TRA PRESENZA MAFIOSA NELLE LISTE E UNO SPATUZZA NON AMMESSO A PROTEZIONE: TROPPE COSE ANCORA OSCURE
IL FINIANO GRANATA DENUNCIA: CODICE ETICO VIOLATO, I PARTITI HANNO CANDIDATO POLITICI CON PENDENZE GIUDIZIARIE…PER I GIUDICI DI PALERMO SPATUZZA E’ UN PENTITO ATTENDIBILE E IL SUO AIUTO E’ STATO FONDAMENTALE PER LA CONDANNA DEI SEQUESTRATORI DEL PICCOLO DI MATTEO
“I partiti alle ultime elezioni amministrative hanno candidato in alcuni casi politici con pendenze giudiziarie, contravvenendo al codice etico da loro sottoscritto che li obbligava a presentare in lista solo persone incensurate. I primi casi scoperti sono una decina, sia tra le candidature che tra gli eletti ci sono state infiltrazioni e zone d’ombra. Nonostante la carente collaborazione delle prefetture, stiamo ricomponendo il quadro e riferiremo alla Camera”.
La denuncia è del vicepresidente della Commissione Antimafia, il finiano Fabio Granata.
“Alcuni partiti e alcuni candidati alla presidenza delle Regioni non hanno vigilato come era richiesto e doveroso”, ha aggiunto.
Parole pesanti che non hanno sorpreso però il Procuratore nazionale antimafia Piero Grasso: “Sono problemi politici e giustamente se ne occupa la politica, mi limito a ricordare che già nel 1991 un fatto del genere era stato accertato dalla Commissione di cui allora ero consulente”.
Di fronte a fatti circostanziati chissà come mai il vicepresidente dei senatori del Pdl, Francesco Casoli, non ha trovato di meglio che prendersela con Granata: “Parla a vanvera, cambia casacca, ma non atteggiamento”, come se il problema fosse che Granata è finiano e non che i mafiosi appoggiano e infiltrano candidati.
Come se i nomi non fossero già stati fatti all’interno della Commissione, come se non fossero stati chiesti accertamenti su 3 candidati della Campania, 6 in Calabria, 3 in Puglia, 1 in Liguria e 2 in Lombardia, senza peraltro mai avviarli seriamente.
Come al solito il problema è Granata che denuncia le cose, non chi le sotterra e non ne vuole sentire parlare.
E quando anche è costretto a sentirle giudica non in base ai fatti, ma al grado di parentela politica.
Contestualmente si ritorna sul caso Spatuzza, escluso, in quanto reo di aver detto la verità a rate, dal programma di protezione dei pentiti.
Dal Pdl è sempre stato bollato come “inattendibile”, a causa delle sue affermazioni circa i presunti legami tra mafia, Dell’Utri e il premier.
Ora però per il Gup di Palermo Troja, Spatuzza è stato fondamentale per condannare i sequestratori del piccolo Di Matteo.
Il giudizio positivo sulle dichiarazioni del pentito arriva da un giudice di Palermo, che ha valutato e ritenuto determinante il suo contributo alle indagini: bocciato dalla commissione ministeriale sui programmi di protezione, Spatuzza viene “promosso” (ed è la prima volta che succede) dal Gup Daniela Troja, che, col rito abbreviato, il 30 marzo scorso, condannò Cosimo Lo Nigro, Benedetto Capizzi e Cristofaro Cannella.
I tre imputati ebbero 30 anni ciascuno per il sequestro del piccolo Giuseppe Di Matteo, concluso con la morte dell’ostaggio: Spatuzza è stato fra i collaboratori che il giudice Troja ha ritenuto determinanti per la sua decisione. In precedenza anche il procuratore Antimafia Pietro Grasso aveva sottolineato la validità delle affermazioni di Spatuzza: “Sono stato il primo ad ascoltarlo – ha ricordato qualche giorno fa Grasso – mi ha detto ‘Non posso più sopportare che ci siano tanti innocenti condannati e colpevoli che sono rimasti a piede libero, nemmeno sfiorati dalle indagini'”.
“Le sue dichiarazioni – si legge nella sentenza – hanno trovato da un lato riscontro nell’attività investigativa e dall’altro nelle dichiarazioni rese da numerosi altri collaboranti. La valutazione è positiva, sia in punto di credibilità soggettiva, sia in punto di attendibilità intrinseca. Le dichiarazioni rese da Spatuzza appaiono dotate del requisito dell’attendibilità , essendo sicuramente spontanee e sostanzialmente coerenti. Esse inoltre non appaiono ricollegarsi ad alcuna situazione di coercizione o di condizionamento”.
La commissione del Viminale ha invece respinto la richiesta di ammissione al programma di protezione, proposta dalle Procure di Firenze e Caltanissetta, con l’adesione di quella di Palermo, perchè l’ex boss di Brancaccio avrebbe reso dichiarazioni “a rate” e oltre i 180 giorni previsti dalla legge.
Evidentemente le zone d’ombra dei rapporti tra potere politico e associazione mafiose continuano a rimanere, al dil à delle operazioni antimafia, peraltro frutto esclusivamente dei meriti delle forze dell’ordine e della magistratura.
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