QUANTO CI COSTA TRATTENERE I MIGRANTI IN ALBANIA: 500 EURO A TESTA AL GIORNO, CONTRO I 35 EURO DELLE STRUTTURE ITALIANE
COSTERA’ INOLTRE 138.000 EURO AL GIORNO PAGARE DIARIE, VIAGGI, VITTO. ALLOGGIO AL PERSONALE INTERFORZE
Oltre mezzo miliardo di euro in 5 anni. È quanto costerà all’Italia la gestione dei centri per migranti in Albania, nati dall’accordo siglato il 6 novembre 2023 tra il governo Meloni e quello di Tirana. Una spesa di circa 120 milioni di euro l’anno, per un totale di 600 milioni fino al 2028, per realizzare e mandare avanti le strutture di Shengjin e Gjader, nel nord del paese.
Per realizzare il centro di Shengjin sono stati spesi 3 milioni di euro, mentre per il sito di Gjader, un ex base dell’Aeronautica albanese fortemente degradata, il conto è salito a 20 milioni solo nel 2024.
A questi vanno aggiunti i costi per gli allacci delle reti e per garantire alloggio, vitto, cure mediche e ogni servizio necessario alle circa 1.200 persone che potranno essere accolte nelle due strutture.
Ma non è tutto. Secondo un’analisi di Openpolis, dei 600 milioni preventivati, oltre 200 non riguarderebbero spese di gestione, ma costi aggiuntivi come i 252 milioni per le trasferte dei funzionari ministeriali in 5 anni, “una cifra pari a una media di 138mila euro al giorno, necessaria a pagare viaggi, diarie, vitto e alloggio del personale interforze”, si legge nel report.
Il confronto
Secondo i dati del Viminale, nel 2022 in Italia si sono spesi circa 55 milioni di euro per gestire poco meno di 600 posti nei Cpr (i centri di permanenza per i rimpatri in Italia), con un costo medio di 250 euro a persona al giorno. Una cifra già piuttosto alta se paragonata ai 35 euro pro capite spesi quotidianamente per l’accoglienza nei Cas e nei Sai, dove nel 2022 sono state ospitate quasi 100mila persone con una spesa complessiva di 920 milioni di euro.
Ma per quanto riguarda i centri in Albania, si stima che per ogni migrante ospitato l’Italia spenderà addirittura 500 euro al giorno, il doppio rispetto ai Cpr e oltre 14 volte in più rispetto alle strutture di accoglienza italiane. Un costo pro capite elevatissimo, che rischia di far lievitare ulteriormente la spesa complessiva per la gestione del fenomeno migratorio.
Nel 2022, infatti, secondo i dati della Ragioneria dello Stato, l’Italia ha già speso circa 2,6 miliardi di euro per accoglienza, soccorsi, controlli alle frontiere e rimpatri. Una cifra importante, che ora si appresta a crescere con l’avvio dei centri in Albania, nonostante questi vadano a ospitare solo una parte dei migranti in arrivo, selezionati in base a criteri restrittivi come genere, età, paese di provenienza e vulnerabilità.
Criteri di accesso e rimpatri
Nonostante l’impegno economico, tuttavia, restano diversi dubbi sull’efficacia dell’accordo con l’Albania. Dai termini del protocollo, infatti, non è chiaro come la creazione dei due centri possa davvero contrastare il traffico di esseri umani e prevenire i flussi migratori irregolari. Perplessità che aumentano se si considera che, secondo la normativa italiana, le procedure accelerate di frontiera possono essere adottate solo per uomini adulti, provenienti da paesi considerati sicuri e che non si trovino in una condizione di vulnerabilità. Criteri non sempre facili da verificare, come dimostrato dal fatto che già al primo trasferimento 4 dei 16 migranti sbarcati a Shengjin dovranno essere riportati in Italia: due perché minorenni e due per le precarie condizioni di salute.
C’è poi il nodo dei rimpatri che, in base al protocollo, spetterebbero all’Italia ma che spesso si rivelano difficili da attuare. Basti pensare che “meno della metà delle persone trattenute in un Cpr nel 2022 è stato poi effettivamente rimpatriato”, ricorda Openpolis. Con il rischio che, in caso di rilascio per scadenza dei termini, i migranti irregolari debbano comunque essere portati in Italia, vanificando l’obiettivo di alleggerire il sistema di accoglienza nazionale.
(da Wired)
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