OMSA, CRONACA DI UNA MORTE ANNUNCIATA: LE OPERAIE RESTITUISCONO LA TESSERA CGIL
“SIAMO STATE ABBANDONATE DALLA CAMUSSO”… LA PRODUZIONE DEL GRUPPO GOLDEN LADY TRASFERITA TOTALMENTE IN SERBIA…LA RICONVERSIONE DEL SITO PRODUTTIVO RESTA UN MIRAGGIO…COSI’ E’ SCOMPARSA UNA DELLE ULTIME GRANDI INDUSTRIE DELLA ROMAGNA
L’Omsa come la Vynils: cronaca di una morte annunciata.
A Faenza non ci sono segnali per la riconversione del sito produttivo. Non migliore è la situazione negli stabilimenti dell’industria chimica di Porto Torres e Marghera, che sono prossimi alla chiusura.
Se ne è parlato alla libreria Mody Dick di Faenza in un incontro organizzato dal “Gruppo dello zuccherificio per la legalità , la Costituzione e la libera informazione”. Invitati, a colloquio con una rappresentanza delle operaie dell’Omsa, Michele Azzu e Marco Nurra, autori del libro “Asinara revolution”
I due ventisettenni sardi e le operaie faentine si sono conosciuti in Piazza San Giovanni a Roma, lo scorso 10 settembre, in occasione di un tavolo sul lavoro organizzato dal blog dell’Isola.
C’erano Indignati, esponenti del Popolo viola e rappresentanti di tutte le principali vertenze lavorative italiane: Vinyls, Omsa Faenza, Tacconi, Agile-Eutelia, Basell, Fiat, Teleperformance, Aiazzone, Teatro Valle Occupato.
Sono 242 le operaie ancora in forza allo stabilimento produttivo della Golden Lady Spa, di cui il marchio Omsa fa parte.
Solo 30 di loro varcano i cancelli degli stabilimenti produttivi per 4 ore al giorno e intanto la sabbia nella clessidra della cassintegrazione continua a scorrere inesorabile. Restano solo 5 mesi al 14 marzo 2012, giorno in cui cesseranno gli ammortizzatori sociali. Intanto di soluzioni in vista neanche l’ombra.
Alla Vynils pare che un accordo sia stato trovato solo per i 35 operai della fabbrica ravennate, mentre ai colleghi di Porto Torres e Marghera (200 per stabilimento, più tutte le migliaia dell’indotto) non resta che la protesta a oltranza.
In Sardegna la forza è quella della disperazione di chi capisce che non ce la farà , nonostante un anno e mezzo di occupazione dell’Asinara, un paradiso della natura tutt’altro che ospitale.
A Marghera invece gli operai sono tornati sulla torcia dell’impianto, una torre alta 150 metri.
Il 25 maggio e il 25 luglio sono stati organizzati due tavoli ministeriali, il primo a Bologna, il secondo a Roma, per rilevare e riconvertire il sito produttivo dell’Omsa.
A maggio nella sede bolognese della Regione c’erano Gianpiero Castano del ministero dello Sviluppo economico, Giancarlo Muzzarelli assessore regionale alle attività produttive, Claudio Casadio presidente della Provincia di Ravenna, Giovanni Malpezzi sindaco di Faenza, Germano Savorani assessore al lavoro del Comune Manfredo e l’azienda Golden Lady rappresentata dal responsabile del personale Federico Destro.
In quella data è stato individuato l’advisor che si deve occupare di trovare investitori interessati all’acquisto dei due grandi capannoni di proprietà della Golden Lady. L’uomo designato per questo ruolo chiave è l’ingegnere Marco Sogaro, rappresentante della società torinese di consulenza fiscale Wollo Srl. Sogaro, raggiunto telefonicamente ha dichiarato di non poter fornire alcun dettaglio sulla vicenda Omsa, in quanto legato a “un patto di riservatezza” con la proprietà Grassi.
Ma da chi ottenere risposte, se i proprietari storicamente hanno scelto la linea del silenzio?
In questi anni l’interlocutore aziendale, l’uomo che siede ai tavoli ministeriali per Golden Lady è stato Federico Destro, l’uomo irreperibile, perennemente fuori azienda quando lo si cerca.
La sua linea è sempre stata quella del silenzio: mai una parola con la stampa.
