SALVINI ATTACCA LAMORGESE SUL CASO DEL PREFETTO DI BARI CHE HA NOMINATO LUI NEL MAGGIO 2019
IL CAPO DIPARTIMENTO DEL VIMINALE LASCIA DOPO L’INDAGINE PER CAPORALATO A CARICO DELLA MOGLIE (LUI NON E’ INDAGATO)
“Disastro Viminale, il ministro riferisca immediatamente in Parlamento”. Coglie la palla al balzo la Lega che chiede a Luciana Lamorgese di presentarsi alle Camere dopo le dimissioni del capo dipartimento dell’Immigrazione del Ministero dell’Interno, Michele Di Bari.
Confermato nel suo ruolo dall’attuale titolare del Viminale, ma voluto lì – il suo incarico inizia a maggio 2019 – da Matteo Salvini. Che oggi, avendo cura di non citare Di Bari, torna ad attaccare la ministra sugli sbarchi dei migranti.
Le dimissioni di Di Bari sono arrivate sulla scia di un’inchiesta sul caporalato in Puglia. Di Bari non è coinvolto a nessun titolo. Sua moglie, però, è tra i 16 indagati in un fascicolo della Procura di Foggia che ha portato all’arresto di cinque persone, due delle quali in carcere.
La donna – sottoposta a obbligo di firma e dimora – è socia di una delle 10 aziende coinvolte nell’indagine. Ed è accusata, come gli altri, di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.
Benché il prefetto non sia indagato, la notizia deve aver creato non poco trambusto nelle stanze del Viminale. Ma soprattutto si è rivelata una grande occasione per i nemici giurati della ministra
Fratelli d’Italia si spinge oltre e chiede le dimissioni: “Non basta che il capo del dipartimento per le Libertà civili e l’Immigrazione del Viminale si dimetta dal proprio incarico. Dopo anni di continue criticità, serve una vera svolta per mettere la parola fine alla scandalosa gestione dei dossier in capo al Ministero dell’Interno che ha in Lamorgese la principale responsabile
Dal canto suo, Michele Di Bari, difende la posizione della moglie che, dice, “ha sempre assunto comportamenti improntati al rispetto della legalità. Mia moglie, insieme a me, nutre completa fiducia nella magistratura ed è certa della sua totale estraneità ai fatti contestati”.
Classe 1959, Di Bari prima di arrivare al dipartimento Libertà civili e l’Immigrazione è stato prefetto a Modena, Vibo Valentia e, dal 2016 fino all’arrivo a Roma, a Reggio Calabria.
Fu lui a firmare, mentre ricopriva quest’ultimo ruolo, la sospensione di Mimmo Lucano, allora sindaco di Riace, dopo l’arresto. Era l’autunno del 2018 e quell’atto faceva seguito a un’inchiesta della procura di Locri, che poi ha portato alla contestatissima condanna in primo grado di Lucano.
Sullo sfondo della polemica politica, e del passato lavorativo di uno dei protagonisti di questa storia, resta l’inchiesta della procura di Foggia. L’accusa degli inquirenti è che gli indagati abbiano utilizzato sfruttato decine di lavoratori venuti dall’Africa “approfittando del loro stato di bisogno derivante dalle condizioni di vita precarie e dalla circostanza che essi dimoravano presso baracche e ruderi fatiscenti della baraccopoli dell’ “ex pista” di Borgo Mezzanone”, uno dei ghetti presenti sul territorio ormai da tempo. I braccianti, sostiene il gip nella sua ordinanza, avrebbero lavorato senza che fossero loro garantiti i diritti previsti dalla legge. Il riferimento, in particolare, è all’orario di lavoro, ai periodi di riposo, alla retribuzione e al fatto che non erano messi a loro disposizione neanche dei servizi igienici idonei.
(da agenzie)
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