SUL CASO ALBANIA LE TOGHE PRENDONO TEMPO, LA PROCURA GENERALE DELLA CASSAZIONE CHIEDE DI ATTENDERE IL VERDETTO DELLA CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA PRIMA DI PRONUNCIARSI SULLA QUESTIONE DEI “PAESI SICURI”, DOVE RISPEDIRE I MIGRANTI SBARCATI IRREGOLARMENTE IN ITALIA
IL VIMINALE AVEVA PRESENTATO RICORSO DOPO CHE I TRATTENIMENTI NON ERANO STATI CONVALIDATI DAL TRIBUNALE DI ROMA. E DOMANI È PREVISTA L’UDIENZA AL “PALAZZACCIO”… PER I SOSTITUTI PROCURATORI È MEGLIO ASPETTARE UN GIUDIZIO “SUPERIORE”, ANZICHÉ DECIDERE CON IL RISCHIO DI ESSERE POI SMENTITI
Meglio aspettare un giudizio «superiore» anziché decidere con il rischio di essere successivamente smentiti. A questa conclusione è giunta la Procura generale della Corte di cassazione in vista dell’udienza di domani al «palazzaccio» di piazza Cavour, davanti ai giudici della prima Sezione civile, sulla questione dei cosiddetti «Paesi sicuri» dove rispedire i migranti sbarcati irregolarmente in Italia. Della quale altri magistrati hanno già investito la Cgue, vale a dire la Corte di Giustizia dell’Unione europea con sede a Lussemburgo.
Di qui la richiesta dei sostituti procuratori generali Luisa De Renzis e Anna Maria Soldi, sintetizzata nelle ultime righe della requisitoria depositata agli atti: «Voler sospendere il presente giudizio sino all’esito del procedimento pendente dinanzi alla Cgue».
Tutto è cominciato un mese e mezzo fa, quando la Sezione immigrazione del tribunale di Roma non ha convalidato il trattenimento nel Centro di permanenza albanese di otto migranti provenienti da Bangladesh ed Egitto, «in applicazione dei principi vincolanti enunciati dalla recente pronuncia della Cgue del 4 ottobre 2024».
Un provvedimento, quello dei giudici romani, contestato da governo e maggioranza, prima con gli sferzanti commenti della premier Giorgia Meloni e dei suoi vice Matteo Salvini e Antonio Tajani nei confronti dei magistrati accusati di fare opposizione politica, e poi con il ricorso in Cassazione da parte del ministero dell’Interno.
Secondo l’Avvocatura dello Stato, che s’è mossa per conto del Viminale, il tribunale aveva interpretato in maniera non corretta sia le norme europee che quelle nazionali, alla luce di una sentenza (proprio quella del 4 ottobre della Corte di Lussemburgo) che non si poteva applicare ai casi in esame.
La Cgue, infatti, aveva preso in considerazione «porzioni di territorio» di un Paese (nello specifico la Moldavia) per considerarlo non sicuro, mentre i giudici di Roma (come altri di altre città avevano già fatto prima) hanno esteso quella distinzione anche ad alcune categorie di persone: se c’è il rischio di subire trattamenti persecutori per ragioni politiche, religiose, sessuali o altro, quel Paese (compresi Bangladesh ed Egitto, a differenza di quanto sostenuto dal governo italiano) non può essere ritenuto sicuro; si deve valutare la situazione di ogni richiedente asilo e quindi non si può applicare la procedura accelerata di rimpatrio.
Su questa interpretazione è chiamata a decidere la Cassazione, e in vista dell’udienza di domani — dove prenderanno la parola anche gli avvocati dello Stato e dei migranti coinvolti nella vicenda, rientrati in Italia dopo il decreto del tribunale — la Procura generale ha detto la sua.
Prendendo una posizione interlocutoria: aspettiamo prima di decidere. Sostiene infatti l’ufficio dei pubblici ministeri che la sentenza del 4 ottobre non esclude, ma nemmeno dà per scontata, «una sostanziale equiparazione tra l’insicurezza geografica e quella per categorie soggettive».
Tuttavia «le eccezioni personali (o meglio per categorie di persone) non hanno formato oggetto specifico della decisione della Cgue, e non sono state ancora compiutamente esaminate quanto alla loro incidenza sulla nozione di Paese sicuro».
(da agenzie)
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