Novembre 20th, 2024 Riccardo Fucile
SE DISTRUGGE CIÒ CHE RESTA DEL M5S, VIENE A MANCARE L’APPORTO DEL M5S AL CAMPO LARGO… A CHE GIOCO STA GIOCANDO GRILLO? PER CONTO DI CHI? E’ IL MOMENTO DI PORSI LA DOMANDA
Se in Liguria, grazie a un migliaio di voti in più portati da Scajola, ha cantato vittoria, la doppia sberla ricevuta alle regionali in Emilia-Romagna e Umbria ha stordito la tronfiaggine borgatara di Giorgia Meloni. L’illusione di invincibilità, alimentata dalla vittoria in Liguria, è crollata tra un tortello emiliano e un salume umbro.
Certo, la Ducetta non si aspettava di vincere in Emiliano Romagna, regione rossa per eccellenza, fortino storico del Pd ancora inavvicinabile per la destra. Ma non una scoppola che poi è arrivata: il candidato del centrosinistra De Pascale 56,77% mentre Elena Ugolini, front woman del centrodestra, si è fermata al 40,07%.
Il presunto “testa a testa” a Perugia è divenuto un ceffone: 5 i punti percentuali di scarto tra la vincente Stefania Proietti la presidente uscente, la leghista Donatella Tesei. Peggio è andata sui voti di lista: ben 11 i punti che separano Fratelli d’Italia (19,44%) dal Pd (30,23%). Una mezza disfatta.
Ora la Statista della Garbatella è agitata: un “fascio di nervi”. Al punto che, come mai prima d’ora, è stata costretta ad abbassare la cresta ed ammettere la sconfitta: “I cittadini hanno sempre ragione. Hanno scelto un’altra parte. Ne prendiamo atto, faremo le nostre valutazioni. Bisogna interrogarsi su quanto non ha funzionato. Non vincere sempre aiuta a mantenere i piedi per terra”. Amen.
Ad affollare la cofana bionda della Meloni è soprattutto il costante tracrollo della Lega. Il Carroccio, che cinque anni fa dominava la coalizione (arrivando con Lucia Borgonzoni a rendere quasi contendibile l’Emilia-Romagna), è ormai la terza, fragilissima, gamba della coalizione, dopo Forza Italia by Tajani (ed è tutto dire).
Il dramma, per la Meloni, è che i consensi persi dalla Lega non vengono più travasati all’interno dell’alleanza di Governo (dal Carroccio a Fratelli d’Italia o a Forza Italia), ma escono dal perimetro del centrodestra per andare a ingrossare le fila dell’astensione.
Il dato, che emerge chiaramente dall’analisi dei flussi in Umbria, crea un problema laddove il centrosinistra corre unito, diventando estremamente competitivo. Ed è un guaio per la Ducetta in vista delle regionali del 2025, quando si voterà in Puglia, Campania, Marche, Valle d’Aosta, Toscana e Veneto.
Se prima dell’Umbria il calo di consensi della Lega era un godimento per la Sora Giorgia (calava Salvini, cresceva lei), ora la “dispersione” dei consensi leghisti è diventata un problema per tutti. Soprattutto per la premier dagli otoliti scossi, che nel comizio finale a sostegno di Donatella Tesei ha ribadito: “Il mio unico limite è il consenso dei cittadini”. E quello, si sa, prima o poi svanisce…
Ecco allora che Giorgia Meloni si ritrova con un…Grillo per la testa! La nuova speranza, per la Thatcher di Colle Oppio, è Beppe-Mao.
A Palazzo Chigi confidano nelle mattane del comico genovese: se, come probabile, “l’Elevato” si dedicherà a distruggere, o quantomeno azzoppare, Conte e lo stesso Movimento che ha fondato, farà un grosso favore a Fratelli d’Italia.
La guerra intestina tra i Cinquestelle, che ha già portato il partito a percentuali horror (4,5% in Umbria, 3,55% in Emilia-Romagna, lì dove nel 2009 fu eletto il primo grillino, Giovanni Favia, poi espulso), potrebbe infatti indebolire ulteriormente l’opposizione: a quel punto, il centrosinistra sarebbe nelle sole mani di Elly Schlein e dell’accoppiata Bonell-Fratoianni.
Se Grillo rompe i cojoni a Conte, facendo prevalere l’idea (condivisa e spinta da Travaglio) di riportare il M5s all’equidistanza (“né di destra né di sinistra”) il campo largo diventa un campetto innocuo.
