“RIEMPITELO DI BOTTE, TANTO HA LA PELLE NERA E NON SI VEDE NIENTE”: LE CONVERSAZIONI TRA I SECONDINI DEL CARCERE DI TRAPANI CHE TORTURAVANO I DETENUTI IN ISOLAMENTO
“FACCIAMOLI ADDORMENTARE, QUANDO SONO A LETTO LI PRENDIAMO A SECCHIATE DI ACQUA E ‘PISCIAZZA'”… UN AGENTE ESULTA DOPO IL PESTAGGIO DI UN DETENUTO: “GLI HO LASCIATO LA FORMA DELL’ANFIBIO IN TESTA”… LE URLA CONTRO I PRIGIONIERI: “TU SEI UN CANE, AMMAZZIAMOLO A BASTONATE”… 11 SECONDINI SONO STATI ARRESTATI, 14 SOSPESI DAL SERVIZIO
Carcere di Trapani, Sicilia. Dal manuale dell’agente penitenziario: «Al detenuto gli si devono dare legnate. Anche a Ivrea così facevamo noi, appena toccavano un collega… a sminchiarli proprio». Ancora: «Facciamoli coricare… Poi quando sono sul letto prendiamoli a secchiate d’ Acqua? È pisciazza mischiata con l’acqua. Mi raccomando prendilo». E ancora: «Ammazziamolo di botte a sto bastardo».
«Gli ho lasciato la forma dell’anfibio in testa». E infine: «Non c’è bisogno di scudi e manganelli, troppo bordello. Invece, se lui ci esce le mani, ci mettiamo un bel paio di manette, lenzuolo di sopra per non lasciargli segni compà e lo fracchi: tanto questo è nero e non si vede niente».
Le parole degli agenti penitenziari arrestati, allontanati dal lavoro e indagati sono, purtroppo, il miglior racconto di quanto potesse accadere ai detenuti, nelle mani dello Stato, nella casa circondariale Pietro Cerulli di Trapani. Più precisamente ancora: nel reparto Blu, adibito all’isolamento dei detenuti. «Un reparto da chiudere: la scena che si è presentata ai nostri occhi è stata davvero dura da sopportare» avevano raccontato lo scorso anno i volontari dell’associazione “Nessuno tocchi Caino”. Ma il loro allarme era rimasto inascoltato. Eppure tutto era chiaro a tutti.
Come scrive il gip Giancarlo Caruso nelle 158 pagine di ordinanza di custodia cautelare, «si trattava di un’ala del carcere senza telecamere» e questo «ha rappresentato uno stimolo per l’esercizio arbitrario della forza». Il gip parla di un uso sistematico di «atti di tortura», dove «i detenuti più fragili e vulnerabili» erano trattati come «vite di scarto, ai quali è giusto negare ogni forma di umanità ed empatia».
Per esempio. Un detenuto aveva avuto uno scontro prima con altri detenuti. E poi con un agente. «E ora stanotte lo andiamo a sminchiare. Capito perché? Le secchiate d’acqua. Che poi fa caldo, gli facciamo piacere». I pestaggi erano organizzati. «Creiamo una squadretta di sei persone, appena succede qualcosa, saliamo nel reparto» diceva l’agente Antonino Fazio.
Un’idea che viene raccolta dai colleghi. Si legge negli atti, infatti, che viene organizzata «la formazione di una squadretta punitiva di poliziotti penitenziari, favorevoli all’utilizzo di metodi risoluti e violenti per la repressione di forme di dissenso da parte dei detenuti». I metodi duri dovevano essere utilizzati anche nei confronti del personale medico, accusati di «mettersi in mezzo»: «E appena lo fanno — commentavano — sminchi pure loro, perché sono una manata di handicappati».
I microfoni hanno registrato tutto l’orrore del carcere: «Mettilo al muro». E ancora: «Ammazzalo di bastonate, sto pezzo di merda, ci voleva alzare le mani alla guardia!». Urlavano ai detenuti: «Tu sei un cane, tu sei un cane capito!». Agli atti anche le rimostranze degli agenti. Si lamentavano, per esempio, che le violenze accadessero troppo di rado. «A quello gli ho dato un calcio in faccia che gli ho lasciato la forma dell’anfibio. Ma queste cose si dovrebbero fare ogni minuto, non ogni morte di Papa».
(da La Repubblica)
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