SERVIVANO LE ELEZIONI PER SCOPRIRE CHE IL SUD E’ POVERO E SENZA LAVORO
I FLUSSI ELETTORALI RACCONTANO DUE ITALIE SEMPRE MENO CONCILIABILI: IL NORD VA A DESTRA E UN SUD IMPOVERITO CHE SI E’ AFFIDATO A CONTE (IN ASSENZA DI UNA VERA SINISTRA)… MORALE DELLA FAVA: VOLETE TOGLIERE IL REDDITO DI CITTADINANZA? PORTATE LAVORO E SVILUPPO AL SUD
Chissà se c’entra davvero la maledizione del 1799 per il massacro degli illuministi napoletani, come pensava Raffaele La Capria. O se il suo destino di eterna patria dei lazzari sia solo figlio di miserie tutte contemporanee, senza nobiltà.
Di sicuro, se un cittadino su due non va a votare e, tra chi vota, quattro su dieci si mostrano devoti al sussidio di Stato, Napoli si pone come caso nel caso, vera capitale d’una disunità d’Italia che da domenica mostra qualche linea di faglia più profonda.
Semplificando: pil e sviluppo al Nord, reddito di cittadinanza e assistenza al Sud.
«È la vecchia foto che riappare, con un dettaglio più drammatico: chi può, ormai, scappa dal nostro Meridione», sospira il politologo Mauro Calise. I flussi elettorali raccontano due Paesi sempre meno conciliabili, quasi in «conflitto di nazionalità», avrebbe detto Gramsci poco meno di un secolo fa.
La rimonta pentastellata (dall’estinzione annunciata alla conquista del terzo polo nazionale) ha radici in un Sud spaventato e marginale, con tassi di disaffezione dalle urne patologici in Campania, Sardegna e Calabria (a San Luca d’Aspromonte, record di abbandono della democrazia, ha votato appena il 21%).
Ma proprio a Napoli la remunta da contiana ha la sua fioritura, con un 42% di consenso in città e picchi del 64% in quartieri disagiati come Scampia. «Hanno preso tutti i collegi maggioritari, abbiamo perso undici a zero», dice lo sconfitto Stefano Caldoro, anima e memoria del centrodestra.
Napoli è a sinistra rimpianta per il campo largo, di cui il sindaco Manfredi era stato espressione vincente: e dunque distilla veleni contro il segretario Pd Letta che l’ha archiviato dopo la caduta di Draghi provocata da Conte. Ma è anche la città dove a destra perfino la trionfatrice di domenica, Giorgia Meloni, deve accontentarsi della metà dei consensi nazionali.
«Conte ha usato lo slogan comunicativo di maggior successo, facile, comprensibile e di applicazione immediata: reddito di cittadinanza. S’ è ripreso il partito con parole d’ordine che dovrebbero essere della sinistra», medita Calise.
La rinnovata dialettica Cinque Stelle-Pd pare insomma sovrapporsi alla divisione geografica del voto e all’identità stessa dell’elettorato progressista. «Destra a Nord e sinistra a Sud, se tieni a sinistra anche i Cinque Stelle, ecco la prima spaccatura», riflette Domenico De Masi, sociologo di riferimento del grillismo: «Il Pd non è più di sinistra ma dice di esserlo, i Cinque Stelle sono di sinistra ma non lo dicono: ecco la seconda spaccatura. Ora, non è che a Nord hai 30 milioni di lettori di Adam Smith e al Sud 30 milioni di seguaci di Carlo Marx. Ma a Nord prevale il neoliberismo e il Sud si ritrova a essere keynesiano a sua insaputa. Nelle crisi si riscopre lo Stato. Il reddito di cittadinanza è stato un mood . Ma è un mood mondiale. Non è solo economia, è ideologia, vivaddio».
Ma non appare certo semplice per chi s’ accinge a governare tenere assieme una «Nuova Italia» nella quale (secondo le analisi di Paolo Perulli e Luciano Vittoretto) le élite si sviluppano soprattutto a Nord-Ovest e il Sud presenta una concentrazione massima (al 62%) di «neoplebe», «non più protetta dai sistemi assicurativi e di welfare, mescolata a fenomeni diversi come l’evasione fiscale e il lavoro nero o grigio». Luca Bianchi dice che il caso Napoli «è choccante: si sono allineate un’offerta tutta assistenziale e una domanda altrettanto di basso livello».
Secondo il direttore di Svimez, autore di una preziosa analisi sul «divario di cittadinanza», il modello «da terremoto dell’Irpinia» non riflette una società che sta cambiando e ha elementi di vitalità «che nessuno intercetta». Può derivarne una lettura meno negativa dell’astensionismo meridionale.
Un pragmatico come Antonio D’Amato, presidente della Fondazione Mezzogiorno e già leader degli industriali napoletani, ha pubblicato un anno fa un rapporto che legava lo sviluppo nazionale a quello meridionale, invocando una crescita del tasso di occupazione di almeno 15 punti in dieci anni al Sud. Era il tempo di massima spinta del Pnrr a trazione draghiana. Ora D’Amato rilancia: «Il Nord è saturo, il potenziale di sviluppo è tutto qui». Sostiene però Calise che il problema vero non siano i soldi ma chi li gestisce.
La grande fuga dei giovani cervelli meridionali è ormai inarrestabile, con la sparizione di ciò che lui chiama middle management , quei quadri intermedi che innervano un’azienda: «Come fai a investire al Sud se il middle management è andato altrove? Ti restano solo politiche redistributive». «Sì. Pesa il voto di scambio fatto coi soldi dei contribuenti», ammette D’Amato: «Ma sono anche fallite le politiche di convergenza tra il Sud e il resto del Paese. Regioni come Campania e Puglia sono state inadempienti nell’uso dei fondi strutturali, e hanno aggravato la crisi di civiltà del Sud. Abbiamo il serbatoio di intelligenze più ricco d’Europa.
Ora ci vuole una visione unitaria dello sviluppo italiano se no si fa default. Meloni non ha alternative». L’Italia sarà quel che il Mezzogiorno sarà: doveva essere un auspicio quando Mazzini lo scriveva. Da Napoli, tante pagine di storia dopo, pare quasi una minaccia.
(da il Corriere della Sera)
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