QUANDO MELONI INVEIVA CONTRO LA “CONCORRENZA SLEALE” DELLA CINA
VA IN CINA PER CONTO DEGLI AFFARISTI, NON UNA PAROLA PER UN REGIME CHE DEFINIVA UNA “DITTATURA SANGUINARIA”
Oggi Giorgia Meloni definisce la Cina “un partner economico, commerciale e culturale di grande rilievo” e, in qualità di presidente del Consiglio, firma con il Governo di Pechino un piano triennale di cooperazione ad ampio raggio.
Ma ieri, quando era “solo” la leader di Fratelli d’Italia e inveiva dai banchi dell’opposizione, Meloni usava parole molto diverse nei confronti del Paese del Dragone.
Poco meno di dieci anni fa, il 14 ottobre, puntava il dito contro il Governo Renzi, colpevole a suo dire di essere troppo tenero verso il regime cinese: “Visto che Renzi è amico della Cina, chieda conto della concorrenza sleale che le imprese cinesi fanno al nostro Made in Italy”, scriveva Meloni su Twitter (allora si chiamava ancora così).
Nei giorni scorsi la premier è stata in visita ufficiale a Pechino, dove ha incontrato il presidente cinese Xi Jinping e il primo ministro Li Qiang. Meloni ha sottoscritto un Piano d’azione triennale “per il rafforzamento del Partenariato Strategico Globale Cina-Italia”, un’intesa per la cooperazione tra i due Paesi in sei settori – commercio, finanza, innovazione, sviluppo “green”, sanità, cultura – con un occhio in particolare alle auto elettriche, alle energie rinnovabili e all’intelligenza artificiale.
Meloni solo pochi mesi fa aveva deciso di non rinnovare il Memorandum Italia-Cina che era stato firmato nel 2019 dal Governo Conte nell’ambito della Via della Seta.
All’epoca Fratelli d’Italia criticò duramente l’accordo: “La dittatura sanguinaria di Pechino trova ospitalità in Europa e in Italia, si progettano affari ultra-miliardari, si ignorano le condizioni barbare in cui vivono oltre un miliardo di persone, si glissa sull’inquinamento mostruoso di cui la Cina è protagonista, sullo sfruttamento dei lavoratori, delle donne, dei bambini, dei dissidenti politici”, protestava il deputato Fabio Rampelli, uno dei “colonnelli” di Giorgia. “La Cina è un mostro di fronte al quale l’Occidente si genuflette quotidianamente, dovrebbe essere cacciato dal Wto per continua infrazione di regole elementari”.
Anche Lucio Malan – che oggi è un fervente meloniano ma allora per la verità militava ancora in Forza Italia – attaccava: “Si dimentica sempre la carica più importante di Xi Jinping: Segretario generale e capo della Commissione militare del Partito comunista cinese, l’unico consentito. Giusto coltivare anche quel mercato, ma senza dimenticare che la Cina non è un Paese a libero mercato, spesso non ha rispettato la proprietà intellettuale, cioè ha copiato i nostri prodotti, e che quasi tutte le aziende italiane che ‘investono in Cina’ in realtà delocalizzano la produzione”.
Meloni puntò il dito in particolare sui rapporti tra il Movimento 5 Stelle e il “regime cinese”. Nel corso degli anni, poi, la leader di Fratelli d’Italia ha sostenuto più volta la necessità di difendere le imprese italiane dalla spietata concorrenza cinese, che rappresentava un “attacco alla nostra economia”.
È la stessa Meloni, peraltro, oggi, da premier, a spalancare le porte dell’Italia alle case automobilistiche cinesi che producono veicoli elettrici.
Pechino è “un interlocutore molto importante” con cui si può “ragionare insieme di come garantire stabilità, pace e un interscambio libero”, a patto “che rimanga stabile il sistema delle regole nel quale ci muoviamo”, osserva oggi la presidente del Consiglio.
Meloni – pur essendo una fedele atlantista – adesso dice di voler “esplorare nuove forme di cooperazione” con la Cina “lavorando per rapporti commerciali che siano il più possibile equilibrati” non solo tra il Paese asiatico e l’Italia ma anche tra Pechino e l’Unione europea.
Da nemico assoluto, insomma, la Cina si è improvvisamente trasformata in un partner strategico con cui fare affari. Ma in questi (quasi) due anni di governo, la premier ci ha abituato alle giravolte. Per informazioni, chiedere a Ursula von der Leyen.
(da TPI)
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