PRIMO MAGGIO SENZA LAVORO
I TAVOLI DI CRISI AL MINISTERO SONO 153 E LA SOLUZIONE E’ UN MIRAGGIO
Primo maggio: dal 1886 celebra la festa del Lavoro per ricordare il giorno che diede l’inizio al grande sciopero generale negli Stati Uniti per ottenere la giornata lavorativa di 8 ore.
Oggi, la giornata di festa serve piuttosto a ricordare quanti, almeno in Italia, siano disoccupati o rischiano di diventarlo.
I numeri sono impietosi: a febbraio i senza lavoro erano 2,98 milioni; gli inattivi — coloro che delusi nè hanno un lavoro, nè lo cercano — addirittura 13,48 milioni.
Le politiche occupazionali del governo non hanno avuto l’effetto positivo sperato: finito il tempo dei sussidi le assunzioni sono calate, ma sono cresciuti i licenziamenti disciplinari.
Rispetto all’entrata in vigore del jobs act, a febbraio sono aumentati del 69%.
“Finito il doping fiscale degli incentivi per le assunzioni è finito l’effetto positivo sul mercato del lavoro” ripete l’ex ministro del Lavoro, Cesare Damiano.
E i numeri confermano la sua analisi: nel 2016 solo il 29% dei nuovi contratti è stato a tempo indeterminato. Due anni prima erano il 32% a dimostrazione che il problema dell’Italia non era nella flessibilità , ma nel tessuto industriale del Paese. Un aspetto, forse, ancora più preoccupante.
Anche perchè al ministero dello sviluppo economico sono aperti più di 150 tavoli di crisi, un numero magico che da almeno due anni non accenna a calare.
Dal 2008 al 2016 sono stati gestiti circa 1.000 tavoli per un totale di oltre 3.000 incontri con imprese, ma la situazione non cambia. In gioco resta il futuro di oltre 250mila dipendenti.
“Purtroppo manca un progetto, bisogna guardare al tessuto produttivo del Paese per cercare le giuste soluzioni” dice Tiziana Bocchi, segretaria confederale Uil che poi aggiunge: “Il governo ha varato Industria 4.0, è una cosa positiva, ma diventa inutile se non si investe in infrastrutture. Serve una visione strategica del Paese, ma c’è un vuoto enorme”.
A complicare la situazione — dicono i sindacati — è la riforma degli ammortizzatori sociali che sarebbero serviti ad accompagnare imprese e lavoratori.
Così per alcuni il Primo maggio sarà un giorno di festa per riposare, ma per molti altri sarà un momento per fare il punto sulle 14 aree di crisi complessa: quelle che hanno una rilevanza strategica industriale con ricadute su tutto il territorio nazionale.
“Non basta prevedere singoli interventi correttivi ma — spiega Bocchi — occorre dotarsi di un progetto di rilancio del nostro sistema industriale che, partendo da una politica dei fattori e traguardando missioni strategiche precise e cogenti, sappia dare continuità produttiva e occupazionale attraverso il ricorso a investimenti pubblici e privati”.
Abruzzo
L’area di crisi complessa coinvolge la Val Vibrata, dove vivono 80mila persone: uno dei distretti industriali più floridi d’Italia è stato messo in ginocchio dalla crisi. Tra il 2008 e il 2015 sono fallite 178 imprese sulle 503 interessate da procedure concorsuali. Il comparto col più alto tasso di perdita d’impresa è quello del tessile/abbigliamento (10%), seguito dalla pelletteria (2%) e dal mobile/legno (1,6%). Il tavolo di crisi è aperto, ma i provvedimenti sono ancora in fase di definizione.
Friuli Venezia Giulia
L’area industriale di Trieste è stata riconosciuta in crisi dal 2013 per i problemi relativi alla faticosa riqualificazione delle attività industriali e portuali e del recupero ambientale. Il tavolo ha deliberato interventi di messa in sicurezza, riconversione e riqualificazione industriale dell’area, mediante tre distinti momenti: nel 2014 è stato siglato l’accordi di programma per la disciplina degli interventi relativi alla riqualificazione delle attività industriali e portuali e del recupero ambientale nell’area di crisi industriale, mentre il Prri (Progetto di Riqualificazione e Riconversione industriale) è stato approvato il 17 giugno 2016. La soluzione per il porto è ancora lontana.
Lazio
Sono aree di crisi complessa il “sistema locale del lavoro” di Rieti che ricomprende 44 Comuni e l’area di Frosinone. Con il Prri si è provato a mettere in atto interventi finalizzati alla salvaguardia e consolidamento delle imprese del territorio, all’attrazione di nuove iniziative imprenditoriali ed al reimpiego dei lavoratori espulsi dal mercato del lavoro, ma la strada è tutta in salita: il terribile terremoto dell’anno scorso ha messo in ginocchio il tessuto economico della zona, privando gli imprenditori e gli allevatori delle principali fonti di sostentamento. L’area di Frosinone è stata riconosciuta come area di crisi industriale complessa con decreto 12 settembre 2016: a preoccupare è soprattutto l’assenza di infrastrutture.
Liguria
L’area di Savona, con i SLL di Cairo Montenotte e Comuni di Vado Ligure, Quiliano e Villanova d’Albenga, riconosciuta area di crisi industriale complessa e nel 2017 è stato costituito, il Gruppo di Coordinamento e Controllo per l’area di crisi industriale complessa di Savona con il compito di definire e attuare il Prri. Altri Accordi di Programma e Protocolli di Intesa per lo sviluppo e la riconversione di aree industriali riguardano Sestri Ponente. Tra le aziende coinvolte più rilevanti ci sono Tirreno Power con un centinaio di dipendenti e altrettanti di Bombardier Transportation.
