SONDAGGIO: VOGLIAMO ANCORA L’UE, NONOSTANTE TUTTO: EUROCONVINTI IL 67,4%, ANTIEURO IL 15,2%
GLI ITALIANI NON INTENDONO LASCIARE L’EUROPA, CHIEDONO AI POLITICI DI CAMBIARLA… LA BREXIT NON SFONDA
L’Europa non gode buona salute, e purtroppo non è una novità .
Dallo scoppio della crisi del 2008 e la gestione successiva segnata da un’austerity ai limiti del parossismo, passando per la (non) gestione dei flussi migratori, fino alla Brexit, l’Unione non ha dato certamente il meglio sè.
La stessa riunione agostana a Ventotene fra i primi ministri di Francia, Germania e Italia, dove si sarebbero dovute scrivere le «pagine del futuro dell’Ue» (Renzi dixit), non ha suggellato passi in avanti.
Anzi, da allora le divisioni si sono ulteriormente accentuate e da qualche settimana lo stesso premier italiano sta lanciando strali verso un’Unione sorda alla flessibilità necessaria per fronteggiare le emergenze umanitarie e una ripresa economica ancora troppo lenta.
L’esito di tale aggrovigliamento dell’Ue è aver alimentato venti di protesta e populismi, tanto da non rendere implausibile una deflagrazione di quel progetto che ha fin qui garantito pace e sviluppo a un novero sempre più ampio di nazioni.
L’uscita dall’Unione sancita con il referendum popolare (per quanto ora in discussione) dalla Gran Bretagna rappresenta l’evento più traumatico e le prove delle prossime elezioni politiche in diversi Paesi costituiranno ulteriori banchi di prova per la tenuta di quel disegno.
Nel nostro Paese non mancano esponenti politici e partiti che criticano ferocemente la burocrazia europea, fino ad auspicare un’uscita dall’Unione emulando i britannici o l’abbandono della moneta unica.
Dunque, molti fattori sembrano remare contro l’Ue.
Ma fino a che punto la popolazione esprime un sentimento anti-europeista?
In che misura si guarda con favore all’uscita dell’Italia?
La ricerca realizzata (Community Media Research in collaborazione con Intesa Sanpaolo, per La Stampa) sui cittadini italiani racconta di un orientamento generale certamente non entusiasta verso l’Europa, con aree non marginali di criticità , ma sicuramente non incline a prospettive di abbandono.
Anzi, si chiede al governo un maggiore e rinnovato impegno nel cambiamento dell’Ue volto al suo rafforzamento.
Più europeisti
Abbiamo chiesto agli italiani in che misura seguirebbero i britannici indicendo un referendum popolare volto a stabilire se rimanere o meno nell’Unione.
La maggioranza (56,3%) ritiene che su un argomento così spinoso dovrebbero essere i politici eletti a decidere il da farsi, mentre poco più un quarto (28,1%) sarebbe dell’avviso che fosse il popolo a decidere.
Sarà anche quanto è accaduto nel dopo-Brexit e, forse, non rappresenterà un rinnovato feeling verso i politici, ma un simile esito evidenzia una cautela degli interpellati nel decidere «di pancia» su temi così complessi.
E costituisce anche un’attribuzione di responsabilità nei confronti dei propri rappresentanti. Anche perchè comunque l’Unione è vissuta come una conquista, un’istituzione di cui non ci si può sbarazzare con imperizia.
Vantaggi economici
Prova ne sia che solo il 13% considera l’Europa un ostacolo nel cammino di uscita dalle difficoltà economiche del nostro Paese.
Per contro, una misura più che doppia (28%) la valuta un’opportunità per superare le carenze nostrane.
Alla fine la maggioranza fra gli italiani vive l’Ue come una necessità (57,5%), che però deve essere ripensata nella sua struttura e negli obiettivi. In definitiva, prevale un orientamento verso l’Ue duplice e complementare.
Da un lato, spaventa una larga fetta di popolazione la prospettiva di uscire dall’Ue e, soprattutto, abbandonare l’euro per tornare alla vecchia lira.
Nel primo caso, i due terzi degli intervistati (64,4%) ritengono che se l’Italia non facesse parte dell’Unione le difficoltà economiche sarebbero ancora peggiori.
Nel secondo caso, ben il 71,7% considera l’uscita dall’euro foriera di una recrudescenza delle nostre condizioni economiche.
Dall’altro lato, è diffusa l’idea che l’Italia si debba impegnare per favorire un mutamento delle politiche e delle prospettive dell’Ue, anche negoziando nuove e più flessibili regole.
Così, i quattro quinti degli italiani (80,5%) auspicherebbero che il governo promuovesse un coordinamento tra le politiche economiche delle diverse nazioni.
Ciò dovrebbe essere accompagnato dall’ottenimento di una maggiore flessibilità sui vincoli finanziari (55,4%), per quanto su questo punto gli intervistati mostrino una maggiore cautela forse memori della nostra tradizionale abilità nell’aggirare le norme. In definitiva, sommando gli orientamenti espressi, confrontandoli con quanto rilevato nel 2014, emerge una tendenziale polarizzazione degli atteggiamenti verso l’Ue.
Gli «euro-convinti», quanti considerano deleterio un abbandono dell’Unione e dell’euro, costituiscono i due terzi della popolazione (67,4%), quota in leggera crescita rispetto al 2014 (63,6%).
All’opposto, gli «anti-euro» (15,2%) sono una parte minoritaria, ma non marginale, anch’essi in lieve aumento sul 2014 (11,7%).
Ne consegue che gli «euro-flebili» (9,4%, erano 13,9% nel 2014), favorevoli all’Unione, ma con perplessità , e gli «euro-scettici» (8,0%, erano il 10,8% nel 2014), indifferenti o propensi a uscire dall’Ue, diminuiscono di peso.
Un progetto per il futuro
L’Europa, per quanto acciaccata e mai così frammentata, priva di una visione comune e ingessata nel rivisitare i valori di riferimento, costituisce ancora un orizzonte comune per la grande maggioranza degli italiani.
Non scalda più i cuori come un tempo, ma sarebbe deleterio privarsene. Anzi, proprio in questi frangenti si chiede alla politica nazionale di farsene carico, di essere motore di un suo cambiamento.
E forse non è un caso che gli «euro-convinti» siano i più giovani, gli studenti, i laureati: chi auspica un futuro davanti a sè, un progetto in cui investire.
Daniele Marini
(da “La Stampa”)
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