TOPPE E COCCI ROTTI
NEL FUTURO DEL GOVERNO LA CODA AVVELENATA DI UNA MANOVRA ANCORA TUTTA DA SCRIVERE
Il tornio di quello che si è autoproclamato governo del cambiamento ha prodotto un vaso fragilissimo. Una manovra di cocci.
Perchè l’ultima passata di mano – il via libera sul testo in terza lettura alla Camera – chiude l’iter parlamentare, ma non basta a tenere i pezzi insieme.
Le crepe sono ampie, intercettano piani diversi – dagli equilibri dentro l’esecutivo al prezzo sociale delle misure – ma soprattutto rendono evidente che quel vaso va riposto sul tornio ancora una volta, con tutte le conseguenze, e non poche, che questo continuo e logorante lavoro comporta.
Per il governo come per il Paese. Lo stucco è già fresco. Servirà da subito.
Il Movimento 5 Stelle e la Lega incassano e festeggiano anche se a un passo dal baratro, cioè il 31 dicembre, termine ultimo per evitare l’esercizio provvisorio e quindi l’autocertificazione dell’incapacità di gestire il bilancio dello Stato.
Ma allo stesso tempo il governo sa che è iniziata la stagione forse più difficile, quella della gestione degli effetti che la lunga e controversa genesi della manovra ha prodotto.
C’è un prezzo pagato per portare a casa il risultato – a Bruxelles in primis – e ora che la legge di bilancio si avvia verso la scrivania del capo dello Stato e poi sulla Gazzetta ufficiale bisogna fare i conti con le crepe.
C’è innanzitutto la crepa dentro il governo.
Il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, ne è diventato il simbolo e le voci che anche oggi ritornano su un possibile addio confermano questo scenario.
Nella contesa tra tecnici e politici, cavalcata dai 5 Stelle, i primi hanno subito una perdita pesante, cioè l’addio di Roberto Garofoli, capo di gabinetto del dicastero di via XX settembre.
Tria, come altri pezzi dell’esecutivo, non sono più inamovibili. Fine del tabù. Rotto dal presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, durante la conferenza stampa di fine anno. Sfumato, magari non immediato, ma il tema del rimpasto c’è.
Così come è non escluso un tagliando al Contratto di governo, ad appena sei mesi dall’arrivo a palazzo Chigi e nei Palazzi romani.
A tutto questo si è arrivati anche per le continue fibrillazioni tra Matteo Salvini e Luigi Di Maio proprio sui contenuti della manovra. Condono sì, condono no. Se io tolgo risorse alla quota 100 allora anche il reddito di cittadinanza deve sgonfiarsi. Litigi, una raffica di vertici, diurni e soprattutto notturni, messaggi e accuse lanciate attraverso tweet e dirette su Facebook.
Un pedinamento, continuo e reciproco, per evitare che l’altro inquilino di governo occupasse la stanza più grande della casa.
Un testo alla fine c’è: riflette, nelle misure messe nero su bianco, un equilibrismo dettato dall’esigenza di accontentare i rispettivi elettorati evitando reciprocamente di farsi male. Non chiude, però, la crepa dentro ai delicati equilibri intergovernativi.
La manovra si è ritrovata addosso un’altra crepa, quella generata dai tempi imposti dal governo al Parlamento. Perchè la compressione dell’esame, nelle commissioni competenti e in Aula, è frutto del ritardo con cui il governo è arrivato a presentare il testo definitivo.
Responsabilità , a sua volta, legata alla retromarcia con l’Europa: dal deficit al 2,4% per tre anni, festeggiato da Luigi Di Maio e i 5 Stelle sul balcone di palazzo Chigi, a un accordo, tra l’altro sotto stretta osservazione, con concessioni onerose, come i 2 miliardi congelati, una vera e propria caparra concessa proprio a Bruxelles.
L’apertura massima di questa crepa è stato il secondo passaggio in Senato.
L’ha raccontato su questo giornale Alessandro De Angelis: “Parlamento umiliato, o, se preferite, sfregiato, violentato, chiuso come una scatola di tonno, altro che trasparenza. Chiamato a votare la manovra in tarda notte, senza neanche il tempo di leggerla. Un ‘marchettificio del cambiamento’, degno di Gava e Pomicino, con soldi sparsi qua e là , tra una mancia a Crotone, una a Reggio Calabria e un bel condono di Natale, su misura per i finti poveri che frodano il fisco, altra tomba dell'”onestà , onestà “.
