ORA SI SCOPRE CHE UNO DEI LEADER DEI GILET GIALLI FRANCESI E’ UN DIPENDENTE PUBBLICO SENZA OCCUPAZIONE PAGATO DALLO STATO 2600 EURO AL MESE
UN PRIVILEGIATO FANCAZZISTA CHE GUIDA GLI ESTREMISTI, SAREBBE INTERESSANTE SAPERE PER CONTO DI CHI (SE GIA’ NON SI SAPESSE)
Qualcuno sente puzza di “trappolone”, in vista della manifestazione dei “gilet gialli” organizzata per sabato 8 dicembre a Parigi.
A partire dall’obiettivo posto nel mirino dagli promotori: la Bastiglia, il non plus ultra a livello di immaginario collettivo per qualsiasi francese. Di qualunque orientamento politico esso sia.
Di fatto, la pietra fondante (e un po’ insanguinata) della Republique stessa.
Perchè “trappolone”?
Dopo le violenze del 1 dicembre, con le scene di guerriglia che per ore hanno fatto da cornice al centro cittadino e l’oltraggio dell’Arco di Trionfo, imbrattato con lo spray dai manifestanti, il governo ha dato vita a una prima parziale, poi pressochè totale resa sulla pietra della discordia: l’ecotassa e l’insostenibile aggravio del costo dei carburanti che comportava per chi con i mezzi di trasporto privati ci lavora.
O, comunque, vivendo fuori dai centri urbani, ne ha necessità inderogabile. Prima una sospensione di sei mesi, poi il ritiro totale.
Stando a un sondaggio condotta da BVA e pubblicato da La Tribune, a quel punto il 70% dei francesi interpellati riteneva che la protesta andasse sospesa. Non la pensavano così i “duri” del movimento, i quali rilanciavano anzi in grande stile l’appuntamento per il weekend a Parigi e in tutto il Paese.
Con tutt’altro che velate minacce, dopo quella mosse all’ala moderata che era disposta al dialogo con l’Eliseo, di disordini violenti in vista della manifestazione.
Lo Stato, a quel punto, ha rafforzato il dispositivo di sicurezza, arrivando a predisporre uno schieramento in tutto il Paese dal numero record di 89mila fra poliziotti e gendarmi e facendosi sfiorare dalla tentazione di schierare anche l’esercito. Di fatto, un stato d’assedio.
Motivato però da un allarme reso pubblico dal ministro dell’Interno, Christoph Castaner: si teme addirittura un colpo di Stato, con tanto di parlamentari ritenuti bersagli della protesta e a rischio di attentati a colpi d’arma da fuoco. Insomma, un’insurrezione in piena regola. Organizzata pubblicamente su Facebook. E qui, qualcuno vede appunto il trappolone.
Dopo l’apertura ai manifestanti e la presa d’atto del loro rifiuto a qualsiasi forma di dialogo, Emmanuel Macron ha chiuso i canali di comunicazione e dall’Eliseo si è fatto sapere che il presidente parlerà della situazione soltanto all’inizio della settimana prossima. Ovvero, dopo la manifestazione.
La quale, se degenerasse in atti violenza come quella del 1 dicembre, come appare più che probabile, potrebbe portare in dote un passaggio automatico: la proclamazione dello stato di emergenza, ipotesi circolata per ore dopo le devastazioni dello scorso fine settimana ma tenuta nella fondina come extrema ratio.
Di fatto, il ritorno in auge ufficiale dei pressochè pieni poteri di cui godette l’Eliseo per tre anni dal 13 novembre 2015, giorno della loro proclamazione come reazione immediata alla strage del Bataclan.
E, se davvero alla Bastiglia sarà guerriglia di strada, Macron potrà farlo con l’appoggio della nazione, magari non totale ma certamente maggioritario, soprattutto dopo il braccio di ferro della scorsa primavera-estate con la CGT sulla questione ferrovie che costò al Paese settimane di paralisi nei trasporti.
E già oggi la protesta dei “Gilet gialli” è costata parecchio alla Francia: la comparazione fra l’andamento degli ultimi giorni dell’indice benchmark della Borsa di Parigi, il CAC40 e quello di tre titoli-simbolo rispetto all’impatto delle proteste è disarmante.
Si tratta della catena di grande distribuzione Carrefour e dei gestori di infrastrutture stradali Accor SA e Vinci SA. La prima ha patito un vero tracollo delle vendite, addirittura fino al 20% in alcune aree del Paese, a causa del mancato shopping o dei furti e degli atti di vandalismo, mentre i secondi due hanno pagato lo scotto ai mancati pedaggi incassati, visto che i “Gilet gialli” obbligano i casellanti a far passare gli automobilisti senza pagare.
