PERCHE’, SOTTO SOTTO, GIORGIA TIFA KAMALA (SALVINI CI COVA): LA DUCETTA, TRUMPIANA DELLA PRIMISSIMA ORA, SPERA IN UNA SCONFITTA DI TRUMP
LA MELONA TEME SOPRATTUTTO LE CONSEGUENZE ALLA STABILITA’ DEL GOVERNO DA PARTE DEL VICEPREMIER MATTEO SALVINI, PRIMO FAN ITALIANO DEL TYCOON (IL SECONDO E’ CONTE)
Tra poche ore Giorgia Meloni saprà se dovrà tirar fuori dai cassetti del cambio di stagione il cappellino “Maga”. Ne è passato di tempo da quando la presidente del Consiglio attraversava l’oceano per mettersi in fila con gli altri sovranisti d’Europa osannanti il movimento del “Make America Great Again” e il suo sacerdote: Donald Trump.
Meloni è cambiata, non c’è dubbio. Palazzo Chigi ha stravolto le sue priorità. Il corpo diplomatico di Stato ne ha corretto le sgrammaticature e l’ha ammorbidita, facilitando i rapporti con l’amministrazione democratica di Joe Biden, mentre a destra ne approfittava il vicepremier della Lega Matteo Salvini, con la felpa da irriducibile ultrà della curva trumpiana
Meloni ha cercato di mantenere fino alla fine una cauta equidistanza, anche di fronte alle ripetute sollecitazioni giornalistiche sulla scelta tra repubblicani e democratici. Quasi sempre l’ha ridotta a una questione di tifoseria che le interessava poco, perché «i rapporti tra Italia e Stati Uniti resteranno ottimi chiunque sia il presidente».
Ma la premier sa benissimo che Trump non è un presidente qualsiasi, sa che la sua elezione produrrà delle conseguenze globali che potrebbero rivelarsi radicali, al punto da stravolgere l’assetto dei rapporti di forza internazionali e la sicurezza dell’Occidente, con effetti che si sentiranno anche nelle vite e nelle tasche dei singoli cittadini italiani.
Chi ne ha raccolto una recente confessione racconta a La Stampa quanto Meloni sia spaventata. Non lo ammetterà mai pubblicamente, ma la premier teme soprattutto la velocità con la quale si produrranno le conseguenze in Ucraina. In poche ore il paradigma valido fin qui sullo scudo europeo e americano a difesa della resistenza di Kiev potrebbe essere spazzato via.
Alla Farnesina se ne discute quotidianamente, anche sulla base dei report che arrivano dalle ambasciate. Cosa farà Trump? Quanto ci metterà a dichiarare una pace basata di fatto sulla resa ucraina e sulla concessione del Donbass e Crimea all’autocrate russo Vladimir Putin?
C’è sempre un margine di imprevedibilità con il miliardario statunitense, ma visti i quattro precedenti anni alla Casa Bianca (2017-2021), e prendendo per buone le promesse ripetute nei comizi degli ultimi mesi, è difficile immaginare che Trump continuerà sulle scelte fin qui portate avanti dalla Nato a sostegno di Volodymyr Zelensky.
Per l’Italia l’effetto sarà duplice, perché, secondo fonti diplomatiche, è scontato che il leader dei Repubblicani americani tornerà con forza a chiedere il conto agli alleati – tra cui Roma – che non hanno ancora adeguato le spese militari in percentuale al Pil, come prevedono gli accordi siglati nel 2014 tra gli Stati membri della Nato.
Durante la prima presidenza alla Casa Bianca, Trump minacciò ripetutamente di uscire dall’Alleanza Atlantica: se questa sera vincerà, pretenderà il dovuto con ancora più forza.
C’è infine un terzo motivo di preoccupazione per Palazzo Chigi. I dazi e la guerra commerciale contro la Cina. Trump ha confermato la volontà politica di rendere ancora più restrittive le ricette economiche protezionistiche in Usa. Vuole punire l’Unione europea.
Nei report diplomatici finiti sulla scrivania di Meloni c’è scritto chiaramente che punterà in tutti i modi a riequilibrare la bilancia commerciale che è per circa 200 miliardi di dollari favorevole all’Ue: i Paesi che rischiano di più, perché hanno economie con forti esportazioni, sono Germania, Olanda, Francia e Italia.
(da agenzie)
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