Se “Io so’ Giorgia” è ridotta a sperare in Grillo, Salvini si ritrova con le spalle al muro: ha imposto lui il nome della governatrice uscente, Donatella Tesei, e ha perso.
Divenuto un re Mida al contrario, l’ex Truce del Papeete ha dovuto subire anche la presa di distanza di Palazzo Chigi che, attraverso fantomatiche “fonti”, ha fatto arrivare ai giornali i presunti avvertimenti della Meloni: “Con la Tesei perdiamo, cambiamo candidato”. Della serie: Giorgia non la voleva, Salvini sì e ha fatto schiantare tutti.
E visto che al peggio non c’è mai fine, il “Capitone”, senza Zaia candidato, perderà anche il Veneto, la vera cassaforte leghista.
Salvini si è espresso contro il terzo mandato di Luca Zaia. E ora vede franare la terra sotto i piedini: con il “Doge” non ricandidabile, il Veneto se lo papperà Fratelli d’Italia (la “Fiamma Tragica” già rivendica la decisione sulle candidature del prossimo anno, dopo il tracollo salviniano).
Con una Lombardia a guida Fontana sostanzialmente commissariata dal tandem La Russa-Santanchè, un possibile governatore meloniano in Veneto, la Lega è morta.
Morale della fava. Salvini è a pezzi. E come ogni animale ferito, è più pericoloso che mai: quanto a lungo potrà restare con le chiappe al ministero delle Infrastrutture mentre i malumori (eufemismo) nel suo partito, in preda a un’emorragia di voti continua, stanno montando come una mayonese.
E soprattutto: con la legge sull’Autonomia in bilico, la Lega può permettersi, nel 2025, di vedersi sfilare il Veneto, sua regione fortino, simbolo e cassaforte? A quel punto di non ritorno, avrà la forza Zaia di accompagnerà Salvini ai giardinetti?
(da Dagoreport)
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Novembre 20th, 2024 Riccardo Fucile
CORRELAZIONE TRA VIOLENZA DI GENERE E IMMIGRAZIONE IRREGOLARE: RELAZIONI DEL VIMINALE E ISTAT SMENTISCONO PREMIER E I DUE MINISTRI
Continuano a far discutere le parole pronunciate dal ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara sul presunto legame tra l’incidenza delle violenze sessuali e l’aumento dell’immigrazione irregolare in Italia.
Ieri Giorgia Meloni, durante il punto stampa a margine del G20 di Rio de Janeiro, ha dato ragione al ministro e ha detto che esistono “sicuramente dei dati che parlano anche di un’incidenza significativa dell’immigrazione illegale di massa su questa materia”.
A difendere Valditara ci ha pensato anche Matteo Salvini, secondo il quale “le violenze sessuali sono aumentate in corrispondenza al fenomeno migratorio”. Il leader della Lega ha citato, senza però entrare nel dettaglio, i dati pubblicati dall’Istat e dai ministeri “che mettono chiaramente in correlazione il fenomeno migratorio con l’aumento di questi reati”.
In realtà però, è lo stesso Istat a smentire tutti e tre. Nell’ultimo rapporto sugli omicidi, relativo al 2022, l’istituto certifica come il 93,9% delle donne assassinate in Italia è uccisa da italiani e non stranieri.
Anche l’ultimo report di Donne in Rete contro la violenza (D.i.Re) segnala che il 74% degli autori di violenza contro le donne è italiano, mentre solo il 26% risulta straniero. Il che, osserva il rapporto, “mette in discussione lo stereotipo diffuso che vede il fenomeno della violenza maschile sulle donne ridotto a retaggio di universi culturali situati nell’altrove dei paesi extraeuropei”.
Allo stesso modo, tra gli autori di violenze sessuali denunciati o arrestati dalla polizia nel 2022, più della metà (circa il 57%) era italiano. Il restante 43% ha origini straniere, ma non viene in alcun modo precisato quanti di questi fossero presenti in maniera irregolare sul territorio e quanti no.
In generale, non ci sono dati che provino che un eventuale aumento della violenza di genere sia in qualche modo correlato all’incremento dell’immigrazione irregolare, proprio perché sia l’Istat che le relazioni pubblicate periodicamente dal ministero dell’Interno non distinguono tra stranieri regolari e clandestini.
Oltretutto, l’aumento delle violenze sessuali di cui parla Valditara non trova riscontri nei numeri, che mostrano un andamento sostanzialmente costante negli ultimi anni.
