TAGLI DEI CONFINI E DEL PERSONALE: LA CROCIATA SOVRANISTA CONTRO I PARCHI
INTERVISTA AL PROFESSOR PICCIONI, DOCENTE DI STORIA ECONOMICA ALL’UNIVERSITA’ DELLA CALABRIA: “CETO GOVERNATIVO INDIFFERENTE SE NON OSTILE”
Riduzione dei finanziamenti, in molti casi già quasi totalmente assorbiti delle spese di personale, mancanza di un’organica politica statale, tentativi di ridimensionamento dei confini come quello della Regione Abruzzo (che nel 2021 ha provato a tagliare di un quinto la superficie Parco del Velino-Sirente): le aree protette italiane – che coprono attualmente il 12% del territorio, tra parchi nazionali (24), parchi regionali (134), aree protette marine, riserve naturali statali, oasi naturali delle associazioni ambientaliste -vivono una fase molto difficile. Ai problemi finanziari e gestionali si aggiungono inoltre i crescenti attacchi all’integrità ambientale dei loro territori, attacchi “non contestati o persino favoriti dagli amministratori, come costruzione di strade e parcheggi, tagli boschivi, eventi spettacolari con impatto ambientale, cave, autorizzazione di nuovi impianti scioviari, mancata repressione di abusi edilizi”.
Lo racconta in un bel libro che ripercorre la storia dei parchi – Parchi nazionali. Storia delle aree protette in Italia (Il Mulino) – Luigi Piccioni, docente di Storia economica nell’Università della Calabria, che denuncia anche il “progressivo spostamento di attenzione e di risorse dai compiti di conservazione, ricerca, educazione a pratiche piuttosto convenzionali di branding del territorio e delle attività esistenti, anche quando prive di qualificazioni ambientali”.
La crisi degli anni Cinquanta e la progressiva rinascita
La storia dei parchi nazionali è avvincente e al tempo stesso turbolenta. Le prime aree protette nascono negli anni Venti e Trenta sulla base di una forte spinta dal basso e dotandosi di enti di gestione democratici, che prevedono la presenza delle rappresentanze locali, dei ministeri, del mondo scientifico e delle associazioni protezionistiche e turistiche. Il fascismo però abolisce nel 1933 gli enti di gestione e passa i due parchi nazionali “storici” alla Milizia nazionale forestale, attuando una gestione di profilo molto basso, in molti casi con effetti negativi di lunga durata.
Con la rinascita della democrazia i parchi nazionali restano in un limbo e per oltre un ventennio “ci si limita alla faticosa conservazione dell’esistente”. L’unica eccezione è costituita dall’operato di Renzo Videsott, artefice del ritorno del Parco del Gran Paradiso all’autonomia e poi suo direttore per molti anni, che tenta oltretutto di fare della protezione della natura una grande questione nazionale, anticipando la nascita – tra gli anni Cinquanta e Sessanta – di nuove associazioni ambientaliste come Italia Nostra e il Wwf. L’affermazione di queste associazioni coincide oltretutto con la crescita popolarità dell’ecologia e con essa della domanda natura integra e di aree protette, che in Italia come in tutto il mondo dalla fine degli anni Sessanta finiscono col vivere un vero e proprio boom.
La legge fondamentale del 1991
Questi processi vanno di pari passo con l’iter parlamentare della legge quadro che dura trent’anni e culmina nella famosa legge quadro del 1991, che porta a sintesi tutte le proposte e le discussioni dei decenni precedenti. La legge stabilisce che l’istituzione e la gestione dei parchi nazionali spetta allo Stato mentre alle Regioni è demandata la creazione e la gestione di propri parchi che vengono considerati allo stesso livello dei primi, conciliando le richieste delle associazioni e quelle delle regioni. Alle associazioni ambientaliste e ai rappresentanti del mondo scientifico viene garantita un’adeguata presenza nei consigli direttivi dei parchi nazionali, mentre la Comunità del parco è prevista come organo dell’Ente con un’ampia rappresentanza delle comunità locali. A dispetto dei tempi lunghi, l’“impatto di questi provvedimenti sul mondo delle aree protette italiane è formidabile”, scrive Piccioni.
