TERREMOTO: IL FLOP DELLE CASETTE D’EMERGENZA, TRA MUFFE, TRASLOCHI E SUICIDI
SONO GIA’ 15 LE PERSONE COLPITE DAL SISMA CHE SI SONO TOLTE LA VITA… CONDIZIONI SEMPRE PIU’ PRECARIE
Sembra un gioco. Quali sono le dieci cose che porteresti con te se tu dovessi andare su un’isola deserta?
Sui social partecipano in tanti: c’è chi terrebbe soltanto i libri e chi non si priverebbe mai di una catenina, una pietra, un oggetto del passato.
Anche a Antonella Pasqualini posero una domanda simile due anni fa: che cosa porti con te e che cosa lasci? Era ottobre del 2016 quando il terremoto seppellì buona parte della sua vecchia vita. Prese quello che poteva e si trasferì sulla costa con un figlio di cinque anni e un marito.
Lo scorso inverno ottenne una Sae, una casetta di emergenza che di emergenza non è. Antonella e gli altri 3638 nuclei familiari entrati nelle casette (o che lo entreranno) ne sono consapevoli: sanno quando sono entrati, non quando andranno via.
L’ingresso è certo, l’uscita no, si direbbe ricordando un antico detto. Ognuno di loro ha accettato la difficile condizione di vivere in un’emergenza permanente e ha provato a dare alla casetta quell’impronta di stabilità necessaria quando si deve rimanere in un luogo per anni: fiori, decorazioni, mobili e tutto quello che lo spazio permette.
Ad agosto Antonella ha scoperto delle macchie tra il pavimento e un battiscopa. Ha provato a segnalare.
«Mi hanno trattata come una che fa i capricci. Dopo settimane finalmente è arrivato un tecnico. “Per farmi contenta”, ha detto». Per farla contenta hanno levato un’asse del pavimento, poi un altro. Nell’imbarazzo generale hanno trovato funghi, vermi, umidità diffuse.
Lo stesso nelle Sae di altre 31 famiglie su 42 collocate nell’area di Muccia. Trentuno nuclei capricciosi costretti di nuovo a lasciare il luogo dove vivevano e a giocare alle dieci cose. Quali porteresti con te? E quali lasceresti?
Impacchetta ancora la vita. Trasportala via. Lascia quello che non entra nella sistemazione di fortuna che sostituisce la precedente sistemazione di fortuna. Ammassa tutto nell’ennesimo prefabbricato destinato a immagazzinare la tua esistenza.
Apri la porta di lamiera, riesci a far entrare un tavolo, un armadio, delle sedie, un frullatore, un tavolo da stiro, una torre di scatole di scarpe, una tv. Basta, non c’è più posto.
Se hai altro è compito tuo trovare dove lasciare questa vita suddivisa in strati di necessità . Il primo strato ti segue ovunque: sono i generi indispensabili, la borsa, il portafoglio, il cuscino, il letto, le lenzuola e poco altro. Dal secondo strato in poi è lo spazio a disposizione a dettare legge.
Se è lo spazio che comanda è il futuro a scomparire. E un popolo senza futuro può anche decidere di non avere più motivo di andare avanti.
Dopo un anno e mezzo otto persone colpite dal sisma avevano scelto di togliersi la vita. Dopo due anni la cifra è schizzata a quindici.
Tutte persone sradicate dalla casa, dalle terre dove erano nati. Tutti privati della ragione della loro vita precedente, vittime di una sindrome depressiva nuova, mai conosciuta finora nonostante i numerosi terremoti subiti in particolare da chi è anziano.
Massimo Mari, psichiatra, direttore del Dipartimento di Salute Mentale dell’area Vasta 2 dell’Asur Marche sta coordinando l’assistenza nei confronti di 40mila persone, di cui 25 mila sulla costa.
In questo momento opera con quattro associazioni di volontariato e nemmeno un euro di fondi regionali.
Volontariato allo stato puro, preziosissimo. «La richiesta di aiuto è molto alta. Il tasso di suicidi è molto più elevato di quello del ’97 quando la popolazione non subì deportazioni.
Stavolta è stato imprescindibile allontanarli ma le conseguenze sono state serie. Durante i primi mesi abbiano assistito a un aumento di malattie psicosomatiche, quindi gli infarti. Dopo un anno ci siamo trovati di fronte a un’esplosione delle depressioni. Vedere le macerie immobili dopo tutto questo tempo è un colpo psicologico difficile da assorbire».
Giovanna Bianco, psicologa, operatrice del Progetto Sisma di Emergency attivo nelle Marche: «Questo sisma è diverso: è esteso e quindi complesso nella gestione. E’ tuttora in corso: questo non consente alla popolazione di chiudere una fase e aprirne un’altra. E’ tuttora alla fase delle macerie: le persone si sentono private di ogni prospettiva e dover abbandonare di nuovo le sistemazioni nelle Sae per la muffa e i vari problemi che stanno emergendo rappresenta un problema che rimette in discussione tutto il lavoro di ripresa psicologica fatto finora». Come conclude Massimo Mari: «Ci troviamo di fronte a un’intera comunità che si sta suicidando».
(da “La Stampa”)
Leave a Reply