SALVINI VA IN SOCCORSO A DI MAIO IN ABRUZZO: RITARDA LA PRESENTAZIONE DELLE LISTE
LO SCONCERTO DEI SUOI, IL FASTIDIO DEL CENTRODESTRA: A CHE GIOCO STA GIOCANDO?
Talvolta è il dettaglio che disvela la storia.
E il dettaglio è che Matteo Salvini sono giorni che non risponde a telefono, a quanti lo stanno cercando per “chiudere” le liste in Abruzzo.
E per dare il via libera al candidato del centrodestra, il senatore di Fratelli d’Italia Marco Marsilio.
Lo ha cercato più volte la Meloni, altrettante Berlusconi o qualcuno da Arcore. La risposta è stata sempre la stessa, attraverso qualche ambasciatore: “Matteo è impegnato sulla manovra, appena finisce la chiudiamo…”.
Insomma, ha preso tempo, senza mai dare il mandato a Giancarlo Giorgetti. Roba che, in tempi di sfavillante decisionismo e comunicazione a colpi di tweet, sarebbe bastato un sì o un no.
Qualche altro dettaglio sul dettaglio: in Abruzzo, dove si voterà il prossimo 10 febbraio, i sondaggi danno il centrodestra in testa, attorno al 40 per cento, i Cinque stelle attorno al 33 e il Pd più staccato. 10 febbraio, per intenderci, significa che le liste vanno presentate entro il 10 gennaio.
Politicamente parlando è domani. Ragionava quella vecchia volpe di Luciano D’Alfonso, ex presidente di quella Regione, in buvette al Senato, nell’attesa del maxiemendamento: “Lo dovete seguire l’Abruzzo. Sarà un laboratorio interessante. È evidente che Salvini sta rallentando le operazioni. Non so se riesce a perdere ma sta dando una mano ai Cinque Stelle. E noi come Pd torniamo in partita”.
È la stessa analisi che fanno dalle parti del centrodestra: “Qualche danno – diceva a qualche collega Gaetano Quagliariello – è già stato fatto”.
È chiaro perchè: ritardare l’ufficializzazione del candidato ha rallentato la formazione delle liste, l’inizio della campagna elettorale, la raccolta delle firme da parte delle liste civiche (potrebbero non farcela), insomma ha indebolito la coalizione sulla carta vincente.
Il povero Marsilio, a differenza della candidata dei Cinque Stelle (pienamente in campo) è ancora un candidato “virtuale”, che non ha acquistato neanche uno spazio tv e messo in stampa neanche un manifesto.
Voi capite perchè su questo atteggiamento di Salvini scorre veleno dalla parte dei suoi alleati. L’ultima è che il via libera del Capitano dovrebbe arrivare domenica, poco prima della slitta di Babbo Natale.
Ricapitolando: Salvini che invece di andare al vertice ad Arcore va dai figli, ragione valida quando l’impegno non è di suo gradimento (si chiami Arcore o Quirinale), Salvini che aiuta Di Maio sull’Abruzzo, Salvini che considera gli alleati di una volta i primi da indebolire, perchè a questo punto se il candidato di Fratelli d’Italia vince, bene, il merito è del suo appoggio, se perde è perchè era uomo della Meloni, non perchè la Lega ha fermato i motori.
Oltre all’Abruzzo, in Sardegna dove si vota a febbraio inoltrato, il dossier è ancora più fuori dai radar.
Di qui la domanda che circola anche dentro la Lega: “Ma a che gioco gioca?”. Chiaramente il discorso – e relative perplessità , dubbi, malessere – va ben oltre le due regioni.
E riguarda il tema di fondo, su quanto “si può andare avanti così”, esattamente quel che rumorosamente si chiedeva Giancarlo Giorgetti nel corso ricevimento al Quirinale l’altro giorno.
Con tono di voce assai poco soave che l’hanno sentito in parecchi.
Guido Crosetto diceva qualche giorno fa a chi gli chiedeva lumi sulla Lega: “Guardate che a Salvini interessa solo la comunicazione, non l’amministrazione. E si confronta solo con la cosiddetta belva, la struttura della comunicazione. Giorgetti non è Salvini, ed è uno che si occupa di amministrazione. Il loro pensiero non è coincidente, ma come Giorgetti la pensa tutta la Lega”, intesa come amministratori, sindaci, governatori, chiamati a gestire lacrime sangue di una manovra depressiva che dà poco o niente al “partito del Pil” e alle esigenze del mondo produttivo.
E che reca in sè una domanda incorporata: “Se questa volta ce la siamo cavata con le chiacchiere, e si è guadagnato tempo, come si fa a gestire la prossima che ha 20 miliardi di clausole di salvaguardia?”.
Di qui la pressione a considerare il prossimo anno come l’anno del ritorno al voto, prima di rimanere incastrati nelle proprie macchinazioni.
È questo tipo di pressione che Salvini si trova a gestire, in una situazione, per la prima volta che rivela una qualche difficoltà .
Finora, come una sorta di re Mida del consenso, è riuscito a trasformare in voti qualunque mossa, uscita, anche gaffe, ma la manovra ha lasciato uno strascico di scricchioli concreti.
Ravvisabile in una gestione social meno svavillante, in una comunicazione meno brillante, nelle prime critiche dei commentatori di riferimento.
Basta leggere l’editoriale di Vittorio Feltri che ha bollato il Capitano come “lo scendiletto di Di Maio” su una manovra che “si è rivelata un suicidio assistito”.
Si è capito che Salvini preferisce andare avanti con questo assetto di governo, perchè preferisce dare qualche soccorso a un leader indebolito come Di Maio, in Abruzzo e non solo, piuttosto che tornare con Berlusconi, e finora lo schema ha funzionato.
Ma c’è un momento nella politica in cui, raggiunto il picco, poi puoi solo scendere. E sei chiamato a un cambio di passo.
La novità è che, per il grosso dei suoi, questo momento si sta avvicinando.
(da “Huffingtonpost”)
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