STRAVINCERE E’ IL PRELUDIO DELLA DISFATTA: GIORGIA MELONI VUOLE SFONDARE IL 30% PER RIDURRE ALL’IMPOTENZA TAJANI E SALVINI
A SPINGERLA IN QUESTA DIREZIONE CI SONO FAZZOLARI, FITTO E IL SUO “CERCHIO TRAGICO”, TUTTI CONVINTI CHE SCHIACCIARE GLI ALLEATI NON SIA UN PROBLEMA
Conviene partire da una sfumatura psicologica. Se c’è un fattore che influenza le scelte di Giorgia Meloni, è l’insopprimibile necessità di non fare quello che gli altri provano a imporle o suggerirle.
È accaduto con la fiamma nel simbolo e con le celebrazioni del 25 aprile. Sta succedendo in queste ore con la candidatura alle Europee. Se infatti Matteo Salvini le avesse detto in privato «Giorgia, per favore, non candidarti perché mi danneggi», la leader avrebbe affrontato la questione più laicamente.
E però il leghista — irritato dall’annuncio della premier del 4 gennaio — ha scelto di forzare. Pubblicamente. Sfidandola a non correre. Meloni, d’istinto, progetta di andare avanti. Puntando al 30%. Per travolgere gli alleati. Immaginando una nuova era nella destra italiana.
Fedele a una massima che di recente ha condiviso con i vertici del partito: a via Bellerio capiscono solo il linguaggio dei rapporti di forza. Ecco, è questo il fulcro della tesi dei consiglieri di Palazzo Chigi più ascoltati: sei forte, è il momento di chiudere la partita.
§In fondo, è la base teorica del pensiero di Giovanbattista Fazzolari, l’uomo che Meloni ascolta di più (o che dice quello che la leader ha già deciso). E dunque: cándidati, sostiene in privato il sottosegretario, pesiamoci tra partner, «fissiamo i nuovi equilibri in Italia per il resto della legislatura». Solo così, è il corollario, affermeremo una centralità pure in Europa in vista della nuova Commissione.
Non è l’unico a consigliarle di sfruttare il voto europeo per sancire il mondo che verrà. Un altro è Raffaele Fitto, che da tempo le suggerisce in privato di accumulare milioni di preferenze, blindarsi in Italia e in Ue. E se Salvini venisse così mortificato dall’esito elettorale? E se Tajani non reggesse l’urto?
L’instabilità — gli dicono in coro questi consiglieri, assieme a Francesco Lollobrigida e Giovanni Donzelli, ma pure Patrizia Scurti e la sorella Arianna — arriverà comunque dopo il voto, meglio essere forti per affrontarla. E comunque, le ricordano, vale la regola sacra della politica: la riconoscenza non esiste, non dare fiato a Salvini perché favoriresti la sua rivincita.
Teorizzano il modello che aveva in mente Meloni. prendersi la destra, sfondare quota 30%, garantirsi il dominio incontrastato del governo. Riducendo i due partiti alleati a satelliti deboli. Costringendoli a interpretare la stabilità della legislatura come l’unica strada per sopravvivere e gestire una fetta di potere. se bisogna affrontare una manovra correttiva e Bruxelles intende rendere la vita impossibile a Palazzo Chigi, allora è meglio vantare un grande risultato elettorale. Per poter dire: ho vinto, non mi farò commissariare.
Poi è arrivata la reazione di Salvini. Accompagnata dalla sfida privata, che il fedele Andrea Crippa ha consegnato a Repubblica: «La premier vuole stravincere». Non stravincere, è stato il messaggio, altrimenti ti dimostro che da sola non puoi governare. Ed è qui che Meloni ha tentennato. Da una settimana non parla. Con alcuni dubbi, riassumibili alla voce: mi conviene? Gli esperti le hanno detto che il suo nome nel simbolo vale almeno un bonus del 2%, ma in realtà assicurerebbe una polarizzazione con Schlein capace di muovere fino al 3,5%.
Ma non è questo il dilemma. Semmai quest’altro: sono più forte se mortifico gli alleati? E ancora: è più facile gestire un rimpasto da una posizione di estrema forza? E poi ci sono le ansie di Antonio Tajani, che ha pregato Meloni di evitare di candidarsi perché FI è come un modellino di cristallo: basta poco per indebolirla ancora e frantumarla. Ma per Meloni vale lo stesso ragionamento: dopo le Europee sono pronta anche a immaginare una federazione che salvi i partner, ma non rinuncio perché me lo chiedete in un’intervista.
L’impegno di presentarsi da capolista sarebbe gravoso, in giro per l’Italia. A Palazzo Chigi hanno calcolato: cinque circoscrizioni, almeno 5 comizi. Poi quello finale. Nel mezzo, una decina di passaggi tv o radiofonici nelle ultime tre settimane. E poi i viaggi internazionali in vista della presidenza del G7. Meglio la politica estera dei dolorosi dossier economici. Sarebbe doloroso anche rompere con Salvini e Tajani. È il dubbio che tiene sulla corda i consiglieri.
(da La Repubblica)
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