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SMASCHERATO DAL TEAM ITALIANO IL BLUFF DI AL SISI

L’ORDINE ERA DI PRENDERE TEMPO PER GESTIRE LO SCONTRO INTERNO TRA I SERVIZI EGIZIANI

Prendere tempo, più tempo possibile. Questo era evidentemente il mandato della delegazione egiziana spedita a Roma con poche, inutili carte dell’inchiesta svolta al Cairo sull’assassinio di Giulio Regeni.
E agli investigatori italiani è apparso subito chiaro, quando il fascicolo che avrebbe dovuto dimostrare l’impegno del presidente al-Sisi nella ricerca della verità  è stato aperto: non solo era privo delle informazioni cruciali che il Procuratore di Roma Pignatone aveva formalmente richiesto ai colleghi egiziani, ma di fronte alle contestazioni sui buchi di quella che era stata annunciata come una collaborazione esaustiva sono piovuti i no.
Insomma, un bluff. Tanto più grave perchè giocato impudentemente all’indomani dell’ennesimo avvertimento del governo italiano: la verità , oppure le contromisure.
E così è stato. Il nostro ambasciatore prenderà  il primo volo per Roma e l’Egitto adesso rischia di perdere l’alleato occidentale più solido (e più esposto) sul piano politico, industriale, commerciale.
Un bluff e un autogol.
Che si fosse ad un passo dal punto di non ritorno era nell’aria. La delegazione egiziana si è presentata senza i tabulati telefonici di almeno una decina di utenze intestate ad altrettanti soggetti che si trovavano nelle vicinanze del luogo in cui Giulio Regeni è scomparso e senza i dati di traffico relativi alle celle a cui questi cellulari erano agganciati.
Un elemento d’indagine fondamentale, secondo la Procura di Roma, che gli egiziani non sono ancora pronti a condividere.
Il perchè fa parte delle suggestioni e dei sospetti.
Secondo alcune fonti, la delegazione giunta dal Cairo avrebbe cercato di riempire i buchi del fascicolo con una ipotesi di ricostruzione solo verbale che attribuirebbe il sequestro di Giulio Regeni e il suo assassinio a uno degli squadroni della morte che seminano il terrore nella capitale muovendosi ai margini dei servizi di sicurezza. Squadroni, secondo quanto avrebbero spiegato gli investigatori egiziani, che sono in parte sfuggiti al controllo delle strutture ufficiali.
Ma si tratterebbe di un’ipotesi non confermata da prove e soprattutto non sufficiente a scagionare gli apparti di sicurezza e lo stesso presidente al-Sisi da una responsabilità  diretta in quello che è successo.
La sensazione dei nostri investigatori, insomma, è che il governo egiziano sappia perfettamente come sono andate le cose ma non sia ancora riuscito a trovare un modo per rendere pubblica una versione che soddisfi l’Italia e nello stesso tempo non apra un conflitto interno ai servizi di sicurezza, che si sentirebbero traditi nella loro “missione repressiva” che ha già  provocato centinaia di morti e sparizioni.
Una prassi che ha messo l’Egitto sotto la lente delle organizzazioni umanitarie, oltre ad avere irritato quei paesi (Stati Uniti in testa) che avevano salutato l’arrivo di al-Sisi come il baluardo estremo a cui affidare la lotta contro fondamentalismo e terrorismo nel paese.
La versione dello squadrone della morte fu in qualche modo anticipata dall’operazione che due settimane fa portò all’uccisione di cinque componenti di una banda criminale “specializzata nel sequestro di stranieri” ed era in possesso dei documenti di Giulio Regeni, come raccontarono gli organi d’informazione egiziani, salvo poi essere ritirata come scenario possibile quando fu chiaro che il nostro governo non avrebbe mai accettato una ricostruzione palesemente frutto di una manipolazione.
Qualcuno nel mondo stasera sta sorridendo, si dice con amarezza negli ambienti diplomatici, per non dire che ha gioito per la pessima piega che hanno preso le circostanze del contenzioso col regime dell’ultimo faraone.
Ma sarebbe stato impossibile trovare una giustificazione a questo bluff che ha anche il sapore di un insulto all’intelligenza e alla dignità  del paese.
Impossibile giustificare un baratto tra i miliardi del petrolio e la fine di un ragazzo sequestrato, torturato e assassinato solo perchè colpevole di aver ricevuto un incarico universitario che lo aveva portato ad esplorare la galassia complessa dell’opposizione al regime.
Nel pomeriggio, il premier Matteo Renzi e il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni hanno preso atto della severa analisi fatta da Pignatone e raccolto le critiche dei carabinieri del Ros e degli uomini dello Sco presenti agli incontri di ieri e di oggi, e hanno deciso di richiamare l’ambasciatore Maurizio Massari per consultazioni.
Un passo grave, in attesa di conoscere la risposta di al-Sisi, che apre una seria crisi diplomatica di cui al momento non è possibile immaginare gli sviluppi.

(da “Huffingtonpost”)

This entry was posted on venerdì, Aprile 8th, 2016 at 22:12 and is filed under Giustizia. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can leave a response, or trackback from your own site.

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