SI DIMETTE L’AMBASCIATORE USA IN CINA PER PROTESTA CONTRO TRUMP
“COME GENITORE COME PATRIOTA E COME CRISTIANO NON POSSO AVALLARE IL TRADIMENTO DI TRUMP SUL CLIMA, LA MIA DIGNITA’ PRIMA DI TUTTO”
Addio polveri sorgenti dalle acque, dall’aria e a da ogni angolo di questa terra: addio. L’ambasciatore reggente degli Usa lascia Pechino. E lo fa con un gesto clamoroso indirizzato al proprio boss: il presidente degli Stati Uniti d’America Donald Trump. Dimissioni belle e buone: per protestare contro la decisione americana di voltare le spalle agli accordi sul clima di Parigi.
Orgoglio e dignità : David H. Rank potrà anche non conoscere Lucio Battisti, ma dopo 27 anni di onorato servizio saprà pure che un diplomatico è prima di tutto un hombre vertical.
E dunque: come si fa a dire agli inquinatissimi cinesi, dopo tutte le ramanzine che sulla pollution hanno fatto gli yankees, che adesso al contrario è proprio l’America a tradire sul clima?
Mister Rank è il reggente dell’ambasciata in attesa dell’arrivo del nuovo padrone di casa: quel Terry Branstad che Trump ha scelto in virtù della sua antica amicizia con Xi Jinping, che nell’Iowa del governatore ora uscente fu ospite trent’anni fa durante la sua primissima missione negli Usa.
Nell’attesa del cambio di guardia, toccava al reggente dunque notificare ai cinesi la decisione di strappare gli accordi sul clima sottoscritti a Parigi da Barack Obama: e con che faccia, ha pensato il brav’uomo, posso proprio io, che ho fatto da sempre un punto di forza della battaglia sull’ambiente, notificare questo tradimento proprio al paese più inquinato del mondo?
Non posso, non posso, ha continuato a sussurrare Rank ai colleghi più intimi, che al Washington Post hanno poi spifferato l’angoscia del diplomatico: non posso farlo “come genitore, come patriota e come cristiano”.
Il gran rifiuto è una scossa: più che rari sono rarissimi i casi di ambasciatori che lasciano in disaccordo con una decisione del superboss.
Certo, lui è il reggente e non il titolare: ma sarà mica colpa sua se il presidente è così indaffarato a fare guerra via Twitter all’universo mondo dem da non avere il tempo per sanare i buchi nella rete diplomatica?
Sono così tanti i posti da riempire, più di una ventina, che per gli “ambasciatori nel limbo”, come Rank, nell’ambiente diplomatico è stato scherzosamente inventato uno stato inesistente: “Limboland”. E però: ancora ancora il limbo uno lo sopporta.
Ma come si fa a invece a sopravvivere nell’inferno di questo inquinamento?
Le polveri sottili che salgono fino a 700 microgrammi per metro cubo, decine di volte oltre il limite. Milioni di persone costrette ad andare in giro con la mascherina. Un milione e 100 mila di morti in tutta la Cina solo nel 2015 causate da complicazioni legate all’inquinamento: e sono le stime ufficiali, le meno allarmanti. La situazione a Pechino è così degradata che appena pochi giorni fa come sindaco è stato nominato il ministro dell’ambiente, Chen Jining, un prof dell’università Tsinghua. Ma non solo.
A complicare l’imbarazzante posizione in cui s’è trovato il buon Rank c’è anche un precedente famoso.
Proprio per l’inquinamento, tre anni fa mollò Gary Locke, l’ambasciatore Usa che aveva fatto della lotta alla pollution uno dei capisaldi della sua missione: la motivazione non fu ovviamente ufficiale, ma si sussurrò che l’uomo scelto da Obama — e per la verità duro con i cinesi anche su ben altri temi, dal Tibet ai diritti umani — fosse costretto a lasciare proprio perchè non poteva più tollerare di far respirare alla famiglia questa bella arietta.
Fu lui, per esempio, a introdurre la misurazione quotidiana dei livelli di polveri sottili, che all’inizio contrastava apertamente con quella ufficiale del governo, e oggi è rilanciata in tante app qui popolarissime, che avvertono appunto del livello di pericolosità dello smog.
Ma tant’è. Il paradosso, oggi, è che proprio la Cina si appresta a diventare la superpotenza pronta a guidare il resto del mondo nella lotta all’inquinamento, a cominciare dal rispetto degli accordi di Parigi, con l’America in clamorosa ritirata. Poteva l’ambasciatore Rank, che a fine anno sarebbe anche potuto andare in pensione, concludere la sua onorata carriera, transitata anche per il durissimo Afghanistan, comunicando ai cinesi, con la coda tra le gambe, il tradimento della sua America? Addio polveri sorgenti dalle acque, dall’aria e a da ogni angolo di questa terra: addio
(da “La Repubblica”)
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