SANITA’ PRIVATA, LA GIUNGLA DELLE SUPER TARIFFE
MENTRE NEL 52% DEI CASI IL SETTORE PUBBLICO NON RISPETTA I TEMPO PREVISTI DALLA LEGGE, GLI ESAMI EROGATI DAI CENTRO PRIVATI POSSONO COSTARE FINO A SEI VOLTE IL MASSIMO FISSATO DALLO STATO PER I RIMBORSI
Stritolati dalle liste d’attesa da un lato, strangolati dall’altro da un privato che grazie ai tempi biblici del pubblico arriva a praticare tariffe anche 4-6 volte superiori a quelle massime fissate dallo Stato per le prestazioni erogate proprio dal privato ma in regime di convenzione con il Servizio sanitario nazionale. Prezzi che siamo andati a rilevare dai siti e con l’aiuto dei dati forniti da Cup Soldale, piattaforma che consente di prenotare da un network di privati.
Quel che ne viene fuori è una giungla dei prezzi spinti verso l’alto proprio dalle liste di attesa. Così com’è stato per la giornalista Francesca Mannocchi, che per la Sclerosi multipla deve fare risonanze magnetiche ogni sei mesi e per ottenerle in tempo è dovuta ricorrere al privato, pagando 680 euro per tre esami.
Uno scandalo che poteva essere pure peggiore perché, sempre a Roma, al Gemelli una sola risonanza dell’encefalo e del tronco encefalico viene a costare 450 euro. Mentre in Lombardia l’Humanitas di Varese arriva a chiederne 550, la tariffa massima di rimborso dello Stato al privato convenzionato, fissata da un decreto ministeriale del 25 novembre 2024, per questa prestazione è di 284,6 euro. Come dire che quella metà in più è guadagno extra rispetto a quello percepito avendo come cliente la regione che rimborsa.
Poi ci sono strutture virtuose come il Pederzoli di Peschiera del Garda, che con mezzo di contrasto lo stesso esame lo offre a 250 euro mentre a Firenze c’è chi arriva a 168 euro e a Caserta si scende persino a 120. Ma attenzione.
A volte, come verificato al momento di tentare la prenotazione si tratta di tariffe “civetta”, messe lì per attrarre clienti, che poi non riescono a ottenere l’appuntamento. Come nel caso del Campus Bio-medico di Roma che a prezzo pieno si tiene sui 242 euro, che scendono sensibilmente con la tariffa “amica” con la quale però il sito non permette di prenotare la risonanza
Le cose non migliorano con le ecografie. Qui la tariffa massima fissata per decreto è di 46,9 euro per quella all’addome, che diventano 152 euro al campus Bio-medico
salvo avere la fortuna di riuscire a prenotare a 70 euro con la tariffa amica. Per l’ecografia alla mammella la quota massima di rimborso scende a 21,1 euro ma a Firenze le tariffe oscillano per quelle a una sola mammella tra i 70 e i 90 euro, il quadruplo.
La giungla si fa ancora più fitta quando ci si addentra nei costi delle Tac. Per quella total body il decreto ministeriale fissa la soglia massima del rimborso a 104,5 euro. A Ostia invece una struttura privata locale propone la cifra di 400 euro per farla con mezzo di contrasto. Ma in provincia di Firenze secondo YesDoctor.it si arriva anche a 700 euro. A Milano la Clinica Diagnofisic fissa il prezzo di quella toracica a 198 euro, più del doppio degli 89,3 fissati dal Dm.
Certo, come specifica chi ha rilevato i dati, bisogna considerare anche che i prezzi possono variare in funzione del livello tecnologico dei macchinari usati, ma secondo gli esperti di Agenas che abbiamo interpellato è difficile giustificare differenze così macroscopiche. L’ospedale “Pederzoli” in Veneto è uno di quelli che si tiene basso con le tariffe, «perché preferiamo il radicamento al territorio piuttosto che il profitto ad ogni costo» spiega l’ex direttore generale dell’Agenas, Alberto Mantoan, che lo dirige. Che sulla giungla tariffaria si dice convinto che «governare anche le informazioni inerenti le prestazioni erogate anche privatamente nei territori creerebbe una virtuosa competizione tra gli erogatori».
Intanto c’è da asciugarsi gli occhi a leggere i numeri sulle liste d’attesa rilevati di recente da Altroconsumo. Tempi che non accennano a migliorare visto che per le visite specialistiche nel 52% dei casi non vengono rispettati quelli massimi di attesa stabiliti per legge in base alle priorità segnate sulla ricetta, anche se il 40% degli italiani non sa nemmeno dell’esistenza di questi limiti, sforati i quali si avrebbe diritto ad andare nel privato pagando solo l’eventuale ticket. I tempi rilevati su un campione rappresentativo delle varie realtà regionali di 1.086 assistiti indicano per una visita specialistica un’attesa media di 105 giorni, oltre tre mesi e mezzo. Ma in diversi casi si va oltre l’anno. E la cosa più grave è che il tempo massimo di 72 ore fissato per le visite urgenti non è rispettato nel 72% dei casi. Stessa percentuale per le visite e gli esami di priorità “B”, da eseguire entro 10 giorni. In pratica in tre casi su quattro l’appuntamento non viene dato nemmeno a chi ha problemi di salute seri. Per non parlare del fatto che Altroconsumo, così come lo stesso ministero della Salute, rilevano ancora molti casi strutture pubbliche e private convenzionate che chiudono illegalmente le agende di prenotazione.
Le cose sembrano andare un po’ meglio per gli accertamenti diagnostici, dove i tempi massimi non sono rispettati nel 36% dei casi. Ma le medie non raccontano ancora la realtà, fatta di 5 mesi e mezzo di attesa per una mammografia, altrettanti per una
colonscopia, più di tre mesi per una tac. E intanto il privato ringrazia.
(da lastampa.it)
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