SALVINI SI FA DARE DUE SCHIAFFI IN PUBBLICO, MA COSI’ METTE MELONI CONTRO ZAIA
LA LEGA PRESENTA L’EMENDAMENTO PER IL TERZO MANDATO AI GOVERNATORI AL SENATO. RISULTATO: SONORAMENTE BOCCIATO… POI MINACCIA DI PRESENTARNE UN ALTRO SUI BALLOTTAGGI AI COMUNI MA POI LO RITIRA
Salvini si immola per mettere Meloni contro Zaia e tenersi al riparo dalle critiche interne.
Al Senato la Lega presenta due modifiche al decreto elezioni – il terzo mandato e l’abolizione del ballottaggio nei centri più grandi – che fin dall’inizio appaiono senza speranza di essere approvate. La prima era stata già bocciata in Commissione. Farla passare, significherebbe per Meloni dare il via libera alla ricandidatura di Zaia, ma anche di Emiliano e De Luca, e dunque privarsi in un colpo solo della possibilità di vincere in tre regioni.
La seconda, con l’abolizione del secondo turno nei comuni sopra i 15mila abitanti in caso di raggiungimento di un quorum del 40 per cento da parte di uno o più candidati, è una norma scritta a pennello per i sindaci leghisti del nord. Quando fa presentare gli emendamenti Matteo Salvini sa che saranno bocciati.
Ma sceglie di andare al sacrificio per un vantaggio tattico: mettersi almeno parzialmente al riparo dalle critiche interne. “Vedete? Meloni e Forza Italia si accordano contro di noi”, è il messaggio che invia ai maggiorenti interni, fattisi più minacciosi dopo la sconfitta in Abruzzo. Un modo per tacitare il dissenso di quanti gli rimproverano di aver scelto la contrapposizione fine a sè stessa.
A Palazzo Madama non è un caso, è Paolo Tosato, senatore fedelissimo di Luca Zaia, a rappresentare il Carroccio sul terzo mandato. Dopo il verdetto della Commissione, Tosato ripresenta in aula l’emendamento ‘incriminato’. L’Aula lo respinge con solo 26 voti favorevoli, 112 contrari e 3 astenuti, questi ultimi sono i senatori di Svp. Il governo si era rimesso all’Aula.”Ma il dibattito non è chiuso. Stiamo interpretando nel modo più corretto la volonta’ dei cittadini e degli elettori”, minaccia il senatore della Lega Paolo Tosato in dichiarazione di voto. Il forzista Maurizio Gasparri ostenta serenità. Plaude alla decisione del governo di rimettersi all’aula “perchè non c’era nel patto di governo”, rinvia la questione a una riforma più complessiva degli enti locali “de iure condendo” e poi sostanzialente invita i colleghi leghisti a darsi pace.
“Mi chiama un sindaco che dice ma come mai lui che è sindaco di un comune di 16mila abitanti non può ricandidarsi, mentre quello con 15mila, puo’ farlo? Ebbene bello mio, è la legge. Come la maggiore età che scatta a 18 anni. E nelle forze armate, entri se sei alto, i più bassi si adeguano”.
Ancora meno spazi se possibile, Fdi e Forza lasciano alla norma contro i ballottaggi. Se quello sul terzo mandato era atteso, questo emendamento è stato un blitz dell’ultima ora. Fatto evidentemente per provare a spaccare la maggioranza. Perchè che le opposizioni siano contrarie, era previdebile. E infatti gridano al golpe.
“Il blitz sulla cancellazione dei ballottaggi a tre mesi dal voto è uno sfregio alle più basilari regole della democrazia”, dice Elly Schlein. Anche l’Anci non apprezza. “E’ uno stravolgimento di un sistema che fin qui ha funzionato”, dice Antonio Decaro.
Molto meno scontato è il no di Fratelli d’Italia. Un no sofferto, come traspare dalle parole di Alberto Balboni, presidente della Commissione affari costituzionali e relatore del provvedimento, esponente di punta di Fdi. “Nel merito sono d’accordo. Del resto è già in vigore in Sicilia ed è stato introdotto di recente in Friuli Venezia Giulia. Mi dispiace anzi che sia stato definito dalle opposizioni un emendamento vergognoso. Non c’è niente di vergognoso”, spiega.
In effetti è in linea con il premierato, perchè consente l’elezione a botta secca del sindaco. “Io sono d’accordo con lo spirito di questa norma perchè sono troppo frequenti ormai i casi di sindaci che al ballottaggio vincono con meno voti dello sfidante al primo turno”.
Ma il problema, ammette a malincuore “è che serve un altro metodo e ben altro luogo” per discuterne. Alla fine il governo chiede alla Lega di ritirare l’emendamento, o di trasformarlo in ordine del giorno. Francesco Boccia a nome del Pd propone lo stralcio dell’intero articolo, ma non si può fare perchè il decreto è già in vigore.
La Lega china il capo e sceglie di ritirarlo, trasformandolo in un ordine del giorno. Retromarcia, non si va neppure al voto. “Raccogliamo l’invito, su questo tema possiamo comprendere che a due mesi dal voto modificare la norma non sia corretto. Ma la prossima volta, lo diciamo al governo, l’emendamento lo teniamo fino alla fine e lo metteremo ai voti”, dice il capogruppo Massimiliano Romeo. G
asparri gli dà il contentino: “La norma è giusta. La questione ritornerà la prossima volta e l’approveremo”. Ma per la Lega, dopo l’Abruzzo, gira male.
E non è finita, perchè la giornata riserva un altro boccone amaro. E cioè la norma che riduce della metà le firme necessarie a presentare le liste alle europee. In molti ci leggono un modo per aiutare la costituenda lista Libertà formata da Sud chiama Nord e dal Partito popolare del Nord. Una lista anti-Salvini, che potrebbe sottrarre alla Lega consensi sia nel nord autonomista che al Sud, dove pure era presenta la Lega Salvini premier. Questa volta il governo rivendica la scelta.
(da Huffingtonpost)
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