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QUANTO CI COSTI: L’IMPOSTA SULLA CASA DOVEVA VALERE 1,7 MILIARDI, INVECE LA SPESA PER LE FAMIGLIE SARA’ IL DOPPIO

MA NON ERA STATO RENZI A PROMETTERE MENO TASSE?

La reggia di Arcore, residenza del Cavaliere, paga: per le ville, categoria catastale A8, il Comune ha stabilito che, oltre all’Imu (4 per mille, con una detrazione di 200 euro), c’è da versare anche la Tasi del 2,8, per un totale del 6,8 per mille.
A Capalbio, il buen retiro di tanta gauche, zero Tasi sia per le prime che per le seconde case, le quali però sono colpite da un’Imu ben più salata del 10 per mille.
In due topos dei ricchi e famosi come la Costa Smeralda (Comune di Arzachena) e Capri, pericolo scampato: nella località  sarda niente Tasi, e Imu ferma; in quella campana non si è deciso, mentre ad Anacapri sì alla Tasi, pagata non sulle prime case dei residenti, bensì solo su quelle di villeggiatura.
E che sarà  successo alla tenuta di Massimo D’Alema nelle campagne di Terni? Anche lì, niente Tasi, e solo l’Imu, che è al 9 per mille se “La Madeleine” (che formalmente appartiene ai figli) viene intesa come seconda casa, ma scende a zero se intesa come attività  agricola.
Stranezze della nuova tassa sui servizi “indivisibili” dei Comuni, che al suo primo anno di applicazione sta già  dipingendo il territorio nazionale con i mille colori del vestito di Arlecchino e scivolando nella commedia dell’arte.
Perchè le differenze non sono soltanto tra chi l’ha deliberata (circa un quarto dei Comuni) e chi no in tempo per il primo appuntamento di giugno, ma anche tra i sindaci che la applicano e quelli che vi hanno rinunciato, tra chi la mette solo sulla prima casa (la Tasi è nata per rimpiazzare l’Imu cancellata) e chi la spalma sulla prima ma anche sulla seconda casa, oppure la carica tutta sui non residenti.
C’è poi chi ha deciso di farne uno strumento di welfare, a volte con l’effetto di accentuare enormi disparità  di trattamento tra famiglie a pochi metri di distanza l’una dall’altra, divise dal confine esile del territorio comunale.
Qualche esempio? Sesto San Giovanni mette l’aliquota Tasi al 3,3, ma per i suoi disoccupati la sconta del 70 per cento. San Canzian d’Isonzo promette la riduzione del 98 per cento a chi ha meno di 8.931 euro di reddito. Sasso Marconi concede le detrazioni solo ai cittadini in grado di risolvere il seguente rompicapo: «Sconto di 20 euro per ogni figlio minorenne dopo il primo inserito in nuclei famigliari formati da minimo tre persone con almeno due figli minori».
A Isili, in Sardegna, è prevista una tabella con 70 detrazioni diverse a seconda del reddito. Livorno decide per una Tasi secca al 2,5 per mille per tutti, con il risultato che pagherà  anche chi l’anno scorso non pagava l’Imu.
A Firenze nessun versamento per la seconda casa fino a ottobre, e per la prima rinvio a fine anno.
A Venezia, con un bel 3,3 per mille di Tasi, si paga a luglio, come a Roma (al 2,5 per mille). Milano (2,5 per mille sulla prima casa e lo 0,8 sulla seconda) ha scelto di venire incontro a chi dà  in affitto: abbuona la quota Tasi dell’inquilino se è inferiore ai 12 euro e di fatto riduce del 10 per cento la Tasi ai proprietari nel 60 per cento dei casi.
Insomma, una babele. Che ha messo a dura prova i cittadini, costretti a chiedere soccorso a Caf e commercialisti per dipanare istruzioni complicate come mai, storditi da detrazioni variabili in base a rendita catastale, reddito, numero dei figli in un mix da settimana enigmistica.
«Semplificate, standardizzate, evitate delibere chilometriche piene di “visto che…”», implora Franco Galvanini della Consulta dei Caf, in preallarme per la mole di delibere pazze che deve ancora arrivare.
La rabbia potrebbe deflagrare a ottobre, quando scadrà  il turno per le amministrazioni ritardatarie, cioè per la maggioranza dei cittadini, e sarà  la prima stazione di una dolorosa via crucis tributaria: Tasi (prima rata per seimila Comuni) appunto a ottobre, poi tassa sui rifiuti a novembre (secondo acconto per tutti), infine a dicembre ancora Tasi (seconda rata per tutti), più Imu (seconda rata).
Un filotto che renderà  nero l’autunno delle famiglie, ma che potrebbe guastarlo anche al governo.
Per Matteo Renzi sarà  il primo esame sul terreno minato delle tasse sulla casa.
Certo, ha dalla sua l’Europa, che benedice la stretta del fisco sul mattone, ma deve guardarsi da un potenziale effetto boomerang: il bonus degli 80 euro, che politicamente gli è valso l’ondata montante di consenso, potrebbe essere divorato dagli appuntamenti con l’erario, e rovesciare l’umore del Paese, così come degli alleati.
«Un pasticcio, un errore, un favore fatto a Forza Italia», all’ex ministro delle Finanze Vincenzo Visco ancora non va giù la decisione di cancellare l’Imu sulla prima casa, presa dal governo Letta.
Un pedaggio reso al centro-destra, con l’obiettivo politico di rendere più agevole la gestazione dell’Ncd di Angelino Alfano.
