SDOGANATI I BUONI SENTIMENTI: MATTARELLA NARRA L’ITALIA CHE NON ODIA E CHE VINCERA’
IN EPOCA MUSCOLAR-SOVRANISTA PERSINO RICHIAMARE I BUONI SENTIMENTI DIVENTA UN ATTO POLITICO… UNA NARRAZIONE BEN DIVERSA DAI SEMINATORI DI ODIO E PAURA
Anche l’esaltazione dei “buoni sentimenti” e dei valori “positivi” è politica. Quello della comunità , che significa “condividere valori, prospettive, diritti e doveri” e pensarsi dentro un “destino comune”.
Il “rispetto gli uni degli altri” che vuol dire battersi certo per le proprie idee, ma “rifiutare l’astio, l’insulto, l’intolleranza, che creano ostilità e timore”.
L’Italia “che ricuce e dà fiducia”, come fanno le realtà del terzo settore, inopinatamente tassate dal governo, misura da evitare perchè equivarrebbe a una “tassa sulla bontà “.
C’è, nel discorso di fine anno del capo dello Stato, parafrasando Gobetti, una “certa idea dell’Italia”, di un paese che ha nella sua cultura e nella sua storia i principi della solidarietà , della convivenza civile, profondamente diverso dal paese rabbioso e incattivito descritto nell’ultimo rapporto del Censis.
E profondamente diverso, nel primo anno dell’era sovranista, dall’iconografia di una politica muscolare e cattivista, divisiva nei toni e nei atti, in cui l’altro, più che una risorsa, diventa una minaccia.
La politica, insomma, come fabbrica dell’odio rivolta a curve da aizzare nei loro istinti primordiali, non come governo ragionevole e razionale: “Il modello di vita dell’Italia — dice Mattarella – non può essere e non sarà mai quello degli ultras violenti degli stadi di calcio, estremisti travestiti da tifosi. Alimentano focolai di odio settario, di discriminazione, di teppismo”.
Odio è una parola che ricorre più volte nel discorso, come sempre quando un termine diventa la cifra di un’epoca e racchiude lo spirito dei tempi, segnati dalla ricerca e dalla costruzione del nemico.
All’Italia dell’odio il capo dello Stato contrappone l’Italia che crede nella comunità e “l’Europa dei diritti, della convivenza, della pace” e l’auspicio, a proposito di nemici, che la campagna elettorale per le europee si “svolga con serenità ” e sia “l’occasione per un confronto serio”. Non, appunto, un altro stadio per amplificare i cori delle curve.
Ecco il senso della “retorica dei buoni sentimenti” di cui parla Sergio Mattarella: non un buonismo di maniera, ma un affondo unitario verso chi ha la forza del consenso, usata finora come esercizio divisivo del potere più che come costruzione di un senso comune.
Una narrazione che, nei toni e nei principi, è l’opposto del salvinismo, della retorica securitaria e della gigantesca macchina della paura alimentata a prescindere dai risultati.
Proprio il passaggio della sicurezza è, forse, politicamente il più severo. E non solo perchè il capo dello Stato sottolinea che la sicurezza “parte da un ambiente in cui tutti si sentano rispettati e rispettino le regole del vivere comune” e, dunque, non “c’è sicurezza se non c’è comunità “.
Ma, sia pur in modo felpato, Mattarella stavolta va oltre. Quasi sfidando Salvini sul suo terreno, perchè la “domanda c’è” ed “è forte” — come dire: questo è un dato di fatto che resta irrisolto al di là dei proclami — ma, ecco il punto, “non sono ammissibili zone franche dove la legge non è osservata e si ha talvolta l’impressione di istituzioni inadeguate, con cittadini che si sentono soli e indifesi”.
Impressione di istituzioni inadeguate: frase che lascia, nell’ascoltatore, la facoltà di pensar male — certe volte ci si indovina — a proposito di un ministro dell’Interno impegnato più nei comizi che nel suo lavoro al Viminale.
E più attivo su twitter che nella gestione dei dossier.
Discorso asciutto, breve, una dozzina di minuti, etico nel suo taglio, coerente con l’ispirazione poco interventista di questo capo dello Stato, che ha espunto dal suo repertorio moniti, bacchettate, sermoni pedagogici alla politica.
E anche un certo protagonismo nella gestione della crisi, nella costante attenzione a non dare a chi governa l’alibi che c’è qualcuno che vuole impedire il libero e sacrosanto esercizio della volontà popolare.
Anche il passaggio, forse il più atteso, sullo strappo che si è consumato attorno una manovra presentata la sera e votata di notte, senza neanche il tempo di leggerla, è un invito alla ricomposizione futura più che la denuncia di uno strappo già consumato.
Di fronte alla “grande compressione dell’esame parlamentare e la mancanza di un opportuno confronto”, Mattarella si limita ad auspicare, a manovra promulgata, che “Parlamento, governo e gruppi politici trovino il modo di discutere costruttivamente su quanto avvenuto e assicurino per il futuro condizioni adeguate di confronto”.
Molto indulgente, magari, per le opposizioni che hanno denunciato l’umiliazione del Parlamento, magari indulgente anche per i presidenti di Camera e Senato che non hanno impedito forzature, in definitiva un approccio che sa di realpolitik, perchè Parigi val bene una messa e aver evitato la procedura di infrazione è motivo sufficiente per chiudere l’anno con un sospiro di sollievo, e non con un rimprovero.
E solo con una incisiva evocazione di un patrimonio di principi e valori, da tenere vivo, in attesa di tempi migliori. Buon anno.
(da “Huffingtonpost”)
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