PER EVITARE LE MORTI SUL LAVORO, BASTEREBBE RISPETTARE LE NORMATIVE SULLA SICUREZZA: NELLA RAFFINERIA DI CALENZANO LE AUTOCISTERNE VENIVANO RIEMPITE MENTRE A POCHI METRI DI DISTANZA VENIVANO EFFETTUATI LAVORI DI MANUTENZIONE ALLE PENSILINE (DUE DELLE CINQUE VITTIME ERANO “MANUTENTORI”)
LA PROCURA: “DIETRO IL DISASTRO UNA CONDOTTA SCELLERATA, UNA CHIARA INOSSERVANZA DELLE RIGIDE PROCEDURE PREVISTE”
Mentre le autocisterne venivano rifornite di carburante a pochissimi metri di distanza erano in corso dei lavori di manutenzione a una delle pensiline. Franco Cirelli e Gerardo Pepe, due delle cinque vittime, non erano autotrasportatori ma «manutentori», da una settimana al lavoro nel deposito Eni di Calenzano per conto della Sergen di Grumento Nova (Potenza).
Ma è possibile fare lavori che probabilmente richiedono l’impiego di attrezzi che possono fare da innesco, mentre alle linee di carico ci sono cinque autocisterne e altre 35 avevano già caricato da inizio giornata
Molti autotrasportatori confermano che era una consuetudine. «Non è la prima volta che ci fanno caricare mentre sono in corso lavori di manutenzione — dice Enzo Celentano che da 20 anni fa la spola con questo deposito —, al massimo bloccano solo qualcuna delle dieci postazioni».
Una «consuetudine» che appare quantomeno strana e sulla quale sta indagando la Procura di Prato guidata da Luca Tescaroli. Perché se è vero che il riempimento delle autocisterne è un’operazione di routine è anche vero che devono essere osservate specifiche misure di sicurezza. Tanto che il personale è obbligato a indossare persino scarpe gommate per evitare anche i più piccoli sfregamenti.
Gli inquirenti stanno cercando di ricostruire ciò che è accaduto negli istanti che hanno preceduto l’esplosione.
Che ci sia stato qualcosa di imprevisto lo ha già raccontato il testimone oculare che ai carabinieri ha parlato di una perdita di carburante dal bocchettone di carico. Gli inquirenti ora hanno accertato che qualche istante prima della deflagrazione era stato dato persino l’allarme.
Un collega di lavoro ha raccontato che lo stesso Vincenzo Martinelli ha cercato riparo qualche secondo prima dello scoppio. Segno che anche lui aveva capito il pericolo, senza però avere il tempo per evitare di essere travolto dall’esplosione. Oltre all’anomala perdita di liquido infiammabile tra gli autotrasportatori c’è chi ipotizza un possibile malfunzionamento delle valvole di recupero dei gas. Carburante o gas che sia, in ogni caso va ricercata la causa dell’innesco dell’esplosione.
L’inchiesta è ancora alle primissime battute, ma stanno già emergendo dei possibili profili di responsabilità relativi proprio a protocolli di sicurezza all’interno del deposito Eni. Oltre all’omicidio colposo plurimo la Procura potrebbe contestare un secondo reato, sul quale al momento mantiene il massimo riserbo. Che potrebbe essere propedeutico alle prime iscrizioni nel registro degli indagati.
Non è stato un errore. Ma un «disastro». Una «chiara inosservanza delle rigide procedure previste », «una condotta scellerata» che ha portato alla morte di cinque operai e alla corsa in ospedale per 29 persone, due delle quali si trovano in gravissime condizioni.
Ma cosa è accaduto? «Ero in fila ad aspettare il mio turno» ha raccontato un camionista a un tecnico della prevenzione della Asl, forse il primo ad arrivare sul posto dopo l’esplosione. «E ho visto uscire roba da alcuni tubi, pensavo fosse acqua, poi però ho sentito la puzza e sono andato indietro». Il testimone aggiunge un altro particolare, cruciale. «Ho visto degli operai che stavano lavorando a dei tubi»
Effettivamente da quanto emerge dai primi accertamenti gli operai della Sergen stavano lavorando proprio tra la pensilina numero 5 e quella numero 6. «La ditta — scrivono i pm — stava eseguendo dei lavori di manutenzione nei pressi dell’area destinata al carico del carburante: in particolare avrebbero dovuto rimuovere alcune valvole e tronchetti per mettere in sicurezza una linea benzina dismessa da anni». Tutti elementi che fanno arrivare la procura, fermo restando il fatto che siamo di fronte soltanto ai «primissimi elementi investigativi», a ipotizzare uno scenario di questo tipo.
«Sarebbe avvenuta — scrivono — una fuoriuscita di carburante nella parte anteriore della pensilina di carico e che questa sia stata in qualche modo dovuta alla chiara inosservanza delle rigide procedure previste».
«Le conseguenze di tale scellerata condotta — continuano — non potevano non essere note o valutate dal personale che operava in loco», non fosse altro che l’incidente ha poi provocato «un disastro, diversi morti e infortuni». Colpa quindi della manutenzione? «La circostanza che fosse in atto un’attività di manutenzione di una linea di benzina corrobora l’ipotesi che vi siano state condotte connesse al disastro».
Il fascicolo al momento è contro ignoti. Si procede per omicidio colposo, disastro e «rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro». A breve, non fosse altro per un atto dovuto, avverranno le prime iscrizioni: dovranno prima essere verificate le singole posizioni di responsabilità rispetto alla linea di comando di tutti gli attori. I carabinieri verificheranno poi le condizioni di lavoro dei singoli autotrasportatori con le loro ditte: dai primi atti emerge uno spaccato inquietante di un settore che, in una girandola di aziende e società, costringe i lavoratori a orari sfiancanti, spesso in condizioni di sicurezza molto precarie. Perché a Calenzano non è stato un errore.
(da “Corriere della Sera”)
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