«La Tasi è stata presentata come una service tax per finanziare i servizi indivisibili forniti dai comuni», dice l’economista Alberto Zanardi, «ma di fatto è proprio una patrimoniale». In effetti l’illusione ha giocato in pieno: esentati dall’Imu, ritassati con la Tasi, che ha la stessa base imponibile, cioè il valore della casa. Ma sull’effetto finale della nuova tassa le sorprese non sono poche.
Secondo la fotografia d’insieme scattata dal Tesoro, i proprietari di prima casa che — al netto della quota trasferita allo Stato centrale — finanziavano la propria amministrazione con un’Imu di 3,8 miliardi, pagheranno ora ai Comuni una Tasi di 1,7 miliardi; i proprietari di seconde case su cui gravavano 12 miliardi di Imu, ora ne pagheranno più o meno lo stesso, 11,9, a cui si aggiunge però un assegno di 2 miliardi di nuova Tasi.
Se quest’ultima categoria di proprietari immobiliari viene dunque penalizzata, non è detto che tutti i proprietari della sola casa di abitazione pagheranno di meno. Anzi.
Perchè la previsione del Tesoro si basa sull’assunto che tutti utilizzeranno l’aliquota standard dell’1 per mille, mentre nella realtà  questo non sta accadendo.
Nei duemila Comuni che hanno già  deliberato, le aliquote si assestano piuttosto sui valori massimi del 2,5 per mille o addirittura del 3,3, consentito per quest’anno grazie all’addizionale dello 0,8 aggiunta in corsa dal governo (sempre Letta) dopo essersi accorto che i conti non tornavano.
L’Anci, che associa i Comuni, fa infatti tutt’altro calcolo: la prima casa produrrà  una Tasi di 4, 2 miliardi, altro che gli 1,7 stimati dal Tesoro, e addirittura più dell’Imu orginale.
Come è possibile questo risultato?
Intanto non ci sono più isole felici: la no tax area, che prima riguardava le rendite catastali sotto i 370 euro e le famiglie con un figlio (grazie alla detrazione fissa di 200 euro e 50 per figlio), e salvava dall’Imu il 30 percento delle prime case, ora non esiste più.
Le detrazioni c’è chi le accorda — e con criteri assai diversi — e chi no. Il fatto è che oggi i Comuni si trovano di fronte a una doppia tagliola: primo, la Tasi ha aliquote inferiori a quelle per l’Imu prima casa, e quindi se si vuole incassare lo stesso bisogna andarci piano con gli sconti; secondo, scaricare tutto il gettito sulle seconde case spesso non è possibile, perchè il livello di tassazione esistente è già  quasi al massimo.
Stando ai dati dell’Anci, per circa 6.200 comuni (dove vive la metà  della popolazione) non sarà  necessario spremere i propri cittadini: con un’aggiunta dell’un per mille sia sulle prime case che sulle seconde, sarà  possibile recuperare l’introito dell’Imu cancellata.
Ma è tutt’altra musica per un’altra fetta consistente di comuni, tra i quali ci sono tutte le grandi città .
Per circa 1.600 municipi, stima l’Anci, impresa sarà  più complicata perchè hanno già  spinto al massimo l’aliquota Imu sulle seconde case, e per questo non possono caricarle più di tanto, ma devono invece utilizzare la Tasi massima sulla prima casa, evitando di largheggiare con le detrazioni.
E in questo gruppo c’è un sottogruppo di circa 300 comuni davvero nei guai. Il motivo è semplice: con l’Imu ci sono andati giù pesanti, applicando le aliquote top (oltre il 5 e oltre il 10 per mille per prima e seconda casa) e ora non riusciranno a replicare lo stesso gettito.
Chi sono? Tutte le città  capoluogo oltre i 250 mila abitanti: Roma e Milano, ma anche Torino, Genova, Catania, Napoli, Torino, Bologna, Verona, Brescia, Parma, Perugia, Ravenna, Reggio Emilia.
Infine c’è un gruppo di circa 300 comuni (sotto i 156 mila abitanti), che si erano abituati ad un gettito elevato dell’Imu prima casa (oltre il 5 per mille), e che avrebbero la possibilità  di torchiare le seconde case (perchè sono sotto il 9,6 per mille), ma non hanno abbastanza seconde residenze nel proprio territorio per rifarsi. Tra loro ci sono Andria, Avellino, Caltanissetta, Livorno, Terni, Vigevano, Gallarate.
Per chi non riesce a incassare quanto prendeva con l’Imu, quest’anno c’è il salvagente del Fondo da 625 milioni messo a disposizione dal Tesoro per tappare i buchi.
Ma nel 2015? «Abbiamo ridotto la pressione fiscale sulla casa riportandola al livello del 2012», spiega l’assessore al Bilancio di Milano, Francesca Balzani, «e ciò ha prodotto una perdita di gettito di 100 milioni. Quest’anno attingeremo al Fondo, ma in futuro porremo il tema di trattenere anche la quota Imu che trasferiamo allo Stato: è una questione di trasparenza con i cittadini».
Si profila dunque una nuova partita, nell’eterno cantiere delle tasse sulla casa. In cui non mancano i costruttori: per le case invendute erano riusciti a farsi cancellare l’Imu, ma ora vengono colpiti dalla Tasi.
E non ci vogliono stare.

Paola Pilati

This entry was posted on domenica, Giugno 29th, 2014 at 15:12 and is filed under casa. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can leave a response, or trackback from your own site.

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