PROCESSO OPEN ARMS, LE ACCUSE DEI MEDICI A SALVINI: “I PROFUGHI ERANO ALLO STREMO, ANDAVANO SBARCATI”
LE TESTIMONIANZE DEI SANITARI SALITI A BORDO INSIEME AL PROCURATORE
“Vivevano situazioni molto al limite, erano tutti molto provati. Come si può dire che potessero stare ancora a bordo?”. Parola di Vincenzo Asaro, dirigente dell’Asp di Agrigento, salito sulla Open Arms il 20 agosto 2019 insieme all’allora procuratore di Agrigento, Luigi Patronaggio, che proprio all’esito di quel sopralluogo ha dato il via libera allo sbarco della nave e aperto un fascicolo a carico dell’allora ministro dell’Interno, Matteo Salvini. Il leader della Lega è in aula, siede accanto al suo legale, Giulia Bongiorno, quasi annoiato. Passa il tempo a trafficare con il cellulare
A parlare in aula delle condizioni in cui si trovavano i 147 migranti dopo oltre venti giorni di permanenza a bordo è il dottore Vincenzo Asaro. E non ha dubbi. “Erano mediocri” sottolinea “Il protrarsi di quella situazione rappresentava un fattore di rischio molto elevato per la loro salute psicofisica. Avrebbe potuto determinare un aggravamento delle loro condizioni e rappresentare un rischio sia per i migranti che per il personale della nave”.
La Open Arms, spiega, era affollata, tra uomini, donne e bambini non era possibile alcun tipo di privacy o separazione. Erano tutti su un ponte di circa cento metri quadri, “meno di uno a testa” sottolinea. “I migranti dormivano sul ponte della nave, non c’erano altre alternative perché non c’era nulla. Dentro i bagni alla turca potevano in qualche modo lavarsi” ma non avevano a disposizione cambi, né di vestiario, né di biancheria intima. Un rischio, soprattutto per le donne. Mancava anche il sapone, per l’igiene potevano usare solo acqua desalinizzata.
“Non abbiamo fatto accertamenti individuali sulle loro condizioni di salute, sarebbe stato impossibile, non c’erano spazi a sufficienza per vedere le persone una alla volta” spiega il medico, ma ricorda in modo preciso che a decine gli si avvicinavano per mostrargli ferite, lesioni, dermatiti. I casi più gravi, ricorda, erano stati già portati a terra con i “medevac”, le evacuazioni sanitarie urgenti. Ma a bordo, rimanevano anche donne in avanzato stato di gravidanza. Il diario medico, aggiunge, elencava le problematiche più comuni, soprattutto scabbia e pidocchi. Tipiche del sovraffollamento.
“Alcune persone si erano già buttate in mare, tentando di raggiungere le coste di Lampedusa – sottolinea il medico – Le condizioni più preoccupanti erano di tipo psicofisico”. E no, non avrebbero retto ad ulteriori giorni di navigazione, necessari per raggiungere la Spagna, come dal Viminale si ordinava. “”Stiamo parlando di persone in condizioni di grave disagio – conclude – Provammo un sentimento di grande tristezza vedendoli. Erano in una condizione di mancanza di tutto”.
Anche l’equipaggio iniziava a mostrare segni di stanchezza. “E faticava a mantenere la calma a bordo”. Troppo tempo ad aspettare, troppo tempo passato a guardare quella terra che non potevano raggiungere. E il terrore di essere riportati in Libia.
“Per loro rappresentava la morte” chiarisce Cristina Camilleri, la psichiatra responsabile del Dipartimento salute mentale di Agrigento, anche lei nel pool di periti scelti dalla procura di Agrigento.
“La situazione era di urgenza – chiarisce – si doveva evitare che si trasformasse in emergenza”. Un po’, spiega, come nei momenti che precedono l’infarto. Soprattutto fra gli uomini – i cui corpi “lacerati, cuciti, oltraggiati” raccontavano la storia delle torture subite – la situazione era tesa. “Erano terrorizzati, temevano di essere riportati in Libia ed era quello che avevano deciso di evitare a tutti i costi” spiega la dottoressa. Fra le donne a prevalere era un grave stato depressivo. E soprattutto due si trovavano in condizioni gravi.
“La sorella di uno dei profughi che si erano buttati in acqua aveva avuto una reazione grave- ricorda – tanto che era stata curata con tranquillanti”.
Un’altra donna invece “era in stato catatonico, non mangiava, non rispondeva”. In molte hanno raccontato di aver subito torture e violenze sessuali, ma se le gravidanze di molte delle naufraghe fossero conseguenza di quegli abusi “mi è stato chiesto per favore di non chiederlo – sottolinea – perché tante viaggiavano insieme a mariti e compagni”.
(da agenzie)
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