SEYMANDI “NON ASSOLVETE CHI SPARGE ODIO IN RETE, LA VIOLENZA COMINCIA LÌ”
“NON SI PUÒ LEGITTIMARE L’ODIO ONLINE DAL PM MESSAGGIO SBAGLIATO AI BULLI”… LA STRANA TEORIA PER CUI GLI INSULTI IN RETE NON SONO PUNIBILI COME LE OFFESE PER STRADA
Cristina Seymandi è una donna strutturata ed imprenditrice equilibrata. E con forza ha saputo gestire l’odio social che l’ha travolta nell’estate 2023, dopo che l’allora promesso sposo, l’uomo d’affari Massimo Segre, l’ha accusata pubblicamente di tradimento. Con la scena ripresa in un video che ha fatto il giro del mondo. Ma ora che quegli insulti rischiano di venire archiviati dalla procura come semplice malcostume 2.0, Seymandi riflette: «Se si sdogana l’insulto, si sdogana anche il pensiero volgare e violento. Ed è pericoloso, soprattutto per i ragazzi».
Delusa?
«Sono basita. Con il mio avvocato, il penalista Claudio Strata, abbiamo preparato ricorso. La riflessione, se posso, dovrebbe essere generale».
Prego.
«Questa è l’era della comunicazione, eppure ci sono molti paradossi. I mezzi di comunicazione sono molteplici, eppure non ci capiamo. E tutto questo sfocia in attacchi feroci».
Nel suo caso concreto, che cosa si vuole archiviare?
«Gli insulti che ho ricevuto. Gravi, molto gravi. Veri e propri attacchi».
L’hanno accusata di essere “una poco di buono”.
«È un eufemismo. Si tratta di attacchi violenti che riconducono a una concezione della donna molto retrograda e primitiva».
Dove le sono stati inviati?
«Sui social. Nei messaggi privati di Facebook e Instagram. Poi c’era chi commentava sotto i post. Ho denunciato quelli più gravi».
Quanti ne riceveva al giorno?
«Non saprei dirle, ma tanti. Soprattutto subito dopo la condivisione del video. Erano i primi giorni di agosto. Poi, quando la stampa ha iniziato a scriverne e alcuni personaggi noti si sono interessati al caso, quei messaggi hanno iniziato a diminuire».
Era più arrabbiata o più ferita?
«Non sono riusciti a ferirmi. Sono una donna adulta e strutturata. E parto da un presupposto».
Quale?
«Il commento negativo, la violenza verbale, definisce la persona che emette il giudizio, non chi lo riceve. Nel mio caso, poi, era davvero un blaterare. Giudizi di persone che nemmeno conoscevo. Mi preoccupo, però, per altri».
Per chi?
«Per i più giovani. Se quello che ho subito io, l’avesse subito un diciottenne, maschio o femmina che sia, sarebbe stato devastante. Ci sono ragazzi che per questo si sono suicidati».
Possiamo definirlo bullismo?
«Io direi cyberbullismo».
Per citare il suo avvocato, la procura ha cercato di giustificare l’ingiustificabile?
«I commenti sui social rappresentano un pensiero. Se si sdogana la violenza, mi chiedo allora a cosa servono i corsi contro il bullismo nelle scuole. Cosa può pensare un ragazzo nel leggere questa richiesta di archiviazione? Come può capire ciò che sbagliato e ciò che non lo è? ».
Lei ne è stata vittima. E quell’odio ha colpito anche la sua famiglia.
«La cosa peggiore è proprio quella. I commenti sui social possono essere letti da chiunque: da mia madre, da mia sorella, da mia figlia, da mio cugino».
Come si affronta una situazione del genere?
«A testa alta. Alle giovani bisogna dare un esempio: si va avanti comunque. Con la propria vita, i propri sogni, i propri desideri, le proprie relazioni, le proprie responsabilità».
Per la procura bisogna abituarsi a certi toni «sarcastici, polemici ed inurbani». Cosa ne pensa?
«Non si può dare un insegnamento di questo tipo ai giovani. Quindi la violenza è solo fisica, perché quella verbale non viene più contestata? Viene accettata? Mi rifiuto di accettare una cosa del genere».
Lei ha detto che quella storia se la vuole lasciare alle spalle. Senza rabbia?
«Chi mi ha insultato mi fa pena. Quelle parole sono sintomo di un disagio. Bisogna essere misericordiosi nella vita».
Anche verso chi quel video l’ha divulgato e reso virale in tutto il mondo?
«Non so chi sia il responsabile. Sicuramente un incosciente».
Si dice sia un investigatore privato.
«Lui pare abbia ripreso la scena».
Non è arrabbiata nemmeno con il suo ex compagno?
«Che dire…non posso commentare. Ognuno ha la sua strada ed è responsabile di ciò che fa. Non voglio nemmeno più pensarci».
L’anno scorso, più o meno in questo periodo, sperava nell’amore. Ora l’amore c’è?
«Certo che c’è. Non si vive senza amore».
(da La Stampa)
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