PAOLA E CLAUDIO REGENI: “L’ITALIA SI FACCIA CONSEGNARE I CINQUE UFFICIALI DEI SERVIZI EGIZIANI INDAGATI DALLA NOSTRA MAGISTRATURA”
ULTIMA CHIAMATA PER IL GOVERNO: “TRADITI DAL FUOCO AMICO, BASTA CHIACCHIERE, IL TEMPO E’ SCADUTO”
In quel j’accuse non c’è solo il dolore , l’amarezza, la composta indignazione di chi si sente tradito, trafitto dal “fuoco amico”. C’anche altro, e quell’ ”altro” è il banco di prova finale per Giuseppe Conte, Luigi Di Maio, e del Governo rossogiallo.
La “Vergogna del secolo” è stata perpetrata. Ma se davvero si crede, come continuano a sostenere premier, ministro degli Esteri, ed esponenti della maggioranza, che la vendita delle due fregate Fremm all’Egitto non significa mettere una pietra tombale sopra la richiesta di verità e giustizia per Giulio Regeni, allora, se davvero lo si crede, c’è solo una cosa da fare.
Uno scambio, per quanto tardivo, per quanto doloroso, ma almeno in parte, riparatore. A indicarlo sono Paola e Claudio Regeni: “La consegna delle cinque persone indagate dalla magistratura italiana, in modo che possano essere processate in Italia: sono tutti ufficiali degli apparati di sicurezza egiziana”.
Ora sta al presidente del Consiglio rispondere. Al ministro degli Esteri supportarlo. Basta chiacchiere. Basta usare il nome di Giulio Regeni per coprire gli affari miliardari con uno dei regimi più brutali al mondo.
“Lo Stato italiano ci ha tradito. Siamo stati traditi dal fuoco amico non dall’Egitto”. E’ una riflessione meditata, quella di Paola e Claudio Regeni, per nulla una reazione a caldo dettata dall’indignazione, confidano a Globalist fonti vicine alla famiglia del ricercatore torturato e ucciso a Il Cairo nel 2016. “Basta atti simbolici, il tempo è scaduto”, sottolineano.
“Uno non può aspettarsi di lottare contro il proprio Stato per ottenere giustizia. Lo Stato italiano ci ha tradito – aggiungono – il 17 luglio del 2017 quando ha rinviato l’ambasciatore a Il Cairo e adesso vendendo le armi. Un tradimento per tutti gli italiani, per quelli che credono nella giustizia e nella inviolabilità dei diritti. Non possiamo sentirci certo traditi dall’Egitto per tutto quello che hanno fatto a nostro figlio e dopo quattro anni e mezzo di menzogne e depistaggi”, spiegano “Abbiamo visto e vissuto tanta ipocrisia e la vendita di questa due navi e le armi sono la ciliegina sulla torta”, evidenziano i familiari. “In questi 4 anni e mezzo abbiamo visto tantezone grigie in Egitto e in Italia. Noi abbiamo fiducia nella scorta mediatica, nelle migliaia di persone che ci seguono, nella Procura di Roma, negli investigatori”, osservano dicendo di avere “fiducia anche nel presidente della Camera, Roberto Fico, che oggi (ieri, ndr)ci ha chiamati per dirci che sta con noi e per sapere come stiamo”.
Parlando dell’Egitto, Paola e Claudio Regeni attaccano: “Non intendiamo più farci prendere in giro: non basterà inviarci quattro cianfrusaglie, indumenti vari e chiacchiere o carta inutile. Chiediamo a Il Cairo una risposta esaustiva a tutti i punti della rogatoria inviata dalla Procura di Roma nell’aprile del 2019, rimasta priva di risposta. La consegna delle cinque persone indagate dalla magistratura italiana, in modo che possano essere processate in Italia: sono tutti ufficiali degli apparati di sicurezza egiziana”. “Finchè non avremmo ottenuto queste due cose ci sentiremmo traditi”, concludono.
Richieste precise, puntuali, che portano con sè un corollario fondamentale che non è contenuto nelle affermazioni dei famigliari di Giulio, ma che emerge parlando con alcuni dei protagonisti della campagna per fare piena luce sull’assassinio di Stato perpetrato in Egitto: cancellazione degli altri contratti di vendita di armi a Il Cairo, congelamento delle relazioni diplomatiche con l’Egitto.
(da Globalist)
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