Napolitano.
Magari non la grazia ma la commutazione della pena.
Francesco Bei
(da “La Repubblica“)
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