PIZZICAGNOLO DI VITE UMANE: IL DESCAMISADO FURENTE COME IL BULLO A CUI HANNO RUBATO LA NUTELLA
LO SPARTITO DI UN CINISMO PAROSSISTICO PER NASCONDERE IL FALLIMENTO DELLA LEGA AL GOVERNO
Con quegli gli occhi inferociti, il volto scuro come la camicia, che mostra il petto del macho contro la “sbruffoncella che ha rotto le palle”.
Eccolo il “descamisado” del Viminale trasformare una vicenda di 42 poveri cristi su una nave, nella madre di tutte le battaglie contro un’Europa afona
E occupare tutto lo spazio fisico e politico di un governo, diventato il set della propaganda che fa strame della cultura dell’accoglienza, con l’altrettanto balbettante alleato, che, impaurito dalla prospettiva del voto, veste i panni pilateschi di chi, al netto di qualche distinguo, non mette in discussione la sovranità del dossier da parte del ministro dell’Interno.
Le parole di disobbedienza alle regole di Dublino sulle identificazioni, l’invito ad “arrestare” i responsabili della Sea-Watch, quel “non scenderanno dalla nave”, pur sapendo che alla fine, per rendere possibile il sequestro annunciato, accadrà il contrario: è lo spartito di un cinismo parossistico, che antepone il calcolo ai più elementari principi di umanità per cui, come insegnano tutte le leggi internazionali, le persone non sono in salvo quando non rischiano di affogare, ma quando possono sbarcare in un porto sicuro, dove i diritti vengono rispettati.
C’è tutto il segno di questa regressione politica e culturale nella “minaccia del descamisado”, resa più legittima da un decreto sicurezza bis ancora non convertito ma in vigore, che prima ancora di chiudere i porti, ha “chiuso il mare”, secondo cui a una Ong serve l’autorizzazione del ministro dell’Interno per entrare nelle acque territoriali italiane, anche di fronte a palesi emergenze umanitarie.
È la cultura degna di “pizzicagnoli” di vite umane, per cui la discussione è su quanti ne prenderà questo o quel paese, o la chiesa Valdese.
E, nell’orgia della propaganda, si prova a nascondere la questione di fondo. E cioè quel fallimento delle politiche migratorie, iniziato proprio un anno fa, al primo Consiglio europeo dell’era sovranista, in cui il governo accettò, su pressione dei tanti Salvini europei, di rendere volontario quel sistema di relocation che prima era obbligatorio.
È il sovranismo, bellezza, con i tanti Salvini europei che se ne fregano della cosiddetta “invasione” dei migranti in Italia, perchè ognuno è sovranista a casa sua.
Invasione alimentata da una narrazione emergenziale ma non dai numeri degli sbarchi.
È su questo dato di fondo che il Salvini italiano periodicamente sceglie una nave per accendere la giostra della propaganda, facendone un simbolo dell’egoismo dell’Europa degli altri (non dei suoi alleati), del suo pugno di ferro, alimentando la cultura del nemico, per cui anche dei disperati sono una minaccia.
Quello stesso ministro che ha disertato sei dei sette vertici che si sono svolti in Europa sul tema, con i suoi corrispettivi ministri dei paesi membri.
In un paese normale, sbarcherebbero e sarebbero ricollocati, e il successo sarebbe la modifica dei trattati europei, da ottenere grazie a una politica di tessiture e di alleanze. Nel luna park invece, dopo lo sbarco nei giorni scorsi di 120 tunisini senza telecamere, come ha ricordato il sindaco di Lampedusa, la Sea Watch diventa un simbolo, pur sapendo come andrà a finire: un sequestro annunciato della nave, in virtù del decreto sicurezza, la multa alla Ong, i suoi responsabili sotto processo.
E il poveri cristi accolti da qualche chiesa Valdese o ricollocati secondo il modello “fai da te”, inaugurato con quelli della Diciotti, di cui si persero le tracce a Rocca di Papa, dopo che era stato spiegato che tra loro potevano esserci dei terroristi per giustificare il “sequestro”.
Parlamentari della sinistra che partono per Lampedusa, di fronte a una inquietante torsione securitaria, il ministro dell’Interno che, nei panni di un premier di fatto, attacca quei partner europei a cui il premier formalmente in carica chiede indulgenza per evitare una bocciatura sui conti, parlamentari che inneggiano all’“affondamento della nave”, la silente preoccupazione dei vertici istituzionali.
È il quadro di ecatombe civile che alimenta il sospetto nelle istituzioni che, nel salto di qualità , ci sia qualcosa che va oltre la consueta propaganda permanente. E cioè un principio di una campagna elettorale da giocare sul terreno del conflitto sull’Europa, oggi sui migranti, domani sui conti.
Si spiega anche così il silenzio delle più alte cariche dello Stato, nella convinzione che il leader della Lega cerca solo un pretesto per dar seguito a una minaccia neanche tanto mascherata.
C’è un carico di emotività in più nella sua crociata securitaria odierna, in cui c’è dentro la rabbia per un vertice di governo (quello di martedì sera) andato male, con lo slittamento della madre di tutte le riforme, l’autonomia, vissuta dal “partito del Nord” come una irrinunciabile linea del Piave, c’è l’incertezza per la partita sui conti, con l’altra misura simbolo la flat tax, avvolta da una fitta coltre di incertezza.
È un sospetto, dicevamo, perchè per la crisi ci vuole l’incidente concreto, il pretesto, il coraggio di un alleato che dice basta (e non è questo il caso), la sicurezza che non nasca un’altra maggioranza.
(da “Huffingtonpost”)
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