Un maxiemendamento, cioè la manovra definitiva, presentato la sera del 22 dicembre e votato di notte. Senza che nessuno abbia avuto il tempo di leggerne i contenuti.
E questa crepa si è palesata in immagini eloquenti, quelle delle risse sfiorate in aula, a palazzo Madama così come a Montecitorio durante la terza lettura.
Fogli e interi fascicoli di emendamenti per aria, sedute sospese, toni minacciosi, insulti, parolacce. La manovra ha prodotto anche questo e cioè un Parlamento ridotto a corrida. E anche uno scollamento, forte, tra il governo e il Parlamento, rappresentazione di poteri sì indipendenti ma inseriti ora in uno schema rissoso, desolante se rapportato a quello che dovrebbe essere il senso delle istituzioni.
Di crepe, nel Paese, la manovra ne ha già aperte.
La prima piazza che si è mossa è stata quella, inusuale, degli imprenditori. Il 3 dicembre, alle ex Grandi officine riparazioni di Torino, in centinaia hanno protestato contro il governo e a difesa delle infrastrutture, Tav in testa.
Una mobilitazione importante, con dodici associazioni d’impresa in rappresentanza di 13 milioni di lavoratori e oltre il 65% del Pil.
Poi è arrivata la protesta degli Ncc. Le immagini dei mega raduni intorno a palazzo Madama, proprio mentre dentro si esaminava la legge di bilancio, hanno rappresentato appieno la rabbia che si è generata.
Un’immagine su tutte: una bandiera dei 5 Stelle bruciata. Due giorni fa la stessa sorte è toccata a un fantoccio con il volto di Di Maio. È in corso un effetto domino.
I pensionati hanno manifestato in tutta Italia per protestare contro il taglio delle rivalutazioni degli assegni. I sindacati hanno annunciato una stagione di “mobilitazione e di lotta nelle categorie e sui territori”, preparando così il campo per una grande manifestazione a gennaio.
E in piazza ci andranno anche i medici, il 25 gennaio, così come sono pronti anche gli statali.
Sono i pezzi di quel tessuto sociale che si sente tradito dalle promesse del governo. Sono pezzi trasversali, dall’imprenditore con il Suv al pensionato che percepisce un assegno intorno ai 1.100 euro al mese.
Perchè la manovra bastona la classe dirigente, con l’ecotassa, il possibile aumento di Imu e Tasi sulle seconde case e il taglio alle pensioni d’oro, ma scontenta, e non poco, anche chi si aspettava un taglio delle tasse, cittadino o piccolo imprenditore che sia. Le tasse, invece, aumentano.
Lo dice l’Ufficio parlamentare di bilancio, l’organismo indipendente che vigila sulla finanza pubblica: la pressione fiscale salirà dal 42% del Pil relativo al 2018 al 42,5% del 2019.
‘Ufficio studi del Consiglio nazionale dei commercialisti ha fatto i conti in soldi: 13 miliardi di tasse tra il 2019 e il 2021. Pagheranno il conto soprattutto le imprese, le assicurazioni, le banche e i grandi gruppi dell’economia digitale, ma anche i consumatori e gli enti no profit. Pagano tutti, i più forti come i più fragili.
Poi c’è la crepa dei contenuti perchè il vaso della manovra manca di pezzi fondamentali.
I dettagli per l’operatività del reddito di cittadinanza e della quota 100 per l’uscita anticipata dal mondo del lavoro arriveranno – così promettono Lega e 5 Stelle – a gennaio con due decreti.
Di Maio ha garantito un decreto per cancellare le tasse sul no profit inserite nella manovra. Le norme per gli Ncc viaggiano su un altro provvedimento autonomo.
Per non parlare della miriade di decreti attuativi che serviranno per dare attuazione concreta a molte altre misure previste nella legge di bilancio.
Le schegge della manovra. Se riusciranno ad amalgamarsi all’odierno vaso fragile o, al contrario, se ne deturperanno la fisionomia è la grande incognita che si apre sul governo.
E sul Paese.
(da “Huffingtonpost“)
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