Il report settimanale del Viminale segnala ad esempio, che dal 1° gennaio al 17 novembre di quest’anno sono stati commessi 98 femminicidi e 51 donne sono state uccise dal loro partner o da un ex. Nello stesso periodo, nel 2023, risultavano 108 le vittime di femminicidio e 58 le donne assassinate dai loro compagni o ex.
Ugualmente, se si guarda ai numeri sulle violenze sessuali denunciate negli ultimi tre anni il trend pare grosso modo costante: 5.274 nel 2021, 6.293 nel 2022, 6.231 nel 2023. Insomma non è possibile asserire, come ha fatto il ministro, che ci sia stato un aumento delle violenze, ma si tratta piuttosto di un’emergenza oramai sistemica. Nè tantomeno, come hanno insistito Meloni e Salvini, che esista una correlazione tra violenza di genere e fenomeno migratorio.
(da Fanpage)
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Novembre 20th, 2024 Riccardo Fucile
CATTOLICO, È IL NOME IN ASCESA PER AGGREGARE I MODERATI DI CENTROSINISTRA
Fanno i calcoli al Nazareno, quartier generale del Pd, e sono calcoli molto semplici quelli riguardanti M5S nelle ultime tornate elettorali nelle regioni: 7 per cento in Sardegna, 7 in Abruzzo, 7 in Basilicata, 6 in Piemonte, 4 in Liguria, 3 in Emilia Romagna, quasi 5 in Umbria.
Una tabellina horror. Con questi numeri – è il ragionamento dei dem – difficile vincere, come centrosinistra o campo largo o chiamatelo come vi pare, le elezioni politiche e sono a rischio anche le prossime regionali nel 2025 (Veneto, Campania, Puglia, Marche, Toscana).
Quindi? Domanda semplice e risposta semplicissima per Elly Schlein: serve recuperare al centro i voti che M5S non porta più.
È necessario – questo il ragionamento che si va facendo nel Pd ma anche negli ambienti culturali, politici, mediatici, di potere che lo fiancheggiano – che esista una gamba centrista della coalizione capace di essere utile alla vittoria. Valorizzando personalità nuove e caratterizzanti, in grado di attirare, come faceva un tempo la Margherita, consensi non di sinistra-sinistra (a quello ci pensa e ci sta pensando con successo il Pd), ma moderati, di centro e di frontiera, provenienti da quella vasta area politico-culturale situata nella terra di mezzo e rassicurante per molti poteri e per molte istituzioni.
Sì, bene, ma quale personaggio nuovo può svolgere questo prezioso lavoro di allargamento della sinistra oltre il campo della sinistra? La figura a cui si sta pensando da più parti e in tante stanze importanti – anche Oltretevere? – sarebbe quella di Ernesto Maria Ruffini. Certo, ad occhio, avere come leader politico chi attualmente dirige l’Agenzia delle Entrate non parrebbe una mossa molto pop. Ma guai a fermarsi alla prima impressione, dicono in certe parti del Pd. Perché Ruffini – classe 1969, palermitano – è una figura istituzionale di valore, un dirigente pubblico stimato e conosciutissimo nei palazzi che contano.
La carta Ruffini, per rinforzare al centro il centrosinistra, rappresenta soltanto una suggestione? No, è qualcosa di più. Se ne parla tanto intorno a lui. Il quale avrebbe il pedigree adatto per svolgere il ruolo di leader politico della zona di mezzo. Viene da tradizioni politiche molto solide: figlio di Attilio Ruffini che è stato più volte ministro Dc e figura di peso nella storia repubblicana; nipote del cardinale e arcivescovo di Palermo, Ernesto Ruffini (1888-1967); fratello minore del giornalista Paolo che è prefetto del Dicastero per la comunicazione della Santa Sede. Sarà per questo che, tra i dem, quando si parla dell’ipotesi Ruffini, della carta cattolico-progressista che lui rappresenta, si dice sorridendo: «Ci salveranno i preti!».
(da il Messaggero)
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Novembre 20th, 2024 Riccardo Fucile
DL FLUSSI, RESPINTO EMENDAMENTO OPPOSIZIONE… I SEDICENTI PATRIOTI VENDONO LA DIGNITA’ DEL NOSTRO PAESE PER UN PUGNO DI SOLDI LORDI DI SANGUE INNOCENTE
L’Egitto resta un Paese sicuro. Nonostante le nuove rivelazioni sul delitto Regeni. In commissione Affari costituzionali nella notte sono stati bocciati tutti gli emendamenti delle opposizioni che chiedevano di escludere il Cairo dalla lista dei “Paesi sicuri”, prevista dal decreto flussi.
