“SIAMO DELUSI DALLA DECISIONE DI REVOCARE L’ARRESTO DI ABEDINI”: IL DIPARTIMENTO DI GIUSTIZIA AMERICANO ESCE ALLO SCOPERTO E FA TRAPELARE L’IRRITAZIONE PER IL RILASCIO DELL’INGEGNERE-SPIONE IRANIANO
LA “MENTE DEI DRONI” ERA UN VERO PEZZO GROSSO: VICINO AI PASDARAN, È STATO MANDATO IN SVIZZERA DAL REGIME, NEL 2019, PER RACIMOLARE COMPONENTI OCCIDENTALI PER I VELIVOLI KILLER DI KHAMENEI, USATI CONTRO ISRAELE E “PRESTATI” AI RUSSI IN UCRAINA
La Repubblica islamica non abbandona i suoi «figli» in difficoltà, tanto più quando sono parte di un network attraverso il quale arma il proprio esercito e i pasdaran. Il messaggio è chiaro, trasmesso fin dai primi passi del regime iraniano. E lo ha ribadito l’operazione montata con l’arresto arbitrario di Cecilia Sala, pedina di scambio per ottenere una figura preziosa: Mohammed Abedini, l’uomo dei droni.
L’ingegnere è stato mandato in missione in Svizzera dove nel 2019 ha aperto una società con un suo connazionale, un socio che doveva fare da schermo per un’attività precisa: procurare la tecnologia necessaria per perfezionare i velivoli senza pilota che Teheran ha fornito alle milizie sciite in tutto il Medio Oriente e poi venduto, con grande successo, alla Russia che li ha subito impiegati contro gli ucraini. L’analisi di esemplari di vario tipo caduti nelle mani di Kiev ha rivelato la presenza di componenti americane, svizzere, giapponesi, canadesi e tedesche.
Un dettaglio che conferma due punti: non sono certo sistemi top secret; rappresentano, però, uno strumento bellico di un arsenale in continua espansione. Lunedì i media iraniani hanno annunciato la consegna di altri mille velivoli, compresi quelli a lungo raggio. Ecco che la rete di emissari della quale faceva parte Abedini è fondamentale per alimentare la filiera, migliorare il prodotto.
Per questo la giustizia Usa era interessata a informazioni per poter «disegnare» la mappa dei collegamenti, dei rapporti, delle scorciatoie usate per aggirare embargo o controlli.
Riportando a casa l’ingegnere gli ayatollah hanno dimostrato ai loro «procacciatori» l’impegno a salvarli nel caso finiscano nei guai mentre sono all’estero. È una polizza di assicurazione e un incentivo ad osare, una doppia carta giocata all’infinito da Teheran contro avversari ma anche Stati che si sono limitati ad applicare la legge mettendo in galera iraniani accusati/sospettati di crimini.
Così hanno organizzato il «bazar degli ostaggi», imitati dai russi e in qualche caso dai nordcoreani, non per nulla alleati sempre più stretti.
A volte in cambio, invece di persone, chiedono concessioni diplomatiche, compensazioni finanziarie o altro che possa avere un valore. In tutto questo non va mai perso di vista l’aspetto «interno», legato ai contrasti tra le fazioni del potere iraniano che possono incidere su alcune mosse. A maggior ragione se ci sono di mezzo i pasdaran.
“Delusi dalla decisione di revocare l’arresto di Mohammad Abedininajafabadi”. Non usa mezzi termini il dipartimento alla Giustizia, in questa dichiarazione concessa a Repubblica, la prima dall’inizio della vicenda di Cecilia Sala.
Washington è irritata con Roma, perché’ il detenuto iraniano ha sangue americano sulle mani, perciò questo contrasto non sembra destinato a sanarsi col passaggio dall’amministrazione Biden a quella di Trump.
“Il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti – dice il portavoce a Repubblica – è deluso dalla decisione di revocare l’arresto provvisorio di Mohammad Abedininajafabadi, che ha portato al ritorno di Abedininajafabadi in Iran”.
Quindi aggiunge che gli Usa non rinunciano a portarlo davanti alla giustizia: “Abedininajafabadi resta accusato nel distretto del Massachusetts di aver complottato per procurarsi tecnologia statunitense sensibile da utilizzare nel programma iraniano di attacco letale con droni e di aver fornito supporto materiale alle attività terroristiche del Corpo delle Guardie rivoluzionarie iraniane, attività che hanno provocato la morte di tre militari statunitensi nel gennaio 2024”. Sangue americano, che non può essere dimenticato. Quindi un disappunto tecnico, oltre che politico, destinato a restare anche con l’arrivo di Trump.
Abedini oggi compie 39 anni. Può festeggiare il compleanno in Iran, assieme alla moglie e al figlio: con loro ha trascorso le prime ore di libertà dopo l’udienza-lampo che domenica mattina ha permesso la sua «immediata » scarcerazione dal penitenziario di Opera. Sono bastati una decina di minuti e un paio di pagine per imbarcarlo su un aereo per Teheran
Di lui, in Italia, resta un trolley. Gli americani non hanno ottenuto l’estradizione di Mohammad Abedini Najafabadi, «l’uomo dei droni» e vogliono almeno il contenuto di quella valigia conservata in una cassaforte della procura di Milano. In attesa — è una delle ipotesi — di una rogatoria degli Usa. Ore dieci di domenica 12 gennaio.
Nel trolley sequestrato all’uomo dei droni al momento dell’arresto, e ora sotto custodia della procura di Milano, c’erano computer, smartphone, chiavette, documenti. In linea strettamente teorica, lo stesso avvocato dell’ex detenuto iraniano potrebbe chiedere la restituzione del bagaglio.
Ma viste le accuse all’ingegnere iraniano, è scontato che quel materiale interessi a chi gli dava la caccia e possa essere oggetto di rogatoria internazionale da parte degli Usa.
Alla procura guidata da Marcello Viola, al momento, non sono arrivate richieste. Passerebbero prima dal ministero.
(da agenzie)
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