ROMA-PARIGI-BERLINO: CACCIA ALLE AZIENDE IN FUGA DA LONDRA
L’ITALIA PUNTA ALL’AUTORITA’ DEL FARMACO E DELLE BANCHE
L’addio all’Unione europea può costare caro al Regno Unito per tante ragioni, non ultima la possibile diaspora di multinazionali e Autorità comunitarie che hanno sede a Londra e dintorni, alle quali sono ben disposti a fare ponti d’oro i governi degli altri Paesi, Italia, Germania e Francia in testa.
“Brexit per l’Italia può rappresentare un’occasione”, ha spiegato oggi il presidente del Consiglio Matteo Renzi, che vuole una task force “che coinvolgerà gli esponenti della finanza e dell’economia italiani che hanno un ruolo a livello europeo per portare in Italia tutto quello che si può portare”.
L’attenzione, in questo caso, è in particolare per due Autorità sulle quali da tempo Roma ha messo gli occhi, vale a dire l’Ema (European Medicines Agency, l’agenzia del farmaco che occupa circa 600 persone) e l’Eba (European banking Authority, con circa 150 dipendenti di cui molti italiani), che hanno entrambe sede a Canary Wharf, centro direzionale ricavato nella vecchia zona portuale di Londra.
Dalle rive del Tamigi potrebbero dunque traslocare al di qua delle Alpi e Milano si è già candidata per ospitarne almeno una, tanto che il sindaco Giuseppe Sala mercoledì volerà nella capitale britannica per gettare le basi di un possibile trasferimento.
La strategia dell’accoglienza italiana non sarebbe comunque riservata solo agli enti pubblici, ma anche alle aziende, da attirare con vantaggi fiscali.
Il governo sta infatti valutando la possibilità di creare due aree a fiscalità agevolata a Milano, nell’area ex Expo, e a Bagnoli per attrarre investimenti, magari proprio in fuga da Londra.
La concorrenza da parte dei partner europei, però, è agguerrita.
Sul piatto ci sono i miliardi che muovono marchi come Vodafone, Visa, Easyjet, Nissan, Toyota o colossi del credito come JpMorgan, Morgan Stanley e Deutsche Bank, che fanno gola a molti: finora nessuno ha fatto il passo ufficiale per il trasloco, ma gli indizi di un possibile addio ci sono.
Easyjet ha chiesto un certificato di vettore europeo, Vodafone “sta valutando giorno per giorno la situazione”, Visa “continua a monitorare la situazione con attenzione”, Nissan e Toyota (presenti in forze nel Paese) ancora prima del referendum avevano avvertito che gli investimenti ne avrebbero risentito.
Se qualcuno deciderà veramente di passare il Rubicone, anzi di attraversare la Manica, troverà ad accoglierlo non solo l’Italia, ma anche la Francia (la Brexit rappresenta per la Francia l’opportunità di “vincere” aziende, ha detto il ministro dell’Economia, Emmanuel Macron) e la Germania: per Vodafone, per esempio, si è fatto avanti il land del Nord Reno Vestfalia, che ha candidato la città di Dusseldorf.
Molta incertezza aleggia poi sulla questione della prospettata fusione tra la Borsa di Londra (London Stock Exchange, che tra l’altro controlla Piazza Affari) e quella di Francoforte, che sarà domani al vaglio dell’assemblea della stessa Lse per un voto favorevole ritenuto scontato.
La Bafin, l’ente di controllo tedesco sui mercati finanziari, ha già mostrato le proprie perplessità sul fatto che Londra possa essere la sede della super-Borsa nata dalla fusione e anche il presidente della Consob Giuseppe Vegas ha scritto al presidente della Lse Donald Brydon per chiedere un coinvolgimento dell’Autorità di vigilanza italiana in eventuali iniziative che coinvolgano Borsa Italiana a seguito della Brexit.
Da Londra, insomma, potrebbero scappare in molti e forse non servirà nemmeno l’accorato appello del sindaco Sadiq Kahn, che oggi in una lettera aperta ha assicurato che la capitale britannica è “aperta alle imprese”.
(da “Huffingtonpost“)
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