Il 25 luglio è stata la volta di un secondo incontro al Ministero dello sviluppo economico, due mesi dopo il tavolo di maggio. In quell’occasione l’incontro con il ministro Paolo Romani è servito a verificare a che punto fosse l’attività dell’advisor incaricato, ma nulla di fatto, ancora una volta.
“Ci sono dei contatti” è il mantra che si sentono ripetere le operaie, ma quali non è dato loro sapere, per “una questione di riservatezza”.
Poche parole si lasciò sfuggire Sogaro a giugno, quando da poco aveva ricevuto l’incarico: “Comprendo l’aspetto sociale del problema, ma i tempi sono dettati da una situazione congiunturale di mercato che non dipende da noi”.
Da chi dipendano i loro guai lo sanno le operaie dell’Omsa.
È diretta la denuncia della Filctem Cgil alla proprietà di Nerino Grassi, l’imprenditore di Castiglione delle Stiviere che “ha deciso di chiudere lo stabilimento di Faenza per continuare ad arricchirsi in Serbia, non rispettando l’accordo firmato al ministero dello Sviluppo economico il 18 febbraio scorso, il quale prevede di proseguire con la produzione ancora esistente e con la riconversione e rioccupazione delle lavoratrici”.
Un gruppo ristretto di queste continua a portare avanti l’impegno quotidiano, per mantenere i riflettori accesi sulla vertenza.
Iniziano però a serpeggiare i malumori di chi sente di aver giocato ormai tutte le carte: la via sindacale, l’apparizione mediatica, la realizzazione del documentario “Licenziata” per la regia di Lisa Tormena, le “brigate teatrali dell’Omsa”, per raccontare attraverso il palcoscenico la favola nera dell’azienda, fino al boicottaggio dei negozi Golden Lady, presidiandone l’entrata nei sabati dello shopping.
Alcune operaie iniziano a nutrire anche una certa disillusione nei confronti dell’appoggio fornito dal sindacato.
Non è stato chiarito ufficialmente dai vertici della Cgil perchè sia stato rimosso dal suo incarico Idilio Galeotti, coordinatore Cgil del comprensorio faentino.
Al sindacalista si deve la strategia, adottata sin dalla prima ora, che ha permesso alle lavoratrici di Omsa di arrivare ad Annozero e dare alla vertenza la eco che merita. Intanto molte operaie hanno restituito la tessera al sindacato, convinte che la mossa di ‘far fuori’ Galeotti sia da iscrivere in un contesto più ampio che giustifica -come si legge nel sito del Popolo viola di Faenza- “il sospetto che buona parte del mondo politico-istituzionale e sindacale avesse avallato da tempo la scelta di Golden Lady di chiudere l’Omsa e per questo avrebbe preferito il silenzio sulla vertenza”.
Accuse di un certo peso che un’operaia, sul suo profilo di Facebook, non ha risparmiato neppure al segretario generale della Cgil Susanna Camusso: “È avvilente, le abbiamo provate tutte! Prima abbiamo chiesto, poi gridato poi anche minacciato e raccolto firme. Abbiamo protestato con la Cgil provinciale, con quella regionale e addirittura con la nazionale, ma anche la signora Camusso che sbandiera tanto i diritti delle donne non ha voluto aiutarci”.
I problemi della faentina Omsa hanno ormai varcato i confini regionali e riguardano altri siti produttivi della Golden Lady.
La multinazionale ha deciso di ridurre drasticamente la sua presenza in Italia: anche negli stabilimenti di Gissi (Chieti) e di Basciano (Teramo) sono in discussione centinaia di posti di lavoro e si prospetta il rischio chiusura.
Fa ridere, di un riso amaro certo, leggere sul sito in quattro lingue della Golden Lady che l’azienda si promuove come “un nome del made in Italy”, “una grande impresa che cammina insieme alla donna italiana” in “un percorso lineare fatto di valori precisi”.
Bisognerebbe chiedere alle dipendenti dell’Omsa, “donne italiane”, se ritengono che la delocalizzazione si possa considerare un valore.
Non basta: anche la “mission” dell’azienda è un degna di nota: tra i “fattori che hanno contribuito al successo dell’azienda — si legge — c’è una capacità di adattamento ai cambiamenti del mercato veloce e funzionale alle richieste”.
Come dare torto a Golden Lady?
Senza dubbio l’azienda è stata veloce, quanto inamovibile, nella sua decisione di spostare il ciclo produttivo in Serbia.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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