SCIOPERI, GIUSTIZIA E PROTESTE: L’AUTORITARISMO DEL GOVERNO MELONI
LO STATO IDEALE DEI SOVRANISTI E’ UNA DITTATURA
Vietato protestare. O comunque contraddire. Nell’era del governo Meloni ogni forma di dissenso è un orpello, qualsiasi parola o sentenza sgradita è da mettere al bando. L’obiettivo finale è la revisione del diritto allo sciopero, già preannunciata dal vicepremier, Matteo Salvini. La sua idea sarà portata al tavolo di palazzo Chigi il prossimo anno. Con chissà quali esiti.
Ma la breccia è stata aperta, arrivando all’ultimo miglio della torsione autoritaria del governo Meloni che già vive con fastidio le inchieste dei giornali e i pronunciamenti dei giudici, che svolgono il proprio lavoro: raccontare i fatti ed emettere sentenze nel rispetto della legge.
Per non tacere delle proteste ambientaliste o studentesche, inserite come target da abbattere con il disegno di legge sulla sicurezza: il reato di blocco stradale prevede aggravanti fino a due anni se riunite in gruppi.
Stop alla precettazione
In questo quadro la precettazione, a cui il leader leghista ha fatto ricorso a ogni sciopero, è stato un segnale della scarsa tolleranza verso la mobilitazione. Un abuso, quello di Salvini, sconfessato dalla sentenza del Tar sullo sciopero dei trasporti di venerdì 13, proclamato dall’Unione sindacale di base (Usb). La precettazione è stata cancellata dal tribunale.
Salvini ha alzato ancora di più i toni dello scontro: «Ora ci sarà l’ennesimo venerdì di caos e disagi. I cittadini potranno ringraziare il giudice del Tar».
L’escalation verbale ha spalancato la strada alla sfida totale, la riduzione degli spazi di mobilitazione. «Sarà opportuno rivedere la normativa sullo sciopero. Lo porterò sul tavolo della maggioranza», ha scandito il vicepremier. La sua posizione non è una delle tante fughe solitarie del leader leghista.
Anche le parti cosiddette moderate della coalizione di governo sono pronte a sostenere l’offensiva salviniana nei confronti di un diritto sancito dalla Costituzione. Il ministro della Pa, Paolo Zangrillo, esponente di Forza Italia, ha concordato con il collega di governo: «Salvini ha ragione». E poco male se, come già raccontato da Domani, con tutti i governi ci sono stati gli stessi scioperi. Anzi con Paolo Gentiloni e Matteo Renzi a palazzo Chigi è andata pure peggio.
E, se gli scioperi sono il nuovo fronte del contrasto al dissenso, già in altri casi il governo ha usato riforme e provvedimenti per depotenziare i contrappesi democratici. Colpendo il “nemico”.
Lo scontro sulla giustizia è ormai un genere letterario. Appena possibile viene predisposta qualche normativa per depotenziare la magistratura.
Cari nemici
La separazione delle carriere è uno dei pallini del ministro Cardio Nordio: «La madre di tutte le riforme», l’ha definita. Intanto sono già entrati in vigore altri interventi, dall’abolizione dell’abuso di ufficio alla limitazione del reato di traffico di influenze. In alcuni casi lo scontro tracima nell’affronto spregiudicato.
Di fronte alle sentenze dei giudici sui trattenimenti dei migranti, il governo ha voluto nel decreto Flussi una norma ad hoc per spostare le competenze sotto l’egida delle corti d’appello, generando un pasticcio giuridico. Ma con l’effetto di essersi vendicato dei pronunciamenti che, tra le varie cose, hanno mostrato l’illegittimità, oltre che l’illogicità, delle deportazione dei migranti in Albania.
L’ultimo caso di vendetta è il disegno di legge per ridurre i poteri della Corte dei conti, troppe volte vista dal governo come un controcanto fastidioso. A cavallo tra due nemici, la magistratura e la stampa, si collocano le varie leggi bavaglio. Prima il divieto di pubblicare le ordinanze cautelari e ora il rafforzamento del divieto di riportare negli articoli gli atti di indagini e le interdittive.
L’informazione è sotto attacco su più fronti. Uno di questi, come avvenuto a Domani, è la presentazione di esposti in procura per scoprire la genesi delle inchieste giornalistiche e individuare le fonti adducendo come motivazione una possibile «rivelazione di segreto». Insomma, la stampa deve essere addomesticata, altrimenti si chiede ai pm di indagare.
È successo a questo giornale con il ministro della Difesa, Guido Crosetto, con il capo di gabinetto di palazzo Chigi, Gaetano Caputi, e anche il sottosegretario Giovanbattista Fazzolari lo ha annunciato dopo alcuni articoli di Domani, sui rapporti con le società di lobbying. In alternativa, si fa ricorso all’avvio di cause civili o alle querele.
C’è un altro versante di attacco al giornalismo: ridurre gli stanziamenti. A inizio 2024 è stata cancellata la pubblicità legale sui giornali, in precedenza è stato azzerato il fondo introdotto durante il Covid. Nella manovra, in esame alla Camera, c’è un tentativo di mettere una toppa con gli emendamenti, spinti da Forza Italia e in particolare dal sottosegretario all’Editoria Barachini, per destinare qualche milione di euro aggiuntivo al settore. Bisogna vedere l’esito finale.
Il manifesto della svolta securitaria dell’era meloniana resta comunque il disegno di legge sulla Sicurezza, attualmente al Senato. È il sigillo alle misure “anti proteste”, che prevede il reato di «rivolta» in carcere oltre alla norma sui blocchi stradali. Per reprimere qualsiasi possibile protesta. Dalle strade ai penitenziari fino alle piazze dello sciopero.
(da editorialedomani.it)
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