SI COMPLICANO LE EURO-AMBIZIONI DI GIORGIA MELONI, CHE SOGNA DI ESSERE DETERMINANTE PER LA RIELEZIONE DELLA VON DER LEYEN: LO SCENARIO E’ CAMBIATO PERCHE’ E’ LA STESSA URSULA A RISCHIARE LA PELLE
NON SOLO IL MALESSERE NEL PPE, CON 200 DELEGATI CHE HANNO VOTATO CONTRO DI LEI O NON HANNO PARTECIPATO AL VOTO, MA ANCHE FRANCIA E GERMANIA HANNO MESSO NEL MIRINO LA PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE, SENZA CONTARE LE CRITICHE ARRIVATE DAL PARTITO SOCIALISTA EUROPEO
Criticata dal commissario francese Breton e dal ministro tedesco Lindner, oltre che dal più prevedibile Orban, Ursula Von der Leyen parte in salita nel percorso per succedere a se stessa come presidente della Commissione Europea. Benché sia stata designata “Spitzenkandidat”, come voleva, nella votazione finale del congresso di Bucarest quasi metà degli 801 delegati si sono trasformati in franchi tiratori: un segnale preoccupante.
Per capire questo risultato bisogna riflettere su come la presidente s’é mossa per ottenere la designazione. Non ha fatto mistero della sua recente amicizia con Meloni, leader dei Conservatori europei: da lei spera di ottenere i voti che le mancheranno per rimpiazzare la crisi di socialisti e liberali; ha lasciato intuire che, con i risultati che si aspettano nella prossima legislatura dell’Europarlamento sarà indispensabile rivolgere attenzione in quella direzione; non ha detto con chiarezza, come i Popolari avevano fatto fino a qualche tempo fa, che rifiuterebbe per la rielezione i voti delle formazioni più radicali; ha sostituito il Green Deal, la sua bandiera, rimasta a sventolare per aria, con un piano di Difesa comune da dettagliare.
E con questo programma si è avviata al congresso in cui appunto i franchi tiratori l’hanno bersagliata superando anche le previsioni più negative. Senza affatto dubitare delle capacità della presidente uscente occorre ricordare che anche dopo le elezioni del 2019 lo spitzenkandidat Weber, la cui candidatura sembrava fortissima, non fu eletto. A tirar fuori dalla manica il nome di VdL fu la Merkel, in uscita dal ruolo di Cancelliera ma ancora in grado di determinare un accordo. VdL fu eletta per soli 7 voti con l’aiuto del Movimento 5 stelle e del (poi vituperato) partito Legge e giustizia polacco.
BORDATE DA BERLINO E PARIGI, VON DER LEYEN E’ IN BILICO
Tra Giorgia Meloni e Ursula von der Leyen il rapporto è ormai consolidato, con interessi diversi, ma reciproci, l’una per contare in Europa, l’altra per restare alla guida della Commissione. Ma l’operazione ora rischia di essere stata precoce, almeno in prospettiva, visto che le sorti della presidente sembrano precarie.
Se fino a pochi giorni fa la candidatura di von der Leyen per il bis alla Commissione sembrava aver bisogno di un “puntello” alla sua destra, già individuato nei voti di una parte dei Conservatori e in particolare nella delegazione di Fratelli d’Italia, nelle ultime 48 ore lo scenario è cambiato. Perché la riconferma della presidente della Commissione è ora messa seriamente in discussione all’interno di quella che dovrebbe essere la sua coalizione e questo renderebbe inutile un appoggio esterno del partito di Meloni.
La questione ha un risvolto italiano. La Lega partecipa volentieri al sabotaggio di von der Leyen, con l’obiettivo di far fallire l’avvicinamento dei Conservatori (Ecr) guidati da Meloni al Ppe. La strategia quindi è quella di attaccare l’attuale presidente, sperando di non essere esclusi da una soluzione alternativa, magari resuscitando l’idea di un gruppo unico dei sovranisti, scaricando i tedeschi di AfD. Un progetto di cui Meloni non vuol sentir parlare.
La premier si è detta interessata a un bis di von der Leyen Secondo Meloni, infatti, il rapporto stretto con la presidente della Commissione è servito per due aspetti: favorire il negoziato sul Pnrr e ottenere il sostegno europeo alla cosiddetta “dimensione esterna” dell’immigrazione. Meloni però dovrà fare i conti con un contesto cambiato. Tutto è iniziato nel momento in cui von der Leyen ha ricevuto l’investitura ufficiale da parte del Ppe, che l’ha incoronata “Spitzenkandidatin”.
Tra giovedì e ieri sono arrivati due segnali che l’entourage di von der Leyen, nonostante le dichiarazioni di facciata, considera allarmanti. Al congresso di Bucarest – dove correva come unica candidata – ben 89 delegati hanno votato contro, altri 10 hanno infilato nell’urna una scheda nulla e quasi cento tra quelli regolarmente registrati al congresso hanno scelto di non votare. Secondo una fonte presente al congresso, il regista occulto dei franchi tiratori sarebbe stato Manfred Weber, il presidente del Ppe, che cinque anni fa fu sacrificato per far posto a von der Leyen. A pesare sul risultato di Bucarest è stata la decisione di Weber di evitare l’elezione per acclamazione, preferendo un voto segreto che nascondeva insidie.
Ma le preoccupazioni più grandi riguardano le due bordate arrivate da Parigi e da Berlino che potrebbero mettere in discussione persino il sostegno in Consiglio e non solo il successivo voto in Parlamento. Thierry Breton, commissario al Mercato Interno dell’esecutivo von der Leyen, non ha perso nemmeno un attimo per infilare il coltello nella piaga di Bucarest e sottolineare con un post sui social network che la tedesca «è stata messa in minoranza dal suo stesso partito». E quindi, si è chiesto: «È possibile affidare nuovamente la gestione dell’Europa al Ppe per altri cinque anni, vale a dire 25 anni consecutivi?».
Le parole di Breton hanno un significato particolare perché l’ex ministro è molto vicino a Macron ed è considerato “l’uomo del presidente” all’interno di Palazzo Berlaymont. Per questo la sua entrata a gamba tesa è stata letta nei circoli di Bruxelles come un “pizzino” di Macron alla von der Leyen – suo principale sponsor cinque anni fa – per dire che questa volta il suo sostegno è tutt’altro che scontato.
Ma a colpire la candidata è stata anche un’altra bordata, arrivata questa volta dal governo del suo Paese. Il ministro delle Finanze Christian Lindner, liberale, ha atteso la nomina del Ppe per sparare a zero sulla sua connazionale e in particolare sulla sua linea in merito alla messa al bando dei motori termici per le auto.
«Come presidente della Commissione – ha scritto anche lui in un post su “X” – Ursula von der Leyen è a favore della burocrazia, del paternalismo e dei divieti tecnologici. L’Europa ha bisogno di meno von der Leyen e di più libertà». Se a questo si aggiungono i dubbi e le critiche arrivate dal campo socialista, di cui fa parte il cancelliere Scholz, ecco che “l’incrollabile” sostegno di Parigi e Berlino al secondo mandato oggi è chiaramente in discussione. Come se non bastasse, ieri è salito al volo sul carro dei detrattori anche Viktor Orban.
(da La Stampa)
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