Marche
L’Area di Val Vibrata — Valle del Tronto — Piceno è stata riconosciuta area di crisi industriale complessa con decreto 10 febbraio 2016: il riconoscimento contestuale di aree appartenenti a due Regioni nasce dalla contiguità territoriale, dalle affinità socio-economiche e dalle omogenee caratteristiche delle rispettive crisi industriali, unitamente a esigenze di potenziamento infrastrutturale interregionale. Altri Accordi di Programma e Protocolli di Intesa per lo sviluppo e la riconversione di aree industriali: Fabriano, Gaifana/Nocera Umbra, Matelica (MC), Sassoferrato (AN), Ancona. Nel frattempo la giunta regionale delle Marche ha ripartito i 17 milioni di euro che il Por Fesr assegna alle tre aree di crisi industriale del territorio: Piceno, provincia di Pesaro Urbino, area del Fabrianese coinvolta dalla crisi dell’ex Antonio Merloni.
Molise
Campochiaro, Bojano e Venafro: l’area delle province di Isernia e Campobasso ricomprendente i Comuni di Campochiaro, Bojano e Venafro è stata riconosciuta area di crisi industriale complessa con decreto 7 agosto 2015. Si è in fase di predisposizione del Prri che si approverà con l’accordo di programma: l’obiettivo di governo e Regione è rendere attrattivo il territorio e rilanciare la filiera tessile, quella avicola ed il settore metalmeccanico che soffre una pesante crisi con Gam e Itierre
Puglia
L’area di Taranto è stata riconosciuta area di crisi industriale complessa con il DL 7 agosto 2012, n. 129. Il problema principale della Regione è sempre l’Ilva.
Sardegna
L’area di Porto Torres è stata riconosciuta area di crisi industriale complessa con decreto 7 ottobre 2016. Con decreto ministeriale 8 febbraio 2017 è stato costituito, il Gruppo di Coordinamento e Controllo per l’area di crisi industriale complessa di Porto Torres con il compito di definire e attuare il Prri. L’area di Portovesme, con i SLL di Carbonia, Iglesias e Teulada, è stata riconosciuta area di crisi industriale complessa con decreto 13 settembre 2016. Con decreto ministeriale 8 febbraio 2017 è stato costituito il Gruppo di Coordinamento e Controllo per l’area di crisi industriale complessa di Portovesme con il compito di definire e attuare il Prri.
Sicilia
La crisi industriale del Polo di Termini Imerese, determinata dalla chiusura degli stabilimenti del Gruppo Fiat, ha richiesto un intervento coordinato del MISE, della Regione Siciliana e delle Istituzioni locali, con il supporto tecnico di Invitalia, per individuare concrete opportunità di reindustrializzazione dell’area: sono stati programmati interventi finalizzati a mantenere la vocazione produttiva del territorio nel settore automotive, senza escludere l’inserimento di ulteriori imprese operanti in settori diversificati, con obiettivi di rilancio e di sviluppo industriale.
Il riconoscimento fa seguito al Protocollo di Intesa per l’area di Gela — sottoscritto tra MISE, Regione Siciliana, Comune di Gela e ENI S.p.A. ENI Mediterranea Idrocarburi S.p.A., Raffinerai di Gela S.p.A., Versalis S.p.A., Syndial S.p.A. e rappresentanze delle Organizzazioni Sindacali e Confindustria Centro Sicilia, in data 6 novembre 2014 — in cui, alla luce della crisi del settore della raffinazione, si evidenziava la necessità di una profonda revisione del modello industriale del sito produttivo di Gela, con conseguente piano di riconversione dell’intera area.
Toscana
Con il decreto legge 26 aprile 2013, n. 43 l’area industriale di Piombino è stata riconosciuta come area di crisi Industriale complessa per la quale è stata ravvisata la straordinaria necessità e urgenza di adottare interventi di implementazione infrastrutturale, riqualificazione ambientale e reindustrializzazione, con l’obiettivo principale di mantenere e potenziare i livelli occupazionali dell’area siderurgica, superare la grave situazione di criticità ambientale dell’area e garantirne uno sviluppo sostenibile. Nonostante i vari accordi, compreso quello con Aferpi, la situazione per Piombino resta complicata.
Per l’area di Livorno, invece, si è deciso di definire una complessa ed unitaria manovra di intervento mediante l’attuazione di un Piano di rilancio della competitività , con il completamento infrastrutturale nodo intermodale e integrazione piattaforma logistica costiera e la riqualificazione produttiva dell’area, ricomprendendo anche Collesalvetti e lo sviluppo del parco produttivo di Rosignano Marittimo. In fase di riconversione c’è anche l’area industriale di Massa Carrara.
Umbria
L’area di Terni — Narni è stata riconosciuta area di crisi industriale complessa con decreto 7 ottobre 2016. Con decreto ministeriale 8 febbraio 2017 è stato costituito, il Gruppo di Coordinamento e Controllo per l’area di crisi industriale complessa di Terni — Narni con il compito di definire e attuare il Prri. Altri Accordi di Programma e Protocolli di Intesa per lo sviluppo e la riconversione di aree industriali riguardano l’area di Costacciaro, in provincia di Perugia.
(da “Business Insider”)
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