REGENI, IL TEAM ITALIANO CHIEDE AGLI EGIZIANI LE TRACCE DEI TABULATI, NESSUNA RISPOSTA
LA RICOSTRUZIONE DEI NOSTRI INVESTIGATORI E LE LORO RICHIESTE INEVASE DALLE AUTORITA’ LOCALI
Entro venerdì è previsto un briefing per fare il punto dell’inchiesta. E il nostro team, coordinato dal pm della procura di Roma Sergio Colaiocco, insisterà per avere tutto il materiale che ha finora ha chiesto invano.
Da oltre dieci giorni sono attesi i tabulati telefonici, i video delle telecamere, i verbali degli interrogatori. Ma finora non è arrivato nulla.
Intanto al Cairo si respira un’aria strana, pesante.
Ce lo raccontano via chat giovani professionisti egiziani. «Ricevo messaggi sul telefono e sui social dove dicono che mi stanno addosso, sento che è questione di tempo». «Hanno portato via K. qualche sera fa, il telefono non risponde più».
«Ci sono stati arresti ad Alessandria non sappiamo nulla». «Mi hanno preso, sono stato in custodia quattro giorni, ho tanta fame e voglio solo dormire».
E un giornalista chiosa: «Per quanto possa sembra impossibile che la sicurezza s’irrigidisse ancora di più negli ultimi giorni l’aria è davvero irrespirabile da far temere che debba accadere qualcosa» dice un giornalista.
I nostri investigatori inviati al Cairo hanno chiesto agli egiziani di passare al computer tutti i cellulari che il 25 gennaio, giorno in cui Giulio Regeni fu portato via, hanno agganciato la cella nella via del Cairo dove abitava. Per il momento, però, le autorità egiziane non hanno fatto sapere nulla al proposito.
Gli investigatori italiani, quel gruppo misto di Ros e Sco che sta lavorando da giorni all’omicidio Regeni, si è fatto un’idea chiara di come sono andate le cose: un gruppo tuttora sconosciuto di sequestratori ha aspettato il giovane Giulio per molte ore nascosto in strada, probabilmente chiusi dentro un furgone.
Giulio uscì di casa attorno alle ore 20 per andare all’appuntamento con il suo amico Gennaro Gervasio, ma i sequestratori non sapevano a che ora sarebbe uscito.
In quelle ore di attesa, sicuramente i sequestratori hanno usato i loro cellulari.
È fatale: lo fecero gli agenti segreti della Cia, perchè non il gruppo che ha «prelevato» Giulio? Così facendo, però, avranno lasciato una traccia telematica. Questo hanno chiesto gli italiani alla polizia egiziana: un’analisi sofisticata dei tabulati di tutti i cellulari presenti in strada. Immediatamente dopo il sequestro, però, il gruppo di cellulari – due? tre? – si dev’essere mosso per andare via. Con l’analisi comparata delle celle che i cellulari sospetti hanno agganciato, si può ricostruire il tragitto che fu fatto con il furgone che fu usato per portare via Giulio.
Nel caso di Abu Omar, grazie alle celle, la polizia potè documentare la corsa dalla via di Milano fino all’aeroporto militare di Aviano dove c’era evidentemente un aereo della Cia pronto per il decollo.
Il Protocollo prevede dunque analisi comparate, identificazione dei numeri sospetti, confronto di traffico telefonico. La squadra investigativa a servizio di Spataro risalì, tramite il reticolo di telefonate, a delineare il perimetro del gruppo. Il passo successivo fu trovare l’identità delle persone che utilizzavano quei cellulari.
A ogni numero fu collegata una faccia e persino le stanze di albergo dove avevano alloggiato, e quali carte di credito avevano utilizzato.
Una scia tecnologica che ha inchiodato gli agenti della Cia al processo.
Francesco Grignetti
(da “La Stampa“)
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