TELE-MELONI ESISTE ECCOME, I SUOI UOMINI CONTROLLANO TG, TALK E APPROFONDIMENTI
IN POCO PIÙ DI UN ANNO, I PALINSESTI SONO STATI INFARCITI DI FORMAT “AUTARCHICI” E CONDUTTORI AMICI… IL CASO SCURATO, IL BLACK-OUT SUL VOTO FRANCESE E GLI SCAZZI PER LE NOMINE DEI VERTICI
Sostiene Giorgia Meloni che il rapporto sullo Stato di diritto è pieno di fake news e distorsioni a uso politico. Pilotate dai giornali non allineati, specie in materia di informazione e servizio pubblico televisivo, che invece non sono mai stati tanto liberi e indipendenti come sotto il suo esecutivo. È quanto prova a spiegare la presidente del Consiglio nella risposta alla Commissione europea. Inanellando tuttavia una serie di falsità e mistificazioni che val la pena analizzare.
Scrive Meloni con malcelato vittimismo: non solo la legge sulla Rai è targata Renzi, dunque Pd, ma «anche l’attuale governance è stata determinata dal governo precedente (Draghi), con FdI unico partito di opposizione che si è pensato di escludere perfino dal Consiglio di amministrazione, creando — quella volta sì — un’anomalia senza precedenti e in violazione di ogni principio di pluralismo ».
La memoria selettiva della premier omette di ricordare che furono Lega e FI, all’epoca in maggioranza, a giubilare con una manovra di palazzo il suo consigliere per conservare i propri rappresentanti in Cda. E comunque lei venne ricompensata con la promozione di alcuni fedelissimi, da Paolo Petrecca alla direzione di Rainews a Paolo Corsini vice agli Approfondimenti, che le hanno consentito di mettere subito le mani su notiziari e talk.
Prosegue ancora Meloni: «Salvo la nomina obbligata di un nuovo amministratore delegato nel 2023 a seguito delle dimissioni del suo predecessore, l’attuale governo e la maggioranza parlamentare non si sono ancora avvalsi della normativa vigente per il rinnovo dei vertici aziendali».
Qui la deformazione della realtà è patente. Non solo il Cda, scaduto da due mesi, non si riesce a rinnovare per le liti furibonde fra alleati che non trovano la quadra sulle poltrone, ma in questa storia di “obbligato” c’è solo l’addio di Carlo Fuortes: la spinta a farsi da parte, con tanto di incontri irrituali a Palazzo Chigi, fu talmente brutale da non lasciargli altra via d’uscita.
Lo scrisse lui stesso nella lettera con cui formalizzò il passo indietro: «Dall’inizio del 2023 sulla carica da me ricoperta e sulla mia persona si è aperto uno scontro politico che contribuisce a indebolire la Rai. All’interno del Cda ho registrato il venir meno dell’atteggiamento costruttivo indispensabile alla gestione della prima azienda culturale italiana», il suo j’accuse.
Per convincerlo il Cdm varò persino una norma ad hoc, di recente dichiarata incostituzionale, per pensionare i sovrintendenti stranieri delle fondazioni liriche e liberare così il San Carlo di Napoli per l’Ad in uscita.
Continua Meloni, con una spudoratezza senza pari: con FdI fuori dal board, «non si comprende come si possa imputare a questo governo una presunta ingerenza politica nella governance Rai».
La verità è che dopo la cacciata di Fuortes, si pose il problema di come prendersi la Tv di Stato per molti anni a venire: a causa del tetto dei due mandati, l’ex missino Giampaolo Rossi, che aveva già fatto il consigliere, sarebbe potuto restare Ad solo per un anno, fino alla scadenza dell’attuale Cda.
Venne perciò sistemato alla direzione generale (che non ha tetti), con la promessa di promuoverlo al turno dopo. A tenergli in caldo il posto fu chiamato Roberto Sergio, previo “patto della staffetta” per scambiarsi i ruoli a giugno 2024. Memento utile a rammentare alla presidente che TeleMeloni opera ai massimi livelli da oltre un anno. Proprio quello a cui si riferisce il report Ue sullo Stato di diritto.
È in quest’ultimo anno che «l’ingerenza politica» disconosciuta da Meloni si fa pesante. E produce danni. Appena insediato, il tandem Sergio- Rossi fa piazza pulita e cambia quasi tutti i direttori di Tg e generi.
Un’infornata mai vista prima, che regala al governo il controllo sulla Rai: al Tg1 Gian Marco Chiocci, legato alla premier; al Tg2 il forzista Antonio Preziosi; a Rainews si conferma Petrecca. Agli Approfondimenti e al DayTime ascendono due “fratellini” doc: Corsini e Angelo Mellone.
Talk e programmi sono tutti nelle mani della destra. I palinsesti vengono infarciti di format autarchici e conduttori amici, in barba a performance disastrose: Pino Insegno dovrà chiudere in anticipo la sua trasmissione, ma questa stagione ne vince due, come pure Nunzia De Girolamo. Incoronata Boccia, Sylos Labini e meloniani vari fanno uno share da prefisso telefonico e vanno avanti uguale.
L’azienda censura il monologo antifascista di Antonio Scurati, ma a pagare è la conduttrice Serena Bortone, epurata dal video. Una debacle, certificata dai numeri. Nel 2023, per la prima volta, Mediaset sorpassa la Rai negli ascolti relativi all’intera giornata.
E Meloni mente pure quando nega che «il cambiamento della linea editoriale avrebbe determinato le dimissioni di diversi giornalisti e conduttori », per lei imputabili a «normali dinamiche di mercato». A parte Fabio Fazio, che capita l’antifona fa le valigie prima dell’avvento dei nuovi vertici, in sequenza lasciano Bianca Berlinguer, Lucia Annunziata, Massimo Gramellini, da ultimo Amadeus: tutti in ragione del clima inospitale, più o meno dichiarato, che si comincia a respirare in Rai. A confermarlo, le denunce dei giornalisti, che rivelano pressioni e censure mai accadute prima. L’Usigrai proclama persino uno sciopero generale per accusare il governo di aver ridotto il servizio pubblico a suo megafono.
(da Repubblica)
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