TERREMOTO DELL’AQUILA: INDAGATA LA PROTEZIONE CIVILE PER MANCATO ALLARME
AVREBBERO SOTTOVALUTATO GLI ALLARMI PRECEDENTI: ACCUSATI DI OMICIDIO COLPOSO I VERTICI DELLA PROTEZIONE CIVILE, SISMOLOGI E TECNICI DEL DIPARTIMENTO….PER LA PROCURA LA CITTA’ ANDAVA EVACUATA…LO STUDIO DI DUE DOCENTI A SUPPORTO
La Procura della Repubblica dell’Aquila ha notificato alcuni avvisi di garanzia relativi all’inchiesta sul mancato allarme per il terremoto. L’accusa rivolta ai membri della Commissione Grandi rischi, che il 31 marzo 2009, 6 giorni prima del terremoto che sconvolse L’Aquila, parteciparono alla riunione che si tenne nel capoluogo abruzzese, è di omicidio colposo.
Nel documento della Procura ci sarebbe scritto che la “protezione civile è venuta meno ai doveri di previsione e prevenzione”.
Perciò, la colpa consiste nella “negligenza, imprudenza e imperizia”.
Tra gli indagati, ci sarebbero alcuni funzionari ai vertici del Dipartimento della Protezione Civile e dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia.
L’avviso di chiusura indagini sarebbe in corso di notifica al professor Franco Barberi, presidente vicario della Commissione, al professor Enzo Boschi, presidente dell’Ingv, al vice capo del settore tecnico-operativo della Protezione Civile Bernardo De Bernardinis, al direttore del Centro nazionale terremoti Giulio Selvaggi, al direttore della fondazione ‘Eucentre’ Gian Michele Calvi, all’ordinario di fisica terrestre dell’Università di Genova Claudio Eva, al direttore dell’ufficio rischio sismico del Dipartimento della Protezione Civile Mauro Dolce.
“Non si tratta di un mancato allarme, l’allarme era già venuto dalle scosse di terremoto. Si tratta del mancato avviso che bisognava andarsene dalle case”, ha spiegato il Procuratore della repubblica dell’Aquila, Alfredo Rossini,
Nel verbale del 31 marzo 2009 sono riportate le parole pronunciate da Franco Barberi, presidente vicario della Commissione Grandi Rischi della Protezione Civile: “Non c’è nessun motivo per cui si possa dire che una sequenza di scosse di bassa magnitudo possa essere considerata precursore di un forte evento”.
Nel verbale sono riportati i pareri degli esperti che sottolineavano che i terremoti sono molto difficili da prevedere, che non è possibile fare pronostici scientifici, e affermavano che era “improbabile” che si verificasse una scossa distruttiva: anzi, “non c’è motivo per dire che un sequenza di scosse di bassa magnitudo possa essere considerata precursore di un forte evento”.
Sei giorni più tardi una scossa di magnitudo 6.3 haa distrutto L’Aquila e molti paesi abruzzesi, causando più di 300 morti.
La Commissione è la principale struttura scientifica di riferimento della Protezione civile e si occupa di previsione e prevenzione delle varie ipotesi di rischio, fornendo indicazioni ed esaminando i dati forniti da istituzioni e organizzazioni preposte alla vigilanza degli eventi.
Quando la Commissione fu convocata, da quasi sei mesi nel territorio dell’Aquila si susseguivano scosse sismiche, culminate il 30 marzo, cioè il giorno prima della riunione, in una scossa di magnitudo 4.0.
Un aspetto, questo, sottolineato dallo stesso De Bernardinis all’incontro.
Ma gli esperti non ritennero che la situazione fosse il preludio di una scossa devastante, sottolineando l’impossibilità di previsioni attendibili in questo campo.
Ora la procura della Repubblica dell’Aquila ha inviato agli indagati l’avviso di conclusione delle indagini.
Gli accertamenti sono scattati subito dopo l’esposto di diversi cittadini che hanno chiesto alla Procura di verificare il lavoro della Commissione.
Il Procuratore della Repubblica dell’Aquila, Alfredo Rossini, commentando la notifica della conclusione delle indagini sulle risultanze della riunione del 31 marzo 2009, ai microfoni del Tg3 Abruzzo fa il punto sui quanto si sarebbe dovuto fare prima del 6 aprile: “Non si tratta di un mancato allarme, l’allarme era già venuto dalle scosse di terremoto – ha detto -. Si tratta del mancato avviso che bisognava andarsene dalle case”.
L’indagine giudiziaria è partita in realtà da uno studio firmato da Giuseppe Grandori ed Elisa Guagenti, docenti universitari del Politecnico di MIlano, che ha esaminato la scelta che avrebbero dovuto prendere i capi della Protezione civile ragionando sui costi, sui disagi, sulle conseguenze dei falsi allarmi e indicando cosa non è stato fatto.
Nella loro relazione si legge che “la presenza di danneggiamenti provocati dalle scosse dei giorni precedenti induceva a ritenere pericoloso un eventuale forte terremoto . A favore dell’allerta vi era che il costo sociale di un eventuale allerta falso sarebbe stato prossimo allo zero”.
Secondo i due docenti universitari la Protezione civile avrebbe dovuto individuare i luoghi di raccolta, organizzare l’evacuazione dagli ospedali, ordinare l’arrivo di mezzi di trasporto, come nel caso dell’annuncio cautelativo del terremoto del 23 gennaio 1985 in Garfagnana, zona che era stata allertata dopo una scossa di magnitudo 4.2.
Per i due docenti “è inspiegabile la scelta di non dare l’allarme”, per la Protezione civile non vi erano gli estremi.
Nel frattempo 30 famiglie delle vittime del sisma , in caso di rinvio a giudizio, hanno annunciato che si costituiranno parte civile.
Il dopo terremoto, anche dal punto di vista giudiziario, è appena cominciato.
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