E non è stata esente da danni nemmeno l’industria del turismo, vera e propria miniera d’oro per una città come Parigi e per l’intero Paese: prenotazioni crollate fino al 25%, anche per il periodo natalizio e di Capodanno.
Dinamica rivelatasi ancora peggiore per i solitamente pienissimi ristoranti e bistrot della Capitale, i quali hanno registrato fino al 50% in meno di presenze.
Stando a uno studio della Nielsen, le sole proteste di sabato 1 dicembre hanno comportato un calo medio dell’8% di vendite di beni di largo consumo a livello nazionale. A quel punto, il governo è capitolato.
Tenendosi però un paio di assi nella manica. Primo, appunto, l’ipotesi di utilizzo dei mezzi repressivi estremi come lo stato d’emergenza, il quale contempla anche il potere unilaterale per l’Eliseo di vietare le manifestazioni di pubblico dissenso per motivi di sicurezza nazionale.
Secondo, la delegittimazione delle ragioni di base del movimento di protesta, sfruttando i paradossi della sua eterogeneità e spontaneità originaria. Almeno stando alla narrativa.
Quello ritratto nella foto qui sopra è uno dei leader dei “gilet gialli”, Jean-Franà§ois Barnaba, volto che i telespettatori e radio-ascoltatori francesi hanno imparato a riconoscere al volo nelle ultime settimane, visto il suo altissimo tasso di presenzialismo e la sua parlantina da leader nato.
Sono suoi i discorsi più infuocati a difesa della linea più oltranzista, tutti improntati alla solidarietà verso le classi meno abbienti e contro un governo definito come emanazione diretta e cane da guardia delle lobby, finanziaria in testa.
Bene, le Nouvelle Observatour ha però scoperto che questo moderno Robespierre dal viso tondo e dalla risata contagiosa non rappresenta, nei fatti, il profilo dello sfruttato classico, nè del nemico dello Stato dal profilo romanticamente anarchico alla Cèline: è infatti un dipendente pubblico, nella fattispecie un “funzionario territoriale” con un paio di prerogative che lo rendono un po’ meno credibile agli occhi dell’opinione pubblica nella veste di contestatore dello status quo.
Non solo è senza occupazione da dieci anni, esattamente dal 31 dicembre 2008 ma nel frattempo, pur essendo demansionato, riceve comunque dallo Stato regolare stipendio. Da 2600 euro netti al mese.
Il combattivo 62enne, infatti, rientra nello status particolare noto come FMPE, Fonctionnaire momentanèment privè d’emploi, peccato che nel suo caso quell’avverbio sia declinato in maniera un po’ ampia, visto che si trova in quella condizione — magari mobbizzante e frustrante ma certamente privilegiata, da molti punti di vista — da dieci anni.
E perchè? Stando alla spiegazione che lo stesso Barnaba ha fornito alla trasmissione Quotidien su TMC, “a causa di un conflitto in atto con i miei superiori gerarchici”. Ma c’è da dire che prima di lanciarsi nell’avventura rivoluzionaria a tempo pieno, il demansionato più famoso di Francia ha occupato in maniera utile il suo tempo libero (e ben remunerato), visto che ha scritto un libro, Vortex, un romanzo poliziesco auto-pubblicato nel 2016 con l’editore Edilivre e nella sua biografia spiccano hobby come “consigliere tecnico e direttore culturale per la collettività , capo d’orchestra e direttore di conservatorio. Da sempre vivo immerso tutti i giorni nell’universo dell’arte, della politica e dell’amministrazione”, ha confermato dopo l’intervista che lo ha reso un volto noto in tutto il Paese.
Interrogato sulla contraddizione rappresentata dal suo status di dipendente pubblico privilegiato — di fatto ben pagato dallo Stato per coltivare hobby privati da dieci anni — e leader del movimento di protesta, Barnaba ha dichiarato con teatrale gravità di pensiero che “questa mediazione di ruoli, mi dà una responsabilità , non posso scomparire durante la notte”.
Se per caso l’8 dicembre le cose dovessero precipitare nelle strade di Parigi, il primo a non volerne la scomparsa ma, anzi, invocarne e stimolarne l’onnipresenza mediatica, potrebbe essere paradossalmente proprio il bersaglio delle lotte di Barnaba, fra una direzione d’orchestra e la stesura di un nuovo romanzo. Il presidente Macron.
(da “L’Espresso”)
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