SUONA LA CAMPANELLA PER RENZI: IL PD PERDE IL CONSENSO DEI DOCENTI
DOMANI IL MONDO DELLA SCUOLA SI FERMA COME DA ANNI NON ACCADEVA: CI VOLEVA RENZI PER METTERE D’ACCORDO TUTTE LE SIGLE SINDACALI CONTRO LA SUA RIFORMA PATACCA
Non basterà il successo di immagine dell’Expo a Matteo Renzi per superare lo scoglio della riforma della scuola.
Lo sciopero indetto domani da Cgil, Cisl, Uil, Gilda, Snals, Cobas e altre sigle sarà un successo.
E potrebbe rappresentare il primo attrito, vero, tra il governo e una parte importante del suo mondo di riferimento.
Parliamo di circa un milione di addetti della scuola pubblica storicamente schierati a sinistra.
Parliamo delle famiglie, degli studenti che dovrebbero essere i riferimenti obbligati di chi, ogni due per tre, parla di futuro.
Non è quindi casuale che il governo abbia deciso di inaugurare in commissione Cultura alla Camera, dove il provvedimento sulla “buona scuola” è in discussione, una linea più morbida.
La ministra Stefania Giannini è stata di fatto esautorata dalla discussione affidata al sottosegretario Davide Faraone, vero plenipotenziario renziano e con un ruolo più ampio al resto del Pd. La legge è stata in parte riscritta anche se i cambiamenti, accusa il Movimento 5 Stelle, sono solo di “facciata”.
Le piazze del 5 maggio
Per questo lo sciopero non è stato disdetto e sarà preceduto, stasera, da un “flash-mob” spontaneo in tutta Italia con le docenti vestite a lutto e un lumino tra le mani. Domani, poi, le scuole saranno chiuse e si svolgeranno sette cortei nazionali fra cui quelli di Milano e Roma.
Che ci si aspetti un’adesione molto ampia è dimostrato anche dalle circolari che stanno girando nelle scuole.
A Roma, ad esempio, i presidi stanno modificando gli orari per garantire la massima presenza degli insegnanti che non sciopereranno nella fascia tra le 8 e le 12, rischiando una decisione che lede il diritto di sciopero.
Inoltre, la prova Invalsi, inizialmente prevista per il 5 e 6 maggio, è stata spostata, illeggittimamente secondo i Cobas, al 6 e 7.
Lo scontro è motivato da una divisione di fondo: la sbandierata decisionalità dei presidi e il presunto primato alle famiglie , di cui parla Renzi, passano infatti per una rimessa in riga degli insegnanti che, in modo molto più sottile e mediato, vengono abbinati alla categoria dei fannulloni.
Nella scuola pubblica, invece, si sono accumulate attese e speranze per lo meno dal 2009, da quando cioè la riforma Gelmini ha “fatto cassa” spogliando un bene pubblico fondamentale che in circa cinque anni ha perduto 8 miliardi di finanziamenti.
Da qui, il blocco degli scatti stipendiali, la riduzione del tempo pieno, l’infinita lista di attesa per i giovani, e meno giovani, precari, la fatiscenza delle strutture, il taglio dell’offerta formativa nei singoli istituti.
Così, un primo punto di scontro sarà proprio quello che attribuisce ai dirigenti scolastici il potere di assumere direttamente i docenti e così di fare il bello e il cattivo tempo con l’obiettivo di “assumere gli insegnanti migliori”.
Ma chi selezionerà i presidi? Chi vigilerà davvero sul loro comportamento?
Quale ruolo sarà attribuito agli organi collegiali, ai docenti ma anche ai genitori?
E, ancora, come evitare di realizzare quel sistema di scuole di “serie A” e scuole di “serie B” che sembra essere l’obiettivo della politica italiana, tutta, da circa quindici anni?
Questi punti della legge, la scorsa settimana, sono stati in parte edulcorati ma non abbastanza da mettere in discussione il ruolo del “preside-sceriffo”.
I motivi della protesta
Un secondo punto molto controverso, e che sta facendo imbufalire i docenti di ruolo il cui contratto è fermo al 2009, è la possibilità di “restituire” all’Albo territoriale, di nuova istituzione, i docenti che risultassero in soprannumero nei singoli istituti.
Ne risulterebbe una situazione di “mobilità ” dei docenti che potrebbero venire assegnati ogni tre anni a una scuola diversa con un effetto immaginabile sul piano della continuità didattica.
Viene ridimensionato, allo stesso tempo, il ruolo del Collegio docenti con quest’ultimi ridotti a poveri pedoni di una beffarda partita a scacchi.
I docenti vogliono , per lo meno nelle loro rappresentanze, mantenere un ruolo attivo nella predisposizione dell’offerta formativa e nell’organizzazione dell’attività scolastica.
Poi c’è il punto dolente dei precari.
All’inizio il governo aveva promesso 148.600 assunzioni, tante quante sono le iscrizioni alle Graduatorie a esaurimento (Gae), le storiche liste dei precari. Nella legge, il numero è sceso a 101.701.
Gli insegnanti però contestano la veridicità del numero. A leggere la relazione tecnica, dicono, si desume che probabilmente si arriverà a 40 mila assunzioni certe.
Il resto sarà collocato negli Albi territoriali in attesa della chiamata dei dirigenti scolastici che li utilizzeranno nell’ambito dell’organico funzionale, quello che serve a completare l’offerta formativa.
Una forma indiretta di supplenza anche se migliore dell’attuale situazione. Quello che non è chiaro, però, è cosa accadrà a coloro che non vengono chiamati dai dirigenti scolastici i quali devono comunque basarsi sulle classi di concorso (le materie di insegnamento).
In alcune di queste c’è penuria di docenti, in altre di insegnanti ce ne sono troppi. Questo squilibrio non è stato regolato e produrrà un disavanzo finale, in termini di posti da assegnare, di circa 60 mila unità .
Irrisolto, anzi non affrontato, invece, è il caso dei docenti che sono risultati idonei all’ultimo concorso, quello indetto dal ministro Profumo nel 2012, e di coloro che non sono iscritti nelle Gae ma nelle graduatorie di istituto con tanto di abilitazione all’insegnamento.
L’istruzione riservata ai ricchi
Infine, le risorse. Renzi ha ammorbidito il progetto di riforma degli aumenti stipendiali istituendo un Fondo a disposizionedei dirigenti scolastici dell’importo di 200 milioni.
Ha puntato a ingraziarsi i docenti con il bonus formativo da 500 euro l’anno e ha offerto un amo alle famiglie introducendo la possibilità di stanziare il 5 per mille ai singoli istituti e uno “school bonus” che prevede un credito di imposta del 65% per le donazioni liberali alle singole scuole.
Ha poi istituito una detrazione di 400 euro ad alunno per le spese di frequenza delle scuole private.
Un impianto che, secondo i sindacati, descrive un sistema di divisione censoria delle scuole, premiando gli istituti frequentati da persone agiate e, ovviamente, le scuole private con violazione dell’articolo 33 della Costituzione.
La distanza è evidente. Si tratta di modelli alternativi di cultura scolastica: da un lato l’inclusione, la partecipazione e la valorizzazione del personale scolastico; dall’altro, l’obiettivo reiterato dell’efficienza e della decisionalità .
Come se bastassero i capistazione per far arrivare i treni in orario.
Salvatore Cannavò
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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