Lo rende noto il parlamentare Pd Gianni Cuperlo per poi sottolineare: “E’ grave e oltraggioso che questa decisione sia stata presa proprio nel giorno in cui, nel processo per l’omicidio di Giulio Regeni, è stata acquisita la testimonianza di un detenuto dello stesso carcere”.
“Lo stesso testimone – ha osservato Cuperlo – ha riferito che altri prigionieri rientravano dagli interrogatori con segni evidenti di violenze subite confermando le sistematiche violazioni dei diritti umani che si consumano nelle carceri egiziane”.
Il parlamentare dem ha citato anche il rapporto di Freedom House che classifica l’Egitto “come un ‘Paese non libero’ a causa dei sistematici abusi delle forze di sicurezza, condizioni carcerarie disumane e un preoccupante aumento delle condanne a morte e delle esecuzioni sotto il regime di al-Sisi”. “Un quadro allarmante che rende la decisione di bocciare tutti gli emendamenti delle opposizioni non solo inaccettabile, ma moralmente insostenibile”, conclude Cuperlo.
Tra i Paesi considerati sicuri dal governo oltre all’Egitto anche il Bangladesh e il Marocco.
Magi: “Con ‘Paesi sicuri’ nascondono flop Albania”
“In commissione Affari Costituzionali si sta compiendo l’ennesimo scempio. Nella tarda serata di ieri è stato approvato l’emendamento del governo che ha fatto confluire nel decreto flussi il decreto paesi sicuri: una grave forzatura che non eviterà il dovere dei giudici di verificare, di fronte a casi specifici, la drammatica realtà di Paesi che sono sicuri solo nella testa di Meloni, Piantedosi e Salvini. Il silenzio surreale di maggioranza e governo durante i lavori dimostra la loro totale mancanza di argomenti e di coraggio nel tentare goffamente di nascondere il fallimento sempre più evidente, e sempre più costoso per i cittadini, della campagna d’Albania: con un colpo solo calpestano i diritti umani, calpestano le leggi europee e calpestano il Parlamento italiano”. Lo dichiara il segretario di +Europa Riccardo Magi.
Pd: “Crociata ideologica contro migranti, ong e magistratura”
“Il Partito democratico ha cercato di contrastare fino a tarda serata in Commissione Affari Costituzionali l’emendamento del governo che inserisce l’originario decreto Paesi sicuri incardinato inizialmente al Senato, nel decreto flussi in fase di conversione alla Camera. Ancora una volta, la maggioranza, piegandosi alla Lega, chiude ogni spazio di confronto, perseguendo una crociata ideologica contro migranti, Ong e magistratura”. Lo affermano i deputati dem in prima Commissione, che hanno criticato l’emendamento sia nel metodo che nel merito.
(da agenzie)
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Novembre 20th, 2024 Riccardo Fucile
LA DIRIGENTE SCOLASTICA: “EDUCATE A COLTIVARE SOLO IL MITO DEL DENARO”
Si chiama Tina Gesmundo, è dirigente scolastica del liceo Salvemini di Bari e ha avuto il coraggio di dire ai genitori degli alunni che la crisi dei giovani è prima di tutto colpa loro.
L’edizione barese di Repubblica racconta che la preside ha fatto un discorso significativo durante un Open Day: «Questa scuola va di moda, l’anno scorso ci sono stati moltissimi iscritti. Alcuni sono bulletti che fotografano le targhe delle auto dei professori, che sfottono un compagno per un brutto voto, perché in sovrappeso o troppa magra». Ma secondo lei non c’entrano i social: «Così è troppo facile». C’entrano invece «voi genitori che sovrapponete i vostri desiderata alle vite dei vostri figli, educate a coltivare solo il mito del successo e del denaro».
Quelli della Bari-bene
Gesmundo ha detto che «ci sono quelli della Bari-bene che mi fanno chiamare dagli assessori regionali per raccomandare i figli, i padri innamorati dell’indirizzo sportivo pensando di avere in casa calciatori, quelli del Cambridge che camminano con la puzza sotto al naso e s’aspettano i viaggi, ma da qui non si parte se perché altrimenti tutti gli altri devono rinunciare alla carta igienica. Ecco: se dovete venire qui per questo, andate altrove. E comunque ascoltate i vostri figli, insegnate la cura, non a coltivare sogni di gloria e ricchezza. Questa una scuola dedicata a un oppositore del fascismo, rispettatela». Al telefono con il quotidiano la prof conferma tutto: «Ho detto anche che mi hanno chiamato alcuni preti, per le raccomandazioni».
