RICHARD GERE CONTRO SALVINI: “SE NON VEDIAMO IL DOLORE DEGLI ALTRI ABBIAMO FALLITO COME RAZZA UMANA”
L’ATTORE CHE HA VISITATO OPEN ARMS: “SIAMO TUTTI RIFUGIATI”
Richard Gere nell’agosto 2019 ha visitato Open Arms al largo di Lampedusa. L’allora ministro degli Interni Matteo Salvini è stato processato e assolto. «Quando sali su un’imbarcazione come quella, cosa che ho fatto in quell’occasione e poi anche in altre, vedi le stesse cose che, in questi anni, abbiamo visto in tanti luoghi del pianeta, India, Honduras, Bangladesh, Africa e anche in America. Gente che cerca una casa, un posto dove vivere, un riparo. In un certo senso siamo tutti rifugiati e, anche se non conosco i dettagli di questo caso giudiziario, penso che, se non riusciamo a specchiarci nelle sofferenze dei nostri fratelli, vuol dire che, come razza umana, abbiamo fallito», dice oggi in un’intervista a La Stampa.
Gere parla anche dell’elezione di Donald Trump: «Ho incontrato rappresentanti del Congresso, sia repubblicani che democratici, con l’obiettivo di capire quale percezione abbiano del futuro che ci aspetta. Sa come è andata? Nessuno ha saputo rispondere».
Gere trova inquietante che «del governo Trump, facciano parte due tra le persone più ricche dell’intero pianeta e che esse abbiano, quindi, la facoltà di esercitare il loro potere. Il fatto che siedano nell’ufficio presidenziale è per me molto allarmante. Nella Costituzione americana ricorre più volte la formula “noi, il popolo”, non certo “noi, i miliardari”. Dimenticare il popolo americano, quello vero, che non è certo fatto da super-milionari, è la cosa che più mi spaventa, quella che veramente fa tremare se pensiamo alle nostre sorti future. In America, ma anche in tante altre nazioni».
La diffusione delle armi
Poi parla della diffusione delle armi: «Restiamo sconvolti ogni volta che assistiamo alle stragi nelle scuole, con ragazzini che vengono ammazzati, ma la vendita delle armi continua a proliferare e l’esercizio della violenza in Usa è onnipresente, sempre in crescita. Mi sono attivato in questo senso, cerco di promuovere movimenti che controllino la diffusione delle armi». Infine: «Faccio parte esattamente di quella generazione che ha ricevuto la prima chiamata al fronte, quando è scoppiata la guerra in Vietnam. Era un periodo molto particolare, c’è stato come un risveglio universale, una voglia di reagire da parte dei ragazzi di allora, di dire no a quello che stava succedendo, forse anche perché gli orrori dell’Olocausto e del Secondo conflitto mondiale erano ancora vicini e allora quei giovani hanno saputo dire “no, non voglio essere parte di una nuova guerra”».
(da agenzie)
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