RENZI: “BERLUSCONI DIRA’ SI’ AL NOSTRO CANDIDATO”
IL MODELLO E’ UN UOMO O UNA DONNA CON ESPERIENZA MA LONTANO DAI RIFLETTORI DA QUALCHE ANNO
Forse è perchè anche Berlusconi, alla fine, si è convinto di quello che in questi giorni va ripetendo Denis Verdini ai malpancisti di Forza Italia: “Ragazzi, rassegnamoci: questo è il decennio di Renzi”.
Forse è perchè l’ex Cavaliere anela più di ogni altra cosa a restare nel grande gioco, senza essere marginalizzato.
In ogni caso, alla vigilia dell’apertura della partita sul Quirinale, il premier è sicuro che non verranno da Arcore i problemi.
E ha iniziato a conteggiare la maggior parte dei 150 grandi elettori forzisti nella stessa colonna di maggioranza dove già si sommano i 460 del Pd, gli 80 Ncd, i 30 delle autonomie e i 20 di Scelta civica.
“Berlusconi voterà il nome che gli proporremo – ha confidato il capo del governo ai suoi – a patto di non sottoporgli un personaggio che sia una palese provocazione”.
Uno sgarbo, o una “provocazione “, che non converrebbe nemmeno a Renzi portare avanti. Anche perchè in quel caso non è detto che i parlamentari forzisti, nel segreto dell’urna, seguirebbero le indicazioni dei capigruppo.
Anzi, è proprio la tenuta dei gruppi forzisti, ancora prima che quelli democratici, uno dei crucci di palazzo Chigi.
Perchè per portare a termine l’operazione Quirinale a Renzi serve che Berlusconi riesca a convincere almeno un’ottantina dei suoi.
Renzi parte infatti da una base di 740-750 voti di grandi elettori su un plenum di 1009. Scremati i 40-50 franchi tiratori dem, tolti i fittiani, scorporati dal totale anche una buona metà degli alfaniani, i calcoli di Renzi fissano una cifra intorno ai 550 elettori certi.
Una soglia di sicurezza, visto che dal quarto scrutinio in poi basterà la maggioranza assoluta di 505 per eleggere il nuovo presidente.
Se tutto andrà per il verso giusto, non si andrà oltre una settimana di votazioni per avere il prescelto.
L’ansia del premier è che il Parlamento non si sfianchi in ripetute sedute a perdere. “Non possiamo trascinarla”, è il suo monito. Anche perchè, votazione dopo votazione, i franchi tiratori non potrebbero che aumentare, alimentando una sensazione di caos ingovernabile.
Da qui l’esigenza di “fare in fretta e bene”. Come avvenne nel 2006 con la prima elezione di Napolitano.
È proprio quello il “procedimento” a cui guarda il capo del governo, insieme ad altri precedenti illustri come Cossiga e Ciampi (frutto però di maggioranze amplissime oggi difficilmente realizzabili).
Dopo i primi tre scrutini andati a vuoto, l’Unione passò dalla candidatura D’Alema a quella Napolitano. L’allora Cdl si astenne e Napolitano venne eletto con 543 voti. Quelli del centrosinistra e quelli dell’Udc di Follini.
È il metodo che intende replicare Renzi. Ma i nomi, al momento, da palazzo Chigi non escono. Nessuna rosa, è troppo presto.
“Il profilo uscirà fuori dall’assemblea dei grandi elettori del Pd – ripete a tutti il segre- tario – perchè l’importante è che nessuno si senta escluso”.
La minoranza dem non deve avere nemmeno il sospetto che il prescelto venga fuori dal patto del Nazareno, sebbene sia proprio sui voti di Berlusconi che Renzi fa affidamento.
La riprova si è avuta nella notte tra venerdì e sabato al Senato. Quando solo grazie al pronto intervento del capogruppo forzista Paolo Romani, che ha richiamato di corsa in aula 18 dei suoi per garantire il numero legale, il governo è riuscito a incardinare l’Italicum 2.0.
E il fatto che tra quei 18 ci fosse Maria Rosaria Rossi, la fedelissima del leader di Forza Italia e tesoriera del partito, ha confermato a palazzo Chigi che il patto del Nazareno per Berlusconi ancora tiene.
Sta di fatto che, sulla legge elettorale, di notte il Fronte del No ha provato a giocare il tutto per tutto. Con i quattro irriducibili della minoranza pd e con una buona metà di senatori Ncd improvvisamente introvabili e poi magicamente riapparsi quando era chiaro che il numero legale sarebbe stato comunque garantito.
Nelle conversazioni private Renzi mastica amaro: “Una parte della maggioranza ha cercato di innescare una trappola, ma non ci sono riusciti”. Senza i voti di Forza Italia, come fa notare il vicecapogruppo Francesco Giro, “Renzi a palazzo Madama la maggioranza non ce l’ha”.
L’altra lezione che queste ore convulse impartiscono al premier è che ormai Sel va considerata tra i “nemici” più agguerriti. Lo dimostra il discorso tenuto ieri da Nichi Vendola davanti all’assemblea del suo partito.
Un intervento dai toni forti contro il governo e contro il Pd, di cui si invoca apertamente la “scissione”.
Ma soprattutto un discorso chiuso con una offerta che a palazzo Chigi hanno valutato in tutta la sua pericolosità : “Se il Pd vuole – ha scandito Vendola – dopo quattro votazioni possiamo eleggere Romano Prodi al Quirinale”.
Una mela avvelenata, che farebbe saltare l’intesa con Berlusconi e la possibilità di portare a casa l’Italicum prima dell’elezione del successore di Napolitano. Per questo nessuno nel Pd l’ha raccolta. Tranne ovviamente il solito Pippo Civati, il primo a rilanciare la candidatura del Professore.
L’ordine di Renzi ai suoi è quello di mantenere il massimo riserbo sui nomi e sugli identikit. E lo stesso “consiglio”, tramite Denis Verdini, è arrivato da palazzo Chigi ad Arcore. “Berlusconi – gli ha spiegato Renzi – è inutile che avanzi nomi. Appena ne pronuncia uno, il prescelto perde subito i voti di metà del gruppo democratico “.
I più vicini al premier sono comunque convinti che, nella sua testa, Renzi in realtà abbia chiaro a chi rivolgersi quando arriverà il momento opportuno.
Un uomo o una donna con esperienza, ma lontano dai riflettori da qualche anno. Proprio come Napolitano nel 2006.
Che nessuno, fino alla sera prima dell’elezione, immaginava incoronato come futuro “Re Giorgio” per nove anni.
Francesco Bei
(da “La Repubblica”)
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