TOTI, IL TORMENTO E LA RESA DEL GOVERNATORE CHE CITA NELSON: “CIASCUNO FACCI IL PROPRIO DOVERE”
QUANDO LA LOTTA PER RIMANERE ATTACCATO ALLA POLTRONA E’ DIVENTATA VANA
«Nel pieno della battaglia di Trafalgar, l’ammiraglio Nelson disse ai suoi marinai pochissime parole: in questo momento la Gran Bretagna si aspetta che ciascuno di voi faccia fino in fondo e con tranquillità il proprio dovere».
A un certo punto, Giovanni Toti ha smarrito la strada. E in apparenza, anche il messaggio fatto arrivare agli ultimi fedelissimi forse ne è una prova. Ma sarebbe ingiusto considerare la sua caduta come diretta conseguenza del progressivo esaurimento della sua esperienza politica, che comunque gli aveva permesso di conquistare per due volte una regione non sempre incline al centrodestra come la Liguria.
La prima in maniera inaspettata, la seconda con una sorta di plebiscito popolare che certificò il suo consenso personale, ed era appena tre anni fa.
Non è stato il collasso di un sistema, che per quanto affaticato non aveva rivali a livello politico. È stata una esplosione inattesa, dovuta all’azione esterna della Procura di Genova, che ha fatto venire giù tutto.
Anche per questo, l’ormai ex presidente aveva deciso di mantenere la sua personalissima linea del Piave. Non dimettersi, anche se in pratica era quello che gli veniva richiesto dai magistrati, resistere dettando una linea difensiva che anteponeva gli interessi istituzionali a quelli della persona indagata, e forse trasformare sé stesso in uno dei tanti simboli del perenne conflitto tra magistratura e politica.
È stato chiaro fin da subito che si trattava di una lotta vana. Non poteva durare. Lo hanno sempre saputo tutti, fin dall’inizio. Tranne lui, che ci ha creduto davvero. Ma lontano dagli occhi, lontano da tutto. Non si può fare politica in assenza, non si può lottare per interposto avvocato, se non in un’aula di tribunale. L’impossibilità della scommessa lanciata dall’esilio forzato di Ameglia era questa.
Toti ha cominciato a capirlo all’inizio di luglio, quando ha dovuto prendere atto di una serie di decisioni passate sotto silenzio e in apparenza minori, come ad esempio il mancato reinserimento nei ranghi del suo staff, da lui richiesto con forza durante gli incontri politici concessi dalla procura, che somigliavano molto a una sorta di liberi tutti, ognuno per sé.
Il senso della fine imminente gli è arrivato addosso il 12 luglio. Quel giorno, ha appreso dai giornali che il presidente facente funzioni, il leghista Alessandro Piana, senza consultarsi con i “suoi” assessori, aveva annunciato «parere politico contrario» della Regione all’installazione di un rigassificatore al largo della costa di Vado Ligure, sovvertendo la decisione presa da Toti, che «nell’interesse del Paese» aveva dato parere favorevole al piano del governo nazionale. A partire da quel momento, è stata solo questione di quando sarebbe successo.
Ufficialmente, le dimissioni arrivano per motivi giudiziari. Sia il giudice per le indagini preliminari che quello del Riesame hanno legato la possibile reiterazione del reato al ruolo istituzionale che Toti avrebbe potuto tornare a rivestire una volta liberato dagli arresti domiciliari.
Ma le vere ragioni di quella che lui oggi sta vivendo come una resa, sono di natura politica. Ed è qui che forse pubblico e privato si incrociano. Se per molti l’origine delle disgrazie di Toti è dovuto alla necessità di alimentare le proprie ambizioni nazionali, con una serie di fallimenti che lo hanno portato sempre più a trincerarsi nel cosiddetto laboratorio Liguria, oggi per lui diventa quasi un crudele contrappasso la presa di coscienza della propria irrilevanza.
I partiti nazionali si sono spesi nei suoi confronti con molta parsimonia, a parte qualche singola presa di posizione, in primis quelle di Matteo Salvini. Nessuno degli alleati di governo ha mai fatto sua la partita che Toti stava giocando. Quasi che la sua eventuale sopravvivenza politica fosse una questione privata, che interessava solo al diretto interessato. «Più il tempo passa, più si logora il giudizio sul mio lavoro».
Toti non vuole uscire di scena così. E una volta preso atto della propria solitudine politica, accentuata dalla richiesta di un vertice regionale della sua maggioranza da tenersi «alla luce dei nuovi avvenimenti», così veniva definita la seconda ordinanza di custodia cautelare nei suoi confronti, ha deciso di scegliere per il proprio bene, senza tenere conto delle velate richieste di resistenza che soprattutto all’inizio gli sono state fatte pervenire da Roma nel timore di elezioni anticipate a novembre, insieme a Emilia-Romagna e Umbria.
Alle prossime elezioni regionali, Toti non ci sarà. «Ma se votiamo subito, diventerà un giudizio sul nostro operato, un referendum tra nuova e vecchia Liguria, tra progresso e restaurazione» è il concetto che ha fatto giungere al suo circolo ristretto, che quasi postumo in vita ieri si è ritrovato per celebrare la riapertura della Via dell’Amore alle Cinque Terre. A Trafalgar, l’ammiraglio Nelson trovò la morte in combattimento. Ma vinse la battaglia.
(da Il Corriere della Sera)
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