(da Repubblica)
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Novembre 20th, 2024 Riccardo Fucile
CIRCA 1,2 MILIONI DI PRESTAZIONI SANITARIE SONO A RISCHIO, TRA CUI 50MILA ESAMI RADIOGRADICI, 15MILA INTERVENTI CHIRURGICI E 100MILA VISITE SPECIALISTICHE
Sulla base delle informazioni che iniziano ad arrivare dai territori, le percentuali di adesione allo sciopero in corso oggi di medici, dirigenti sanitari, infermieri e professionisti sanitari “sono molto alte, fino a punte dell’85% compresi gli esoneri previsti per legge”.
E’ quanto dichiarano Pierino Di Silverio, segretario Anaao Assomed, Guido Quici, presidente Cimo-Fesmed, e Antonio De Palma, presidente del sindacato degli infermieri Nursing Up. “Un segnale importante – scrivono in una nota – che dovrebbe far riflettere sulle condizioni di lavoro inaccettabili negli ospedali e sulla condivisione delle ragioni della protesta “.
Lo sciopero nazionale è in corso dalla mezzanotte per protestare contro la legge di Bilancio 2025 considerata ‘deludente’. Accompagnato da una manifestazione a Roma, è proclamato dal sindacato dei medici ospedalieri Anaao-Assomed, dal sindacato medico Cimo Fesmed e dal sindacato degli infermieri Nursing Up. Sono 1,2 milioni le prestazioni sanitarie che potrebbero saltare oggi: a rischio, affermano le sigle sindacali, sono tutti i servizi di assistenza, esami radiografici (50mila), 15mila interventi chirurgici programmati e 100mila visite specialistiche.
Il testo della Legge di Bilancio per il 2025, sostengono i sindacati, “conferma la riduzione del finanziamento per la sanità rispetto a quanto annunciato” e la manovra, rilevano, prevede un aumento dell’indennità di specificità medica sanitaria di 17 euro netti per i medici e 14 euro netti per i dirigenti sanitari per il 2025, 115 euro nel 2026 per i medici e zero per i dirigenti sanitari, mentre nelle tasche degli infermieri arriverebbero per il 2025 circa 7 euro e per il 2026 circa 80 euro.
Altri motivi della protesta toccano inoltre i contratti di lavoro, compresi quelli dell’ospedalità privata, a cui “vengono assegnate risorse assolutamente insufficienti”; mancata detassazione di una parte della retribuzione; mancata attuazione della normativa sulla depenalizzazione dell’atto medico e sanitario. In piazza anche per protestare contro l’assenza di risorse per l’immediata assunzione di personale e la mancata introduzione di norme che impegnino i ministeri competenti all’immediata attivazione di Presidi di Pubblica Sicurezza negli ospedali italiani al fine di renderli luoghi sicuri per il personale che vi opera.
(da agenzie)
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Novembre 20th, 2024 Riccardo Fucile
NON PASSA LA MOZIONE CHE IMPONEVA DI STOPPARE L’ITER DEL DDL, DOPO CHE LA CONSULTA HA FATTO A BRANDELLI IL TESTO … FORZA ITALIA FRENA: “SE NE RIPARLA TRA UN ANNO”
Il tricolore innalzato su tutti i loro banchi, le opposizioni che lo stringono al petto e intonano l’inno nazionale contro una maggioranza che però risponde picche e non molla la presa. Non passa la mozione di Pd, M5s, Avs, Iv e Azione. Nessuna marcia indietro sull’autonomia differenziata, avverte in aula il ministro agli Affari regionali Roberto Calderoli.
Nessuno stop ai tavoli e alle trattative. Come se la Corte Costituzionale non avesse mai anticipato la sua decisione. Come se non ci fosse una sentenza, in difesa della coesione della Repubblica, pronta a calare sulle ambizioni delle “repubblichette”. E alla Camera è bagarre, ancora una volta.
La terza lite in Parlamento, in un anno, con i cori «Vergogna, vergogna», e sempre intorno allo Spacca Italia. «Game over, caro Calderoli. Se ha un problema a spiegarlo a Zaia e a Fontana, non può essere un problema del Paese», alza la voce il dem Marco Sarracino. «Vi hanno demolito i pilastri della legge e fischiettate, siete dilettanti», incalza il leader del M5s Giuseppe Conte.
