“SENZA RICHIESTA DI AIUTO NON USCIAMO”: ECCO TUTTE LE CHAT DEGLI INDAGATI LA NOTTE DEL NAUFRAGIO DI CUTRO
LE CONVERSAZIONI DEGLI UFFICIALI DELLA GUARDIA DI FINANZA E DELLA GUARDIA COSTIERA: L’IMBARAZZANTE RIMPALLO DI RESPONSABILITA’ TRA I DUE CORPI MENTRE OLTRE 100 ESSERI UMANI MORIVANO
«So’ migranti…mesetto tranquillo». «In realtà non s’è visto nessuno, ma è una barca tipica». «E poi sotto il flir (sistema di rilevazione termica n.dr.) è tutto nero».
Lo sapevano, come era ovvio che fosse, che la pancia di quel caicco avvistato da un aereo di Frontex con una sola persona in coperta era piena di migranti. I bollettini meteo davano avvisi di burrasca: «C’è vento bruttissimo e una barca di migranti in arrivo». Ma chi doveva controllare quel barcone ( la Guardia di Finanza) rientrò in porto e chi doveva uscire per mettere in sicurezza chi navigava in quel mare in tempesta rimase agli ormeggi: «Noi non usciamo perché non abbiamo ricevuto nessun genere di richiesta».
Le chat degli indagati
Eccole le chat della notte di Cutro, quelle whatsapp fuori dai circuiti di comunicazione istituzionale, in cui nelle cinque ore in cui le cento e passa vite andate perdute avrebbero potuto essere salvate se gli ufficiali e sottufficiali di guardia di finanza e guardia costiera non avessero sottovalutato e non si fossero, soprattutto nell’ultima mezzora prima dello schianto, rimbalzata la palla.
Una “verità”, quella che esce fuori dalle 650 pagine di informativa finale del reparto operativo dei carabinieri di Reggio Calabria, su cui si è basata la decisione del sostituto procuratore Pasquale Festa di chiedere il rinvio a giudizio per quattro ufficiali della Finanza e due della Guardia costiera chiamati a rispondere a vario titolo di naufragio colposo e omicidio colposo plurimo.
Il rimpallo di responsabilità
Chat private ma non solo. Dalla trascrizione delle comunicazioni registrate quella notte e dalle testimonianze dei protagonisti viene fuori un imbarazzante rimpallo di responsabilità tra i due corpi. Pesanti le parole dell’ammiraglio Gianluca D’Agostino, responsabile della sala operativa delle Capitanerie di porto: «Ritengo che il nostro unico errore sia stato quello di fidarci della Guardia di finanza che ci ha dato informazioni mendaci». Non meno severa la valutazione del comandante regionale della Capitaneria di porto di Reggio Calabria Giuseppe Sciarrone: «Non capisco perché quella notte ci hanno chiamato e hanno rifiutato il nostro apporto. La Guardia di finanza avrebbe dovuto chiamarci immediatamente, avevano l’obbligo di intervenire una volta scoperto il target. Le nostre imbarcazioni erano in grado di navigare con quelle condizioni meteo».
La Finanza: “Passiamo la palla”
In realtà le cose non sono andate proprio così. Perché se è vero che già dalle 23.30 del 25 febbraio le chat degli ufficiali della Finanza rivelano la decisione di procedere con un intervento di law enforcement nonostante la piena consapevolezza che quel caicco era pieno di migranti e che il meteo era proibitivo: «Per il momento è un’attività di polizia, abbiamo una nostra motovedetta fuori che l’attenderà…mare permettendo», è anche vero che quando alle 3.48 la Finanza si decide a comunicare alla Guardia costiera che i suoi mezzi stanno rientrano in porto per il mare proibitivo («Passiamo la palla a voi)», dalla capitaneria di porto rispondono serafici: « Noi in mare non abbiamo bulla, poi vediamo come evolve la situazione, perché al momento non abbiamo nessun genere di richiesta di aiuto».
I commenti dopo la strage
«Help, Italia, help». Quando le drammatiche richieste di aiuto arrivano, mezzora dopo, già ci sono cadaveri che galleggiano in acqua. Alle 7 del mattino, quando il sole è già alto sul disastro di Steccato di Cutro, sulla chat della Guardia di finanza c’è chi già si assolve: «Alla Capitaneria abbiamo richiesto l’intervento già a mezzanotte ma non sono mai usciti. Dopo che noi siamo rientrati gliel’ho fatto mettere a brogliaccio: guarda noi non ce la facciamo, valutate voi. Senza una chiamata di soccorso non hanno ritenuto di uscire. Noi abbiamo fatto tutto quello che dovevamo fare».
(da La Repubblica)
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