PRIMAVERA CALDISSIMA PER GIORGIA MELONI, AUTONOMIA, JOBS ACT, CITTADINANZA, SICUREZZA SUL LAVORO: I QUESITI REFERENDARI POTREBBERO SALDARE TUTTI I MONDI OSTILI ALLA DESTRA E TERREMOTARE LA MAGGIORANZA
PER QUESTO, LA “NUOVA” STRATEGIA DI GIORGIA MELONI SULL’AUTONOMIA PUNTA A SABOTARE A TUTTI I COSTI IL REFERENDUM, FACENDOLO PASSARE COME UN PROBLEMA DELLA LEGA, MINIMIZZANDO UN’EVENTUALE BATOSTA – LA VITTORIA DEL SÌ METTEREBBE IN CRISI IL GOVERNO: DELEGITTIMATO DALLA BOCCIATURA DELLA RIFORMA BANDIERA DELLA LEGA, SALVINI DIVENTEREBBE UNA MINA VAGANTE
Premessa: c’è grande confusione nel centrodestra. Una legge sull’Autonomia sostenuta e spinta con furore identitario da un partito (la Lega), maldigerita dagli altri due partiti di governo (Fratelli d’Italia e Forza Italia) si trascinerà dietro per mesi l’incognita del referendum.
A meno che – ma ci credono in pochi – la Corte costituzionale, a gennaio, non cassi la consultazione popolare. È complicato ricostruire lo stato emotivo delle forze della coalizione. L’unica riflessione che ha accomunato i partiti della coalizione è la convinzione che di fronte all’ineluttabilità del quesito sull’abrogazione totale dell’Autonomia, l’obiettivo debba essere far fallire il quorum.
Lo dice esplicitamente il governatore del Veneto Luca Zaia, che invita a disertare una votazione che si potrebbe tenere nella finestra primaverile tra aprile e giugno 2025. Ma dentro FI e FdI lo pensano senza ammetterlo in tanti, perché tarano le conseguenze di una sconfitta, soprattutto se si dovesse politicizzare troppo la sfida.
Paradossalmente questo lo sostiene chi della legge Calderoli farebbe volentieri a meno: è la paura, per esempio, del leader azzurro, il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani, e, in parte minore, della premier Giorgia Meloni, che da mesi lamenta i problemi che avrebbe comportato l’accelerazione leghista.
È stata facile profeta: perché, con la tagliola del referendum, non c’è materialmente il tempo di accordarsi e far approvare alla Camera e al Senato le modifiche sui sette capitoli dell’Autonomia, bocciati dalla Consulta a metà novembre.
Per capire meglio cosa pensi la presidente del Consiglio, ieri i parlamentari di maggioranza hanno letto e riletto le dichiarazioni rilasciate all’agenzia Agi dal presidente della commissione Affari Costituzionali in Senato, Italo Balboni, delegato di Meloni ai dossier costituzionali: «Il referendum si deve fare e sono convinto che verrà respinto. Ora c’è la certificazione anche della Cassazione che la legge è legittima, con i correttivi della Corte costituzionale, che per me sono assolutamente ragionevoli».
Anche il presidente del Senato, cofondatore di Fratelli d’Italia, Ignazio La Russa, durante i saluti natalizi alla stampa parlamentare, afferma di non temere la parola data ai cittadini: «La democrazia diretta è la cosa migliore».
Di fatto, il partito di Meloni si sta preparando alla sfida del referendum con lo spirito di chi pensa che possa rivelarsi il male minore. Perché scaricherebbe sulla volontà degli elettori le difficoltà di negoziare con la Lega in Parlamento uno stravolgimento della legge, che FdI e FI pensano sia punitiva per il Sud, proprio come gli avversari dell’opposizione.
La strategia del disimpegno, agli occhi di Meloni, è l’unica strada possibile per far deragliare una riforma che ha promesso controvoglia al segretario leghista Matteo Salvini e che è impressa nel contratto di governo. […] Il mandato di Meloni è quello che ancora di più vale per l’altra riforma, «la madre di tutte le riforme», come lei stessa ha definito il premierato: evitare in tutti i modi di appesantire il referendum di una valenza politica. Restare freddi, distaccati, quasi indifferenti alle sorti di una legge a cui ha legato il proprio destino la Lega.
Per Meloni ci sono, dunque, due possibilità: che non venga raggiunto il quorum, dimostrando la disaffezione degli italiani per un tema complicato e dall’appeal poco mediatico. Oppure che l’Autonomia venga definitivamente travolta da una valanga di No. In entrambi i casi, il problema – sostiene – «sarebbe della Lega». Nel secondo, però, sarebbe anche un po’ il suo, visto che è lei a guidare governo e maggioranza.
(da agenzie)
Leave a Reply