La maggioranza tiene il punto: anche se c’è il dato politico che non riuscirà a depositare la sua mozione. Dietro l’apparente compattezza, la Lega è sempre più sola con la sua riforma. E il clima, tra Camera e Senato, risente non poco della doppietta per la sinistra alle Regionali.
Lo scontro in aula sigilla la bocciatura (155 no, 124 sì e due astenuti) del testo delle opposizioni. Che imponeva di prendere atto della pronuncia della Consulta e chiedeva due stop: interrompere le intese sulle “materie non Lep” e sciogliere anche il comitato per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (il Clep, guidato dall’ex giudice costituzionale Cassese).
Ma la destra fa scudo. Il ministro Calderoli spiega che il governo va avanti, spuntano le bandiere sui banchi delle opposizioni, si sollevano, sventolano. Alle risate dai banchi della destra, la sinistra urla: «La Corte vi ha massacrato una legge, dovreste piangere».
Il ministro delle Autonomie spiega: «Il governo non può che esprimere parere contrario. Le richieste pervenute dalle Regioni riguardano esclusivamente le materie non-Lep». Concede solo che non aprirà altri tavoli. Poi temerariamente, Calderoli aggiunge: «Pur in attesa di conoscere la sentenza della Corte costituzionale, non posso non rilevare come quanto emerga dal comunicato abbia un impatto limitato sulle materie non-Lep e sia perfettamente coerente con il negoziato avviato».
D’altro canto, è la stessa linea del presidente del Veneto, che solo poche ore prima aveva rincarato la dose: annunciando il primo passo formale, con l’invio del dossier al ministero, della richiesta di ottenere la Protezione civile. «L’obiettivo è semplificare ed efficientare», scandisce Zaia.
Ma individuando quali funzioni (peraltro ancora prive della determinazione dei Lep), visto che l’intera materia non è trasferibile, come sentenzia la Corte? E con quali motivazioni a giustificare una pretesa migliore efficacia regionale. Soprattutto: con quali risorse e dentro quale equilibrio finanziario. Si vedrà.
(da La Repubblica)
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Novembre 20th, 2024 Riccardo Fucile
CALDEROLI BOCCIATO IN AUTONOMIA PROVA A FARE IL GRADASSO
Il giocoliere Calderoli, detto “l’odonto-statista”, “il matto”, e persino “il pasticcione”, è un gigante dello spettacolo. Viene da Bergamo, aggiustava i molari, ma è capace di esibirsi in numeri più divertenti del circo cinese. In Parlamento fa il domatore di leggi che finiscono sempre per rincorrerlo e morderlo. Mentre nel giardino di casa, sui colli di Mozzo, dove ospita gatti, maiali, lupi e altri carnivori s’è salvato dalla tigre che dopo lo svezzamento ha preferito mangiarsi un cane anziché la sua polpa di ministro.
A questo giro, la Corte costituzionale si è divorata la sua appetitosa riforma sull’Autonomia regionale differenziata, che ha cucinato per una trentina d’anni, meschino, stavolta con il proficuo contributo del professore, giurista e presenzialista Sabino Cassese, una Italexit con polenta e virgole, che a essere gentili, manderebbe in malora l’Italia, trasformando le venti Regioni in altrettanti staterelli allo sbando nel mare grande della globalizzazione e dei suoi naufragi.
La Corte ha stabilito che la riforma ha (perlomeno) sette buchi nello scafo, sette voragini di incostituzionalità che non rispettano l’unità nazionale, la sussidiarietà tra le Regioni e l’uguaglianza di tutti i cittadini indipendentemente se nati nella bambagia di Lombardia o tra il cisto spinoso di Calabria e Sardegna.
Una riforma che dovrebbe suddividere il bottino fiscale in parti diseguali. Da consegnare alle Regioni secondo la loro spesa storica. Il che vorrebbe dire consolidare i privilegi delle più ricche a scapito delle più povere con perequazioni, i famosi Lep, i livelli essenziali di prestazione, che ancora nessuno ha calcolato. Nel frattempo autorizza le gabbie salariali. E affida a ogni Regione 23 competenze che vanno dalla Sanità all’Istruzione, dal Commercio con l’estero alle banche, dalla ricerca scientifica ai beni culturali. Cioè quasi tutto – tranne Forze armate e Giustizia, al momento – tanto da moltiplicare il groviglio di norme, la rete dei regolamenti, il ginepraio delle procedure, destinati a formare una miscela di tali e tanti incompatibili paradossi da dissolvere in un amen l’intera nazione tanto cara a Garibaldi e alla Meloni.
