PARASSITI A CHI? QUANDO PARLI DI EUROPA SCIACQUATI LA BOCCA, CIALTRONE
LE VERITA’ SCOMODE SUL RAPPORTO EUROPA-USA
J.D. Vance – una sorta di Salvini con laurea e accento dell’Ohio – ha recentemente avuto l’eleganza retorica di definire gli europei come “parassiti”. Un termine raffinato, certo, che non sorprende chi conosce il personaggio: lo stesso che, con invidiabile coerenza logica, identifica il nemico principale degli Stati Uniti non in Mosca o Pechino, ma nei corridoi delle università americane. Quelle temibili fucine di pensiero critico e di liberalismo accademico che, a quanto pare, minacciano più della Cina le fondamenta dell’Occidente.
E così, con un colpo solo, Vance (Insieme al suo Capo) riscrive settant’anni di storia euro-atlantica trasformando una complessa architettura geopolitica in una lite da condominio: voi europei non pagate abbastanza. Punto.
Ridurre il contributo europeo alla NATO a una questione di bilancio – tipo: “quanto ci mettete sul tavolo?” – significa ignorare con encomiabile nonchalance l’intero processo attraverso cui l’Europa ha costruito la propria sicurezza: una costruzione per lo più eterodiretta, dove la voce americana contava, e conta, decisamente più delle altre.
Questo tipo di semplificazione, molto in voga tra i populismi di varia latitudine, ha certamente il merito di rendere tutto più digeribile all’opinione pubblica americana. Peccato che abbia anche l’effetto collaterale – trascurabile, per carità – di rendere impossibile qualsiasi dibattito serio sulla difesa europea e sulla famosa (quanto evanescente) autonomia strategica.
Ancora più interessante, in tutto ciò, è l’atteggiamento delle élite europee. Davanti a queste dichiarazioni, che oscillano tra l’insulto e la comicità involontaria, la reazione si riduce spesso a qualche tweet di circostanza, un sopracciglio sollevato, e poi il consueto ritorno al silenzio. Un silenzio che è diventato quasi una postura geopolitica. Come se ogni boutade americana fosse da trattare come una spiritosa uscita da cabaret congressuale, e non come un segnale politico da prendere sul serio.
Nel frattempo, gli stessi settori della politica estera americana che accusano l’Europa di pigrizia sono quelli che più apertamente riscrivono le regole dell’alleanza transatlantica su base transazionale: meno storia condivisa, più fatture da saldare. Il che, a ben vedere, è l’epifenomeno di un equilibrio di potere profondamente sbilanciato, costruito nel dopoguerra e mai realmente rinegoziato.
Ma attenzione: il problema non è solo la caricatura americana dell’Europa. Il vero punto critico è che l’Europa stessa sembra accettarla con imbarazzante disinvoltura. Troppo spesso il continente – o meglio, le sue classi dirigenti – ha interiorizzato la propria subalternità al punto da non riuscire nemmeno a rivendicare la propria storia. Una storia fatta di basi NATO imposte, di dottrine militari preconfezionate, di settori industriali strategici svenduti o colonizzati (con la benedizione degli alleati, s’intende).
Il caso italiano è quasi da manuale: ogni volta che forze politiche non allineate al paradigma atlantico hanno accarezzato l’idea di governare, si sono attivati meccanismi più o meno occulti di contenimento. Dalla strategia della tensione alle operazioni coperte, passando per le influenze nella formazione dei governi e nelle scelte industriali strategiche, il Paese è stato spesso trattato più come una zona d’influenza che come uno Stato sovrano. E, come documenta L.Gallino in uno splendido saggio del 2003, in molti settori l’Italia ha perso la capacità stessa di immaginare uno sviluppo autonomo.
Di fronte a tutto ciò, l’Europa dovrebbe quanto meno tentare di riscrivere il proprio ruolo. Non per rompere con Washington, ma per smettere di agire da soggetto passivo nel proprio quadrante geopolitico. Riconoscere la profondità della dipendenza storica non è un atto d’accusa, ma un passo necessario verso una nuova maturità strategica. E se proprio dobbiamo restare nel club atlantico, che sia almeno con un posto a tavola, e non come quelli che portano il vino e poi vengono accusati di non contribuire abbastanza alla cena.
Solo un’Europa che sa parlare con voce propria, che conosce la propria storia e che non si vergogna di affermare la propria identità, può collocarsi nel mondo come attore adulto e credibile. E forse, a quel punto, potrà anche permettersi di rispondere con un sorriso ironico a chi, dall’altra parte dell’Atlantico, la accusa di parassitismo. Un’accusa che, detta da chi ha scritto le regole del gioco, ha davvero un certo sapore di commedia involontaria.
(da glistatigenerali.com)
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