SUL PNRR IL GOVERNO MELONI SI STA GIOCANDO TUTTA LA (POCA) CREDIBILITÀ CHE AVEVA GUADAGNATO IN EUROPA: A BRUXELLES STANNO PERDENDO LA SPERANZA CHE L’ITALIA RIESCA A “METTERE A TERRA” IL PNRR
DA BRUXELLES MINACCIANO DI NON PAGARE LA TERZA TRANCHE. MA ANCHE SE ARRIVASSERO QUEI 19 MILIARDI, TUTTO SARÀ PIÙ SEVERO, E NON CI SARANNO SCONTI
La linea di credito che la Commissione europea aveva aperto nei confronti del governo Meloni si sta esaurendo. Anzi, probabilmente è già esaurita. E, come prevedibile, il “casus belli” è il Pnrr.
Perché le dichiarazioni sempre più contraddittorie di Roma sul Piano di Riforme e Resilienza – a partire da quelle rilasciate domenica scorsa dal ministro per i rapporti con l’Ue, Raffaele Fitto, e poi smentite – hanno ormai gettato un’ombra sulla credibilità e affidabilità dell’esecutivo italiano.
“Ci stanno dicendo troppe volte – è il sospetto che trapela sempre più negli uffici di Palazzo Berlaymont – che non riusciranno a spendere i soldi ». Si svela il terrore di un possibile fallimento della più grande operazione economico-finanziaria messa in campo dall’Unione. Un potenziale colpo esiziale al processo di integrazione europeo, la rinuncia per i prossimi anni a nuove forme di debito comune. Un vero disastro.
L’ultimo messaggio della Commissione è stato infatti inequivocabile: «Qualsiasi revisione dei piani nazionali di ripresa e resilienza non dovrebbe abbassarne l’ambizione complessiva. Siamo consapevoli che il governo italiano voglia rivedere il Pnrr, ma non abbiamo ancora ricevuto una richiesta formale di modifica »
Il punto non è la modifica degli obiettivi ma «l’ambizione complessiva». Un allarme non casuale. Ci sono infatti due questioni che da qualche giorno sono state piazzate sul tavolo della presidente Ursula von der Leyen: una sostanziale e una formale.
La prima: alcuni dei segnali lanciati da Palazzo Chigi sono stati interpretati davvero con apprensione. Alcune richieste di informazione sulla possibilità di rinunciare a una quota dei cosiddetti “loans”, ossia i prestiti previsti dal NextGenerationEu (ai “grants”, alle gratuità invece non si rinuncerebbe in ogni caso). Circa 120 miliardi. Una scelta tecnicamente possibile, ma politicamente disastrosa. sarebbe un segnale di estrema debolezza, i mercati non lo prenderebbero bene, i 26 alleati anche peggio.
Resta il fatto che la sola ipotesi ha destato davvero tante perplessità. E soprattutto ha fatto riemergere giudizi negativi – e luoghi comuni – sul nostro Paese.
La seconda: i tempi di revisione del Pnrr non coincidono tra Roma e Bruxelles. Fino alla scorsa settimana, infatti, il governo aveva programmato di presentare il nuovo documento tra luglio e agosto. Troppo tardi per la Commissione che ha insistito per chiudere la partita entro giugno. In effetti, adesso l’orientamento è quello di provare a stringere i tempi. Anche Fitto sta cercando di evitare il conflitto almeno su questo punto.
L’Ue si aspetta che l’Italia segua la procedura stabilita dall’articolo 21 del Regolamento sul NextGenerationEu e corregga il suo Piano. Ma senza revisioni al ribasso. E con tempi certi. La “squadra” di Giorgia Meloni non sa se sarà in grado di rispettare gli impegni. Anche con un eventuale nuovo Pnrr. Perché la capacità di spendere le risorse e realizzare opere e progetti sta diventando sempre più aleatoria. Persino i funzionari già impegnati con il governo Draghi a seguire le diverse road map, confessano che il controllo ormai non esiste più. L’accentramento a Palazzo Chigi sta provocando una sorta di “effetto-abbandono”.
Il ritardo nel pagamento dell’ultima tranche di finanziamento è in una certa misura connesso a questa incertezza. In realtà, c’è già l’accordo “politico” per il via libera. Ma sarà l’ultima “accondiscendenza”. Già per i soldi del semestre in corso, tutto sarà più severo.
Più che pensare al presidenzialismo, Giorgia Meloni dovrebbe dunque occuparsi di come rendere proficuo il più grande investimento economico compiuto sull’Italia dai tempi del Piano Marshall.
(da La Repubblica)
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