La bocciatura della Consulta gli è arrivata dritta alla mascella come un gancio, disorientandolo, più di Tyson, il toro. “Sono soddisfatto” ha dichiarato il Calderoli, mentre a bordo ring ancora gli facevano aria. Poi, con l’aiuto dell’ossigeno dei telegiornali, l’ha fatta facile: “Ma sì, aggiusteremo, riscriveremo”. Come no: “L’importante è che la Consulta ha riconosciuto la costituzionalità dell’autonomia” ha detto, infilando due errori in una sola frase, la logica e il congiuntivo. Non contento, il giorno dopo, ha ricominciato a fare il gradasso: “E una volta riscritta la riforma, spero che la sinistra taccia. Taccia per sempre”. Minaccia che ha fatto saltare sulla sedia i cuori semplici e la Elly Schlein. Che andrebbero tutti rassicurati con una favola della buonanotte, la favola del Calderoli.
Nacque il Riccardo nel mese (del pesce) d’aprile, anno 1956 a Bergamo, primo slogan imparato con le frittelle dello zio federalista: “Bergamo nazione, tutto il resto Meridione”. Studia da dentista, come il padre, il nonno, quattro dei suoi otto fratelli e nel 1982, mentre sfascia automobili nei rally d’Appennino, si laurea chirurgo maxillofacciale.
L’incontro fatale con Bossi – “un tizio che veniva da Varese e diceva: passerò alla Storia” – avviene durante la festa più adatta, quella del Carnevale. La maschera secessionista gli va a pennello, anche lui predica la supremazia della “razza padana, razza pura, razza eletta”. Lo fa nel primo comizio della sua vita in bergamasco stretto. Gli credono. Entra in Consiglio comunale nel 1990. Due anni dopo è in Parlamento.
È da allora che maneggia minacce: rastrellamento ed espulsione degli immigrati, castrazione con forbici per i pedofili, legge del taglione compresa la pena di morte. Ce l’ha con “i nazisti rossi”. Con “la civiltà gay che sta trasformando la Padania in un ricettacolo di culattoni”. Ma specialmente con Berlusconi, “il mafioso di Arcore”, “il re dei debiti”, “l’uomo della P2”, “l’assassino dell’economia italiana”.
Ma quando Silvio scuce qualche milionata per ripagare i debiti della Lega, cambia musica. Con tutta la nomenclatura padana entra nella stanza dei bottoni. Bossi diventa ministro delle Riforme, anno 2001, riassunte ogni anno nei raduni di Pontida e Venezia con l’ostensione del Tricolore: “Lo uso per pulirmici il culo!”.
Calderoli crede a tutto: all’Ampolla del dio Po, al matrimonio celtico officiato dal sindaco Formentini, con il braciere e il sidro nel centro di Milano, al “tallero padano” in sostituzione della lira, alla buffa camicia verde e al commovente “Va’ pensiero”, inno padano, cantato con la mano sul cuore. Bossi lo fa ascendere tra i velluti dei senatori, tre volte con la qualifica di vicepresidente, tre volte da ministro.
In aula studia le geometrie dei regolamenti, come fossero le arcate dentali. Alle quali imprime la sua nuova scienza che consiste nel creare danni parlamentari ove possibile, moltiplicare gli inciampi, fino al capolavoro degli 82 milioni di emendamenti presentati per rallentare la discussione sulla legge elettorale, il cosiddetto Italicum: “Ho un programmino che da un testo base è in grado di comporre centinaia di migliaia di varianti”.
Si vanta di avere elaborato il Porcellum, riforma elettorale talmente strampalata che la Consulta infila nel trita documenti subito prima di alzarsi per andare a cena. Nonché l’altro capolavoro della riforma federale – “mi sono messo a studiare perché della materia non sapevo nulla” – elaborata nella celebre baita di Lorenzago, in Cadore, con altri “tre saggi”, il cinghiale arrosto, la grappa e cinque giorni di seminario. Che ci vuole? Nulla. E infatti tutto finisce cancellato dal referendum, anno 2006.
Tra una riforma e l’altra, invita gli immigrati a “tornare nel deserto a parlare con i cammelli”, chiama la ministra Cécile Kyenge “orango”, mostra al Tg1 la maglietta anti-islam, provocando una mezza rivolta a Bengasi, in Libia, con assalto all’ambasciata italiana, 11 morti. Passeggia con un maiale a Bologna su un terreno destinato alla costruzione di una moschea. E finalmente ieri si gode la bocciatura dell’Autonomia differenziata, confessando: “Embè? Mi muovo in un territorio sconosciuto”.
