QUANDO GLI IMMIGRATI ITALIANI FURONO LINCIATI DAI FRANCESI: LAVORAVANO NELLE SALINE A PAGA INFERIORE
LA STRAGE DI AIGUES-MORTES DEL 1893: VENNERO MASSACRATI PER QUATTRO GIORNI CON FORCONI E COLTELLI….50 MORTI E 150 FERITI: “E’ APERTA LA CACCIA ALL’ORSO” ANNUNCIARONO I FRANCESI…GLI ITALIANI CERCARONO SCAMPO NELLE PALUDI: LA MEMORIA STORICA NON INSEGNA NULLA
Lo ha ricordato un ottimo articolo del “Secolo XIX”, quotidiano genovese indipendente, ma sulla vicenda sono usciti, negli ultimi anni, diversi libri, tra cui “Morte agli Italiani! Il massacro di Aigues-Mortes 1893” di Enzo Barnabà (Infinito Edizioni), “L’orda, quando gli albanesi eravamo noi” di Gianantonio Stella (Rizzoli), che dedica all’avvenimento un intero capitolo, e “Le massacre des Italiens” di Gerard Noiriel (Fayard).
E’ la strage di Aigues-Mortes nella quale morì un numero imprecisato di lavoratori liguri, piemontesi, lombardi e toscani.
Il bilancio ufficiale fu di 9 morti e 50 feriti, ma molte fonti parlano di 50 morti e 150 feriti: gli italiani, aggrediti a colpi di forcone e coltelli, si dispersero nelle campagne e cercarono scampo nelle paludi, ma molti dei loro corpi furono inghiottiti dal fango.
“E’ aperta la caccia all’orso” annunciò in codice, il 16 agosto 1893, un banditore che chiamò così a raccolta gli agricoltori francesi della zona.
Per i successivi quattro giorni, gli emigrati italiani che lavoravano nelle saline di Peccais, nella Linguadoca-Rossiglione, furono massacrati dai francesi che li accusavano di rubare loro il lavoro accettando paghe da fame.
La scintilla si accese il 14 agosto con il ferimento di un francese da parte di un italiano, durante una delle frequenti risse tra i due gruppi: pare si trattasse di una banale questione per un paio di calzoni o una bottiglia.
La mattina seguente , raccontano i testimoni italiani sopravvissuti, mentre si accingevano ad andare al lavoro, diciotto carabinieri a cavallo invitarono i nostri connazionali a ritirarsi, non essendo loro in grado di garantirne l’incolumità .
Molti italiani trovarono riparo nelle baracche, fatte di paglia, dove miseramente alloggiavano.
Sopraggiunsero però 500 francesi che cominciarono a smantellare i tetti e appiccarono poi il fuoco ai modesti rifugi.
Mentre gli italiani scappavano dalle baracche, i francesi iniziarono la caccia all’uomo e fu un massacro, durato quattro giorni e quattro notti.
Gli accusati della strage furono tutti assolti dalla magistratura francese e i morti non ebbero nemmeno il conforto della giustizia.
Qualcuno scampò all’eccidio e raggiunse senza scarpe e con gli abiti stracciati, Ventimiglia, tanti non tornarono.
Quei poveri “immigrati” italiani lavoravano nelle saline per 10 lire al giorno, dormivano nelle baracche, mentre i francesi andavano in città , lavoravano molto di più dei francesi e quindi, pur avendo una paga inferiore, alla fine guadagnavano qualche lira in più.
L’Italia di allora, quella di De Petris e di Crispi, quella della destra storica e liberale, non protestò più di tanto con il governo di Parigi, in nome di ben altri interessi e affari.
Questa vicenda storica potrebbe forse far meditare tanti “liberal” e tanti rozzi e beceri razzisti di casa nostra, visto il parallelismo con il vergognoso trattamento che a Rosarno hanno subito gli immigrati africani da parte degli italiani.
Come se un Paese senza memoria storica, senza solidarietà e senza anima, abbia voluto cancellare la storia di tante nostra povera gente che emigrava in quegli anni per mangiare, non per avere una Tv col digitale terrestre.
E alla luce di quello che abbiamo subito in passato, è ancora più inqualificabile che ora si sia diventati noi gli aguzzini e gli sfruttatori di altrettanti disperati.
Incapaci di isolare i criminali, i mafiosi e i partiti che alimentano paura e razzismo per squallido tornacorno elettorale.
Una comunità senza radici è una nazione senza futuro e in mano alla feccia razzista.
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