Parchi come monadi: manca un coordinamento nazionale
Ma allora perché quella spinta propulsiva si è fermata? Secondo l’autore, tra le cause ci sono l’affermazione di un ceto governativo indifferente se non ostile alla protezione della natura, la riduzione della rappresentanza della politica ambientalista in parlamento e l’incapacità dei Verdi italiani di rappresentare la propria presenza nella società. Così, ad oggi, spiega l’autore, “quello che era il sistema previsto dalla legge quadro è stato infatti avviato ma poi nel giro di pochi anni depotenziato”. L’Italia non dispone più neanche di un organismo di promozione, sostegno e coordinamento dei soli parchi nazionali. In effetti, “non c’è nessuna politica organica dei parchi nazionali, i parchi sono monadi, ognuno va avanti per conto suo”.
Dal 2010 in poi, oltretutto, una serie di proposte di legge – fortunatamente abortite – hanno tentato di rafforzare il controllo dei partiti sui parchi, di ridurre la componente scientifica nei consigli degli Enti parco introducendo quella dei portatori di vari interessi economici, di consentire attività ecologicamente insostenibili, circostanza che ha provocato, tra l’altro, una profonda spaccatura all’interno del mondo ambientalista.
Aree protette percepite come preziose. Ma meno di un tempo
Fortunatamente l’intelaiatura normativa della legge quadro del 1991 continua a funzionare da scudo contro i molti tentativi di attacco all’integrità, all’autonomia e all’identità dei parchi italiani.
I parchi, dunque, non possono essere aboliti o ridotti? “Arrivare a una loro abolizione o a un loro completo snaturamento è molto difficile, qui come altrove”, spiega l’autore, “basti ricordare lo scandalo del Parco nazionale d’Abruzzo degli anni Sessanta, quando l’attacco speculativo all’area fu fermato da inchieste di tutte le testate giornalistiche e divenne anche un catalizzatore della coscienza ambientale”. Possono però riuscire delle operazioni di defunzionalizzazione, come è avvenuto nel caso dello Stelvio, un parco nazionale creato nel 1934, molto esteso e profondamente osteggiato sin dall’inizio dalla minoranza di lingua tedesca. Oggi esso è frammentato in tre amministrazioni provinciali diverse. O possono essere adottate scelte paradossali come nel caso del Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise, dove è l’Ente parco che promuove oggi il taglio di tremila esemplari del raro Pino nero di Villetta Barrea grazie ai finanziamenti del Pnrr, mentre associazioni locali e nazionali si oppongono tenacemente.
In ogni caso a “dispetto di promesse non mantenute, di compiti non assolti, di attacchi politici, di malfunzionamenti, di sabotaggi e tentativi di stravolgimento della legislazione, lo scombinato mondo delle aree protette costituisce oggi a livello nazionale un elemento imprescindibile della protezione della natura”. E, ancora per fortuna, nell’immaginario collettivo italiano i parchi rimangono serbatoi di riconciliazione con la natura, fonti di serenità e di salute, luoghi di godimento di paesaggi integri e maestosi. “La formidabile spinta dal basso degli anni Sessanta-Ottanta però si è esaurita” conclude Piccioni, “e nell’opinione pubblica col tempo è diminuita anche la consapevolezza dell’importanza delle aree protette come luoghi di partecipazione democratica e di costruzione di un futuro collettivo più sostenibile. Questi arretramenti implicano un rischio grave per le aree protette perché in questo modo si allentano le pressioni positive sul mondo della politica. Che finisce così coll’assecondare sempre di più interessi che vanno in direzione opposta”.
(da Il fatto Quotidiano)
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