A forza di dare spettacolo, è diventato un re della “Roma ladrona”. Ha sposato in seconde nozze Gianna Gancia, leghista con le bollicine. Brinda alle figuracce, al vitalizio, e al lieto fine, il suo.
(da ilfattoquotidiano.it)
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Novembre 20th, 2024 Riccardo Fucile
SUL BANCO DEGLI IMPUTATI C’E’ LA LEGA (PER L’INSISTENZA SU TESEI IN UMBRIA): STRETTO TRA LA BASE IN RIVOLTA E I GOVERNATORI FEDRIGA E ZAIA SUL PIEDE DI GUERRA, SALVINI TEME PER LA SUA LEADERSHIP… IL FUTURO E’ CUPO TRA LA SENTENZA SUL CASO OPEN ARMS E IL VOTO A MILANO E IN VENETO… FORZA ITALIA LO INFILZA: “SI VINCE SOLO CON I CANDIDATI MODERATI”
Bisogna interrogarsi sulle ragioni della sconfitta, manda a dire da Rio de Janeiro Giorgia Meloni. Un avvertimento che sa di richiesta di chiarimento rivolta agli alleati. E chissà se porterà, al suo rientro dal summit del G20, a un incontro con i due vice, Salvini e Tajani, per fare un punto dopo l’uno-due di Bologna e Perugia. Ed evitare che il tracollo si ripeta nelle cinque regioni al rinnovo nel 2025.
Quanto è difficile nel centrodestra assorbire una botta. «Ovviamente, bisogna interrogarsi per capire cosa in questo caso non abbia funzionato», dice la premier nel day after.
Frasi di rito per coprire la disfatta in Emilia Romagna e ancor più nella piccola Umbria, in cui il centrodestra sulla carta viaggiava verso la riconferma della governatrice (leghista) uscente, Donatella Tesei.
In questo processo, sul banco degli imputati finisce inevitabilmente la Lega.
Matteo Salvini riconosce la sconfitta – «abbiamo perso» – ma non molla Tesei. Anzi, replica a muso duro alle accuse che, dall’interno, gli vengono rivolte: «Non mi interessa fare i processi a Tizio o a Caio, io lavoro per il futuro, faccio tesoro delle sconfitte e guardo avanti».
Quello della candidata presidente non è però l’unico nome finito al centro delle polemiche. È in compagnia di Stefano Bandecchi, chiamato in extremis a «fare la differenza e recuperare un gap» nei confronti della candidata di centrosinistra Stefania Proietti. Ora, l’arruolamento del sindaco di Terni, passato a destra per queste elezioni, è un altro motivo di litigio tra i partiti. Voluto da Forza Italia, con il placet della Lega, il patron dell’università Cusano è un altro boccone che FdI ha dovuto ingoiare. Adesso il partito chiede conto agli alleati.
Meloni, distante da Roma, prova comunque ad abbassare i toni in attesa dell’analisi della sconfitta che farà, al suo ritorno, insieme al suo partito e insieme agli altri leader. Si dice «dispiaciuta dal risultato, particolarmente dalla non conferma del governo in Umbria» e spazza via le voci di dissidi interni bollando come «abbastanza surreali» le ricostruzioni «sul mio giudizio relativo a Tesei, un presidente di Regione che ha comunque lavorato bene».
Salvini vede però nelle mosse di Forza Italia il fuoco amico. D’altronde, quello di Antonio Tajani è l’unico partito che ha aumentato i consensi superando la Lega. Non solo. In Umbria, per esempio, il forzista Andrea Romizi è il candidato che ha preso più preferenze in assoluto, oltre 10mila, e ieri è stato premiato con la nomina nella segreteria nazionale del partito. Un rafforzamento, quello degli azzurri, che causa nervosismo anche in Fratelli d’Italia. I meloniani non vogliono sentir parlare di ricadute sul governo. Ci pensa il leader di Noi moderati, Maurizio Lupi, a scacciare i fantasmi: «Il voto non ha ripercussioni su governo e maggioranza. E di positivo c’è la crescita dei moderati».
In effetti, numeri alla mano, FdI ha perso voti mentre gli azzurri, che hanno tenuto, ora rilanciano la strategia centrista, sottolineando che si vince «solo con i candidati moderati», perché «sono i più capaci di attrarre». Matteo Salvini è avvertito.
(da La Repubblica)
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