OGGI SI INAUGURA ALLA GNAM DI ROMA LA CONTESTATISSIMA MOSTRA SUL FUTURISMO VOLUTA DA SANGIULIANO: L’HANNO GIÀ DEFINITA “UN MANICOMIO” E “UNA CIALTRONERIA” (NEL COMITATO SCIENTIFICO, NON SI SA A QUALE TITOLO, SIEDE FEDERICO PALMAROLI, IN ARTE OSHO)
LE POLEMICHE TRA IL CURATORE SIMONGINI E LORENZO MARINI: “NON LO DISCONOSCO MA NON FA PARTE DELLA MIA MOSTRA”… IL CASO DAMBRUOSO CURATORE CON SIMONGINI E POI BUTTATO FUORI CON MODALITÀ DISCUTIBILI
“Il Tempo del Futurismo” nel tempo dello sconcerto. Le frasi più gentili che hanno accompagnato la messa a punto dell’esposizione meglio chiacchierata della contemporaneità e che si apre domani alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, sono da echi futuristi: «Questa mostra è un manicomio». O meglio: «È una cialtroneria»: se detto da chi la mostra agli albori dell’idea l’ha curata, dovrebbe lasciare perplessi.
Eppure proprio grazie a queste contumelie, è in pieno spirito marinettiano che pagava per far scrivere male dei suoi lavori e dunque incuriosire il pubblico. Nel caso in questione, la pubblicità che da un anno accompagna la mostra, arriva persino gratuita.
Perciò nulla ha smosso la macchina messa in piedi dal fu ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano per restituire al popolo di destra il suo immaginario sperso tra i miasmi di una cultura operata solo dalla sinistra. Il ministro avvicendato alla cura del Mic, Alessandro Giuli, ha sposato l’assunto portandolo avanti.
La mostra “Il Tempo del Futurismo” promossa e sostenuta dal Ministero della Cultura e curata dallo storico Gabriele Simongini, celebra l’ottantesimo anniversario dalla scomparsa di Filippo Tommaso Marinetti, avvenuta il 2 dicembre 1944.
Dopo un profluvio di piccole esposizioni dimenticabili, il rivoluzionario movimento d’avanguardia fondato da Marinetti nel 1909 viene grandiosamente rimesso in piedi scegliendo di concentrarsi sul rapporto tra arte e scienza/tecnologia e illustra quel «completo rinnovamento della sensibilità umana avvenuto per effetto delle grandi scoperte scientifiche» posto alla base della nascita del Futurismo.
«Se si pensa che lo tsunami tecnologico dell’intelligenza artificiale sta investendo l’umanità, avverando la profezia della macchinizzazione dell’umano e dell’umanizzazione della macchina preconizzata proprio dai futuristi. La mostra punta a essere inclusiva, didattica e multidisciplinare, si rivolge al grande pubblico e in particolare alle nuove generazioni.
Grazie alla mostra torna in Italia dopo diversi anni uno dei capolavori assoluti del Futurismo, La Lampada ad arco di Giacomo Balla, la sua prima opera futurista, ora conservata al Museum of Modern Art di New York, orgoglio della mostra.
Ci saranno anche i Sobbalzi di Carrozza di Carlo Carrà, un altro capolavoro fondamentale. E ancora Bambina che corre sul balcone di Balla. Oltre a Il trittico degli stati d’animo di Bocconi che arriva dal Museo del Novecento di Milano. Anche il Metropolitan ci ha prestato un autoritratto di Boccioni giovane che inseriremo nella sezione, prima del Futurismo.
Dal Philadelphia Museum of Art arriva uno dei due studi di Marcel Duchamp del Nudo che discende le scale («il primo dei due che mi interessava di più»), l’Estorick Collection di Londra «ci presta l’Idolo moderno di Boccioni che non viene in Italia da diverso tempo e le Boulevard di Severini» e poi un «capolavoro fondamentale come La rivolta di Luigi Russolo» dal Kunstmuseum Den Haag de L’Aia, mentre dai Musei Vaticani arriverà una delle prime opere astratte di Arnaldo Ginna che si intitola Nevrastenia».
L’esposizione «sarà arricchita e vivacizzata da incontri di approfondimento a cura della Fondazione Magna Carta, da Osho e da due installazioni site-specific di Magister Art e di Lorenzo Marini». E proprio su di lui s’incentra una delle polemiche più recenti. Perché lo stesso Marini, già esegeta di comunicazione e di pubblicità, ha firmato il discusso logo della “Gnam” tramutandolo nel suo brand in “Gnamc”, incarico acquisito per affidamento diretto.
Non pago, si è inventato un percorso espositivo, una installazione immersiva che introduce alla mostra stessa.
Tutto questo a insaputa del curatore Simongini che invece adesso precisa: «Non disconosco Marini ma non fa parte della mia mostra. È un lavoro voluto dalla Gnam che apre la strada alla mostra è basta. Precede solo il percorso espositivo. Apripista ma non sarà neppure in catalogo».
Si scopre però che in realtà quello spazio, come rivelato senza tema di smentita da Alberto Dambruoso curatore con Simongini e poi buttato fuori con modalità discutibili, doveva essere occupato da una installazione di Ugo Nespolo tutta luci e colori, scelta da Simongini e da Dambruoso e poi tolta: «L’avevamo scelta – precisa Simongini – perché la mostra doveva arrivare ai giorni nostri.
Invece si ferma all’Arte Povera e dunque Nespolo non c’entrava più». Infatti l’idea primigenia di Simongini e di D’Ambruoso era di arrivare con l’esposizione fino al 2024. «Poi ci hanno vietato di esporre artisti contemporanei e tutto è stato tagliato». Sostiene Giancarlo Carpi, anche lui nel fantomatico comitato scientifico della mostra che venne fatto lavorare per mesi e poi defenestrato assieme al cancellato comitato. L’esposto di Carpi contro il Mic è agli atti.
Meno degli artisti viventi come Grazia Varisco, Guido Strazza, Alberto Biasi, Julio Le Parc e Ugo Rondinone, che invece compaiono in esposizione. Simongini insiste: «Arrivare ai giorni nostri significava mettere in esposizione oltre 700 opere, un’infinità. Questa decisione mi sembra che vada verso il pubblico».
(da la Stampa)
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